Dalla solitudine alle prime scuole cattoliche. I dieci anni in Cambogia di padre Alberto

Di Redazione
23 Settembre 2012
Alberto Caccaro è stato a Prey Veng non per fare grandi cose, ma per nominare la ricchezza che si nasconde nel cuore di ogni uomo. E lì ha tradotto in cambogiano Il rischio educativo di don Luigi Giussani

Le lettere e gli articoli di Cento specie di amori raccontano il tempo di grazia trascorso da padre Alberto Caccaro in Cambogia. Sacerdote del Pontificio Istituto Missioni Estere, padre Alberto è stato ordinato sacerdote nel 1995 e dopo cinque anni di attività pastorale a Milano è stato destinato alla missione della Cambogia, dove rimane fino al 2011. Attualmente è direttore del Centro Missionario Pime. Il libro, edito da Lindau (14,50 euro, 200 pagine), comincia dalla sua missione a Prey Veng, piccolo capoluogo di provincia 100 chilometri a est dalla capitale di Phnom Penh.

Nessun prete cattolico, prima di padre Alberto, ha abitato quella città, nessuno lo attendeva. Di questa solitudine ha parlato in un’intervista a tempi.it: «I primi tempi ero solo. Solo dopo qualche anno sono venute due suore cambogiane. La solitudine è stata molto importante, perché mi obbligava a una continua memoria delle ragioni che mi spingevano lì. Spessissimo, ho celebrato da solo l’Eucarestia, in alcuni giorni era l’unico segno che mi veniva dato per riconoscere Cristo. Era l’inizio. Si cominciava tutto da zero».

I testi raccolti sono il frutto di «un modo di guardare al creato e di usare i sensi per cogliere nelle cose quanto più significato possibile», un senso compiuto alle cose. Alberto Caccaro è stato a Prey Veng non per fare grandi cose, ma per nominare la ricchezza che si nasconde nel cuore di ogni uomo. È condividendo con la gente i problemi quotidiani che «ha preso piede l’ipotesi di creare una scuola dove l’educazione fosse rimessa al centro delle preoccupazioni», ha raccontato a tempi.it. «Ho costruito due scuole elementari per il governo cambogiano, ma mi sono accorto che quando le costruivo mancava qualcosa. Infatti, non bastano le mura di una struttura perché ci sia una vera esperienza educativa. Così, con Hong, un ragazzo che ho ospitato, ho tradotto in cambogiano Il rischio educativo di don Luigi Giussani. Perché è inutile dare a un ragazzo un’educazione, se poi non gli indichi una strada. Non serve soltanto un apprendimento nozionistico, ma è necessario cogliere “il sapore massimo di ogni parola”, perché in qualche modo il “sapere” diventi un “sapore” alla vita.

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