
Dadone insiste con la droga libera. Chi tira fuori i drogati da Rogoredo con l’educazione

Insiste con la droga libera, il ministro Cinquestelle delle Politiche giovanili con delega all’Antidroga Fabiana Dadone: «Dico basta al proibizionismo delle droghe leggere», «la mia posizione è nota, ho sottoscritto una proposta di legge nella passata legislatura sulla coltivazione e l’uso personale», «la scelta del nuovo governo tedesco (l’apertura alla cannabis legale, ndr) è una scelta che l’Italia dovrebbe valutare».
Dadone esclude comunità e servizi
La botta di protagonismo arriva nel corso della tanto attesa VI Conferenza nazionale sulle dipendenze, convocata da Dadone stessa a Genova per rimettere mano al Testo unico del 1990 escludendo dai tavoli di confronto chi per 12 anni (tanto è passato dall’ultima Conferenza) si è accollato con fondi sempre più ridotti e con le proprie sole forze il problema di tossici e sofferenti di ogni tipo di dipendenza in tutta Italia.
Stiamo parlando della rete delle comunità terapeutiche e dei professionisti del servizio pubblico e privato che da sempre affrontano il problema (qui Tempi ha raccontato l’assurda vicenda). Tra di questi Pietro Farneti, consigliere delegato della Fondazione Eris e presidente di Ser.Co.Re – Servizi Comunità Reti Educative, associazione nata lo scorso maggio e che rappresenta oltre 100 realtà lombarde legate servizi per le dipendenze, salute mentale, comunità adolescenti e cooperative sociali di lavoro di Milano, Varese, Brescia, Sondrio, Monza, Pavia, Bergamo, Lodi. Una corazzata in aiuto dei più fragili, tra i suoi fondatori anche don Antonio Mazzi e don Chino Pezzoli, rispettivamente presidenti di Exodus e Promozione Umana.
In prima linea a Rogoredo
Farneti è stato invitato a Genova per partecipare insieme a Simone Feder, responsabile area dipendenze Cooperativa Sociale Casa del Giovane (e come Farneti in prima linea nella piazza di spaccio più grande d’Italia e una delle più grandi d’Europa, il terrificante Boschetto di Rogoredo) a una tavola rotonda sul tema “Innovare le città”, «ma la nostra richiesta era precisa e diversa, volevamo un confronto con le realtà storiche che in Italia si occupano di assistenza e riabilitazione dalle dipendenze, un confronto che manca da 12 anni e che non esiste nemmeno tra regioni», spiega Farneti a Tempi.
«Abbiamo una normativa che risale al 1990: nel tempo ogni regione ha sviluppato il suo sistema autonomo, modelli di intervento differenti. Ma non possiamo più rimandare un momento di dibattito a livello nazionale: il futuro che ci aspetta è completamente diverso da quello incombente negli anni del Testo Unico. Non si parla più solo di droghe, ma di comportamenti additivi, abuso di farmaci. Basta guardare agli Stati Uniti per capire gli effetti collaterali di questa società sempre più smart e tecnologica, o anche solo alle condizioni drammatiche in cui versano le nostre neuropsichiatrie infantili e le pediatrie dopo i lockdown».
C’è un modello, la Lombardia
La Lombardia è l’unica regione ad essersi dotata nel 2020 di una legge solo sulle dipendenze patologiche (sostanze stupefacenti, ma anche abuso di farmaci, gioco d’azzardo, comportamenti compulsivi, internet-dipendenze, spesso si presentano due o più forme di disagio). Secondo la relazione del provvedimento approvato lo scorso dicembre erano oltre 49.500 le persone prese in carico da strutture pubbliche e private solo nel 2019, nel 40 per cento dei casi per dipendenza da oppiacei, nel 35 per cento di cocaina. Il 25 per cento degli under 30 risultava inoltre un consumatore di droghe sintetiche o cannabis.
La legge, sottolinea Farneti, approvata in un momento drammatico, mette in capo a un comitato di indirizzo, di responsabilità del presidente regionale, il governo e il coordinamento delle azioni che assessorati e associazioni pubbliche e private dovranno realizzare in materia di dipendenze, «a sottolineare che tutti devono farsi carico del problema. Una legge che non ragiona solo in termini di cura, ma di prevenzione e “riabilitazione finale”, dall’abitazione fino al lavoro». Una legge che ha aumentato le risorse economiche destinate a un settore sottofinanziato e segnato dallo svuotamento di tutti i fondi dedicati a livello nazionale.
Centinaia di richieste di aiuto a Milano
Ed è proprio alla Lombardia che stanno guardando in questo momento le reti di comunità terapeutiche e dei servizi che hanno invitato il ministro ad adottare quale prassi «replicabile e valida al fine di facilitare e migliorare l’accessibilità alla cura in una ottica di libertà di scelta delle persone con dipendenza, quella dei Servizi Multidisciplinari Integrati», i cosiddetti Smi. «Si tratta di Serd a gestione privata che esistono solo in Lombardia attraverso i quali, insieme alle comunità, opera anche Fondazione Eris», spiega Farneti, raccontando come funziona una realtà che attraverso servizi ambulatoriali dinamici e raggiungibili telefonicamente h 24 intercetta continue domande di aiuto.
Per dare qualche numero, solo a Milano «abbiamo un budget che ci consente di avere in cura mensilmente 520 persone, e un’area dedicata a minori e giovani che ne prende in carico mensilmente circa 100». Ma sono tanti gli adulti che insieme a quelli di “salute” presentano problemi giudiziari, amministrativi, di lavoro a cui saper rispondere, tante le famiglie di cui farsi carico insieme ai minori, alte le probabilità di ricadute e recidive.
Appello all’unità del settore
Anche per questo Farneti insiste che è finito il tempo di buon cuore e intrapresa, si può essere capaci di grandi numeri e imprese ma «da soli non funziona. Noi tiriamo fuori i ragazzi dallo spaccio di Rogoredo, ma per farlo siamo in tantissimi: tante comunità, unità di offerta, tanti Serd, tanto volontariato, istituzioni e forze dell’ordine. Non abbiamo costruito una rete, ma un vero e proprio tessuto connettivo». Se l’ormai famoso “Budget di Salute” del ministro Dadone servisse a questo, a costringere i vari soggetti territoriali (residenziale, diurno, preventivo, di inserimento lavorativo eccetera) a unire le forze e lavorare insieme per sostenere la persona, le probabilità di successo aumenterebbero, continua Farneti, preoccupato tuttavia che un discorso di criteri e ammontare delle risorse possa arrestare il passo, importante, intrapreso dalla legge lombarda per invertire il sistema, attraverso interventi precoci e riduzione della cronicità.
«Si può e si deve ancora educare perché i più piccoli ed i più fragili possano scegliere di essere liberi, liberi anche di dire NO alla droga e a tutte le forme di benessere così tragicamente mortifere»: è un passo del manifesto diffuso dal Ser.Co.Re in occasione giornata mondiale contro la droga che richiamava, nel confinamento e distanziamento sociale, alla responsabilità e all’urgenza di “esserci” o tornare ad “esserci” per giovani e fragili che gli spacciatori non avevano dimenticato di avvicinare “in presenza”.
La mafia non si combatte coi referendum
Quando chiediamo cosa pensi di questa discussione parallela alla Conferenza su cannabis, referendum, distinguo tra droghe leggere e non, eccetera, Farneti taglia corto: «La discussione sulle sostanze è una discussione che posso fare con gli spacciatori di Rogoredo. Personalmente preferisco impiegare la mia vita a cercare di dare una prospettiva diversa alle persone che sono in questo baratro. Dopodiché il meccanismo mi pare analogo a quello innescato da altre dipendenze da fonti “legali”: provochi il danno e non ti assumi le responsabilità. E qui torno ad appellarmi all’unità, all’enciclica del papa Fratelli tutti: o tutti noi che dedichiamo la vita alla cura delle dipendenze ci mettiamo insieme per aiutare le persone a vivere o non se ne esce. Qui c’è un solo nemico e ha un solo nome: si chiama malavita. Non si batte con gli slogan, i referendum, i titoli, tanto meno dividendoci. Mafia, ‘ndrangheta, delinquenza si battono con la prevenzione e prima ancora con l’educazione, nelle case, nelle famiglie, nelle scuole».
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