L’élite progressista ha creato in America un clima di conformismo ideologico

Di Rodolfo Casadei
03 Settembre 2021
Un articolo di David Brooks, simpatizzante democratico, contro i "bobos", la borghesia americana che ha abbracciato tutte le battaglie del woke e del politicamente corretto
Un sostenitore del presidente americano Joe Biden

Un sostenitore del presidente americano Joe Biden

Continua la serie degli interventi di autocritica da parte dei media americani simpatizzanti del Partito democratico, preoccupati in misura crescente della radicalizzazione dello scontro ideologico e delle tensioni derivanti dalla sempre maggiore diseguaglianza economica nel paese.

È la volta di David Brooks, editorialista del New York Times, un tempo filo-repubblicano e poi passato dalla parte dei democratici a partire dalla prima presidenza di Barack Obama (dopo la quale ha sempre votato i candidati democratici alle presidenziali).

Pentito di aver esaltato i bobos

In un articolo che appare sul numero di settembre del mensile The Atlantic si dichiara pentito di avere magnificato in passato, dedicando loro un fortunato libro, i “bobos”, termine francese originato dalla contrazione delle parole borghese e bohemien.

Quest’ultima indicava l’artista che conduceva una vita povera, sregolata e anticonformista, ma non priva di genio creativo. A cavallo del millennio Brooks vedeva nei bobos americani i figli della borghesia che avevano realizzato una sintesi fra l’idealismo liberal degli anni Sessanta e l’edonismo reaganiano degli anni Ottanta; la generazione di professionisti di ogni genere che stava regalando all’America e al mondo i progressi scientifici, materiali, sociali ed economici della globalizzazione. E che oggi vota democratico e sostiene tutte le battaglie woke e politically correct.

Hanno “rotto” l’America

Ventuno anni dopo l’uscita del suo libro (Bobos in Paradise) Brooks si mostra convinto che costoro hanno “rotto” l’America: «Ci si attendeva che la classe creativa avrebbe promosso i valori progressisti e la crescita economica. Invece abbiamo avuto risentimento, emarginazione e una disfunzionalità politica senza fine», recita il sottotitolo dell’articolo.

Il testo non è meno severo. «Nel 2000 scrissi: “Non c’era alcun pericolo che la nuova classe istruita diventi una casta chiusa in se stessa. Chiunque col giusto diploma, la giusta occupazione e le giuste competenze culturali può farne parte”. Si è rivelata una delle frasi più ingenue che io abbia mai scritto», spiega Brooks.

Che ora pensa esattamente l’opposto: «I bobos, o generazione X (i nati fra il 1965 e il 1979 – ndr), o la classe creativa, o come vogliamo chiamarli, si sono agglomerati in una casta insulare ed endogamica che domina la cultura, i media, l’educazione e la tecnologia. Quel che è peggio, noi che apparteniamo a questa classe facciamo fatica ad ammettere il potere che deteniamo, e ancora meno a usarlo in modo responsabile».

Le tre colpe progressiste

Politicamente parlando, le colpe dei progressisti sarebbero tre: avere incrementato la diseguaglianza nell’accesso alle scuole d’eccellenza, nelle quali le rette sempre più alte selezionano all’ingresso chi è in grado di pagare; avere gentrificato le città americane, dove i quartieri del centro sono diventati talmente costosi che le classi medie sono state espulse e oggi i quartieri sono polarizzati fra benestanti ed esclusivi e marginali e svantaggiati; avere trasformato i partiti di sinistra in partiti dei ricchi e istruiti, lontani dalle classi popolari.

«Siamo giunti a dominare i partiti di sinistra che prima erano veicoli della classe operaia. Abbiamo spinto questi partiti ancora più a sinistra sui temi culturali (dando la preferenza al cosmopolitismo e alle questioni identitarie), annacquando o ribaltando le tradizionali posizioni dei democratici sul commercio e sui sindacati. Quando la classe creativa entra nei partiti di sinistra, la classe operaia tende ad andarsene».

Questo si vedrebbe bene nei risultati delle elezioni presidenziali del 2020, nelle quali le circa 500 contee vinte da Biden valgono il 71 per cento di tutta l’attività economica statunitense, mentre le oltre 2.500 vinte da Trump contano solo per il 29 per cento. Tredici anni prima i due campi – il democratico e il repubblicano – a questo riguardo erano in parità.

Egemonia culturale

«Mi sono completamente sbagliato sui bobos», prosegue Brooks nella sua autocritica. «Non ho previsto quanto saremmo stati aggressivi nell’imporre la nostra egemonia culturale, il modo in cui avremmo cercato di imporre i valori elitari attraverso la parola e i codici di pensiero. Ho sottovalutato il modo in cui la classe creativa sarebbe riuscita con successo ad alzare barriere attorno a sé per proteggere i propri privilegi economici. Non solamente attraverso l’istruzione elitaria, ma attraverso i regolamenti edilizi che hanno causato il caro casa, le strutture di certificazione professionale che consentono di mantenere alte le retribuzioni di medici e avvocati, bloccando la concorrenza di paramedici e paralegali, e così via. E ho sottovalutato la nostra intolleranza della diversità ideologica. Negli ultimi cinquant’anni il numero delle voci di esponenti della classe operaia e del mondo conservatore nelle università, nei media mainstream e in altre istituzioni della cultura di élite si è ridotto a un pizzico. Quando dite a una larga fetta del paese che le loro voci non meritano di essere ascoltate, loro reagiranno male. Ed è quello che è successo».

Trump e la classe operaia

L’allusione all’elezione di Donald Trump è evidente. L’arroganza dei liberal ha avuto un ruolo in quel risultato: «In uno studio per The Atlantic, Amanda Ripley ha scoperto che gli americani più intolleranti tendono ad essere “in maggioranza bianchi, con un’istruzione di alto livello, residenti in grandi città e militanti di una causa”. La contea più intollerante di tutta l’America sarebbe quella liberal di Suffolk nel Massachusetts, che comprende Boston. Se gli esponenti della classe creativa fossero gente che ha fatto i soldi perché si è data molto da fare, ciò non causerebbe un conflitto politico così acuto come stiamo vedendo. Ciò che provoca crisi psichiche sono le arie che la classe creativa si dà, coi suoi “siamo più intelligenti”, “siamo più illuminati”, “siamo più tolleranti”. Le persone che sentono di essere state rese invisibili faranno qualunque cosa per rendersi visibili, le persone che si sentono umiliate si vendicheranno dell’umiliazione subita. Donald Trump non vinse nel 2016 grazie a un magnifico piano di riforma sanitaria. Vinse perché con lui la classe operaia bianca si sentì ascoltata».

Il woke per interesse

Brooks è poi convinto che l’ideologia wokeness (cioè della vigilanza antirazzista, antisessista, antiomofoba, ecc.) non sia abbracciata con sincerità dai suoi fautori, ma per interesse.

«Wokeness non è soltanto una filosofia sociale, ma un segno distintivo dello status elitario, una strategia per la carriera personale. Bisogna possedere grandi quantità di capitale culturale per sentirsi a proprio agio usando parole come intersezionalità, eteronormatività, cisgender, problematizzare, attivazione e Latinx (la x serve a evitare di usare il termine di genere maschile latinos – ndr)».

Problemi per Joe Biden

Brooks si dichiara soddisfatto dell’American Jobs Plan di Joe Biden, che contribuirà a una redistribuzione della ricchezza nel paese.

Ma sottolinea che non basterà a cambiare la situazione di fondo: «Il pacchetto di misure di Biden ridurrà i gap di reddito che alimentano gran parte dell’attuale animosità di classe. Ma la redistribuzione economica aiuta solo fino a un certo punto. Il vero problema è il meccanismo di selezione. È esso che determina chi sarà incluso nei più alti livelli della società e chi sarà escluso, chi salirà sull’ascensore sociale e chi si ritroverà davanti a un muro».

Foto Ansa

Articoli correlati

1 commento

  1. LODOVICO FORNO

    Mah non ho capito interamente l’articolo, ma mi sembra uno spaccato di America alquanto minoritaria. Diciamo una fetta non consistente di america. Capisco il rilievo che forse in questo fronte dem qualcosa si spacchi e vi sia della autocritica, ma ancora questa non mi sembra sostanziale e invece invochi di andare in una direzione ancora più surreale di quella che ciritica.
    Che denunci che il Woke lo si faccia solo per interesse, da alcuni, mi lascia pensare che invece lui ci creda davvero e questo mi pare ridicolo. Della serie ancora non abbiamo capito un ciuffo.
    La chiusura poi, che tale Brooks si dichiara soddisfatto dell’America Jobs Plan di Biden mi lascia perplesso ancor di più sull’efficacia e pertinenza della sua autocritica.
    Con stima.
    Lodovico Forno

I commenti sono chiusi.