Dead Man Down, quando a essere cadavere è soprattutto lo sceneggiatore

Mediocre revenge-movie diretto da Niels Arden Oplev, il regista danese di Uomini che odiano le donne, l’episodio migliore della trilogia tratta da Millennium di Larsson. Sulla carta Dead Man Down, in sala in questi giorni, ha tutti gli ingredienti per essere un buon thriller. A partire da un cast efficace (Colin Farrell, Noomi Rapace, che bene aveva fatto proprio nella trilogia da Larsson, una donna affascinante come Isabelle Huppert accanto a comprimari di lusso come Terrence Howard e Dominic Cooper), accanto a una buona confezione, la sceneggiatura di un uomo esperto come J.H Wyman (The Mexican e, in televisione, Fringe), una regia capace di curare l’azione e l’introspezione psicologica e in grado di lavorare bene con gli attori. Il risultato, però, è ampiamente sotto le attese per cause diverse e numerose.

SCENEGGIATURA DEBOLE. Innanzitutto la sceneggiatura, farraginosa, di Wyman. Si parte infatti in zona noir: voce fuori campo di Colin Farrell, una banda capitanata da Terrence Howard in crisi. Chi sta uccidendo, uno dopo l’altro, i delinquenti? Quali saranno le prossime mosse dell’omicida? E soprattutto quale il movente? Il killer lascia volutamente delle tracce ricordando un po’ tanti omicidi seriali del grande schermo, dall’assassino di Zodiac agli indizi lasciati in Seven. In questo caso l’assassino lascia su ogni cadavere piccoli pezzettini di una foto che il boss dovrà pian piano ricomporre come in un puzzle della morte. Spunto risaputo ma intrigante giocato malissimo in sede di sceneggiatura, sopratutto perché si svela dopo pochi minuti l’identità del killer e il movente. È un rischio grosso quello che si prendono Oplev e il suo sceneggiatore perché questo svelamento significa togliere allo spettatore gran parte della curiosità attorno al protagonista e alle sue reali intenzioni. La buttano quindi sull’azione pura con non eccezionali risultati: la sparatoria con la banda rivale è molto caotica e l’inseguimento del killer è poco efficace in termini di suspense e realismo.

NON EMOZIONA MAI. Come se non bastasse, poi, Wyman gioca ad accumulare elementi che condizionano pesantemente la verosimiglianza della vicenda. La cosa peggiore è l’incontro e il conseguente rapporto tra Farrell e la Rapace, nei panni quest’ultima di una vicina di casa del delinquente, sfregiata, con madre francese al seguito (la Huppert in un ruolo da semplice tappezzeria) e in cerca di vendetta per una triste vicenda passata. Rapporto mai credibile, a partire dal loro incontro affacciati alla finestra, fino alla risoluzione della storia in cui la donna avrà un ruolo importante. Personaggi mal scritti e anche mal interpretati da due attori non al loro meglio: Farrell che, almeno per chi scrive, è un attore di enormi potenzialità ma mai esploso veramente, non riesce mai a rendere credibile la propria ambiguità, è passabile nelle sequenze d’azione ma tra lui e la Rapace (per noi la peggiore del cast) non scatta quel feeling che avrebbe reso emozionante la loro storia d’amore. Non fanno meglio i cattivi: Howard e Cooper non incidono mentre il misterioso Gregor è interpretato da F. Murray Abraham che, come spesso gli capita, sembra essere passato per caso sul set. Tra accumulo esagerato di situazioni mal inserite nella storia portante (la banda degli Albanesi, l’ostaggio, il rapporto tra Cooper e Farrell) la narrazione scorre a singhiozzo, scade in tanta inverosimiglianza (il video finale e l’uscita di scena di Howard), ha diversi momenti morti, come la sequenza didascalica e ingessatissima della spiegazione della vera identità del killer davanti al cimitero e regala anche un paio di sequenze involontariamente comiche (il tormentone della zampa di coniglio!). In una parola, non emoziona mai.

@petweir

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