
Il ddl Zan inforca il monopattino

Ha un bel coraggio il Fatto quotidiano a titolare “la destra ci riprova”. Dopo l’affossamento del ddl Zan l’identità di genere risbuca in Senato, questa volta in un emendamento al dl Infrastrutture proposto da Alessia Rotta e Raffaella Paita del Pd. Dice così: «È vietata sulle strade e sui veicoli qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso o dell’appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche». E cosa succede? Il governo pone la fiducia, Fdi ribatte con altri emendamenti, chiede il voto segreto, il governo ripone la fiducia, la legge passa.
Che c’entra l’identità di genere coi trasporti? Nulla
Che c’entri l’identità di gente con la circolazione stradale, monopattini e portualità è ovvio: nulla. Ma ovviamente il problema è “la destra”: «Va in scena un nuovo scontro sui diritti e i protagonisti sono gli stessi», scrive Repubblica considerando il disegno di legge sui trasporti soprattutto per la «norma contro la discriminazione di genere». Qualcuno è riuscito a scrivere «vietate le affissioni omofobe ma per Pro Vita “è un ddl Zan mascherato”». Ma signori, che sia un ddl Zan mascherato o il suo cugino di campagna, non lo scrive solo Pro Vita (qui il commento di Marina Terragni sul Feminist Post), né l’identità di genere introdotta a mezzo legge può dirsi una fisima di Pro Vita. Anzi: che a proposito di affissioni e pubblicità “lesiva” certa stampa capisse niente lo abbiamo capito – orrore no? –, proprio grazie a Pro Vita.
Ma se denunci l’utero in affitto paghi la multa
Quando l’associazione decise di affiggere a Roma un cartello contro la maternità surrogata, criticando una pratica vietata dalla legge italiana e che pertanto – pensavamo – non avrebbe che potuto incontrare il plauso di madrine e padrini del rispetto dei diritti, della legalità e della libertà di espressione, la cosa è finita a minacce di fucilate e di multe pari a centomila euro. Per aver detto cosa? Che “Due uomini non fanno una madre”. Per aver rappresentato il concetto attraverso l’immagine di un genitore 1 e genitore 2 (nel pieno rispetto della neolingua degli alfieri dei diritti e delle libertà individuali) e un bimbo che piange nel carrello di un supermercato (nel pieno rispetto di quella società per cui la discendenza non è più costruita secondo la generazione naturale, bensì attraverso cataloghi, firme dal notaio, contenitori sanitari). In effetti, solo un omofobo vedendo su un manifesto due papà con un figlio poteva pensare che l’avessero ottenuto tramite la pratica illegale dell’utero in affitto, o no?
Topolino che bestemmia è libertà
Ciò detto, cioè riferendoci a un esempio di pubblicità censurata e considerata lesiva per la legge italiana, c’è da chiedersi che succederebbe alla carrellata di manifesti ripieni di bestemmie comparsa a fine settembre a Napoli contro la censura religiosa e che tutti i giornali hanno doviziosamente inserito nelle proprie gallery spiegando che di “subvertising” (fonte Open) si trattava, cioè di qualcosa «che abusa e si appropria creativamente degli spazi della propaganda pubblicitaria per diffondere messaggi di denuncia e di libertà». Cose tipo Topolino che tira giù un porcone, ma vabbè, è subvertising, mentre i bus di Pro Vita (solo per tornare alla notizia più citata da tutti i giornali per parlare di questo dl Infrastrutture) con scritto che «i bambini sono maschi e le bambine sono femmine» o l’immagine di un bambino in pancia a 11 settimane) sono scandalo, sono cose irricevibili, no?
Quando Zan boicottava Barilla
A metterla così sembra solo una questione di educazione e buon gusto, epperò Boldrini che tacciava di sessismo le pubblicità «con le donne che stanno ai fornelli», «il corpo femminile usato per promuovere viaggi, yogurt, computer» ce le ricordiamo. «Ecco un altro esempio di omofobia all’italiana. Aderisco al boicottaggio della Barilla e invito gli altri parlamentari, almeno quelli che non si dimettono, a fare altrettanto. Io comunque avevo già cambiato marca. La pasta Barilla è di pessima qualità», disse un deputato Sel commentando le affermazioni di Guido Barilla quali «la nostra è una famiglia classica dove la donna ha un ruolo fondamentale» per spiegare perché nelle pubblicità Barilla non comparissero famiglie gay. Il deputato si chiamava Alessandro Zan. E il suo ddl contro l’omobitransfobia ha appena inforcato il monopattino.
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