
I paladini dei diritti sventolano la bandiera dei terroristi

Giovani pro Hamas perché «che dire dei palestinesi di Gaza? Loro non soffrono?». La risposta è sì, ma chiunque insista a fare questa domanda «dopo un weekend in cui oltre 700 civili sono stati assassinati, donne sono state stuprate e bambini sono stati rapiti, ha un’evidente incapacità a riconoscere la sofferenza degli altri. O forse soltanto quella degli ebrei» (Alana Newhouse e Jeremy Stern su The Free Press).
Il massacro degli israeliani diventa un’ode alla “libertà”
Non erano passate che poche ore. Nel sud di Israele si consumava l’eccidio più mortale di ebrei dai tempi dell’Olocausto: secondo un portavoce dell’Idf la mattina del 7 ottobre circa 1.000 terroristi di Hamas hanno attraversato il confine tra Gaza e Israele e hanno iniziato a massacrare civili in più di 14 città e comunità israeliane, entrando in case, appartamenti, fattorie, uccidendo uomini, donne e bambini, tra cui quasi 300 giovani che stavano partecipando a un rave nel deserto. In poche ore si contavano più di 700 vittime e più di 2.100 feriti, e video e foto dei massacri di intere famiglie, il rapimento di bambini piccoli, lo stupro di giovani donne, la cattura di donne, anziani e neonati, facevano il giro del mondo. Per la gioia di molti seduti in case e salotti armati di smartphone che nella follia omicida di Hamas e di terroristi che sputavano sul corpo seminudo di una ragazza con le gambe spezzate cantando “Allahu Akbar” non hanno visto «un esempio ripugnante della profondità della barbarie umana» bensì «una vittoria enorme».
Nell’Occidente risvegliato e che ha fatto della lotta alla vittimizzazione secondaria un caposaldo di civiltà abbiamo visto caroselli di auto e clacson con le bandiere palestinesi attraversare le città britanniche a poche ore dal massacro. All’Aia e a Rotterdam, dove i sindaci si sono rifiutati di alzare bandiera israeliana sul municipio, decine di persone hanno manifestato al grido di «Palestina libera, libera», inneggiando all’«autodifesa di Hamas» contro lo «Stato terrorista israeliano» e sostenuti da verdi e sinistra del Bij1, «sosteniamo i palestinesi nella loro resistenza anticoloniale». Festeggiamenti anche a Berlino, tra canti “Intifada Yallah” e “Palestina libera”, e a Times Square, a New York, dove centinaia di manifestanti, moltissimi giovani, hanno sventolato bandiere palestinesi sfilando dietro agli striscioni «Globalizzare l’Intifada» e «la resistenza è giustificata»: gli stessi diffusi da tutti i gruppi e collettivi filopalestinesi di college e università e condivisi dai suprematisti bianchi di National Justice, dagli Stati Uniti al Canada, dove molti studenti hanno tifato Palestina come allo stadio.
Gli studenti di Harvard e Amnesty contro Israele
Una escalation di celebrazioni, dal centro migranti dell’isola greca di Samos ad Atene, Lisbona, Sydney, Teheran, Beirut, Istanbul, che ha unito sinistra progressista ed estrema destra, e culminata con una “dichiarazione congiunta” proveniente nientemeno che dall’Università di Harvard, orgogliosamente diffusa il giorno seguente agli attacchi: «Noi, sottoscritte organizzazioni studentesche, riteniamo il regime israeliano interamente responsabile di tutta la violenza in corso». A firmarlo sono 31 associazioni studentesche, compresa la divisione di Amnesty International affiliata all’università della Ivy League, che chiedono «alla comunità di Harvard di agire per fermare il continuo annientamento dei palestinesi». È qui che il Comitato per la Solidarietà con la Palestina, ha lanciato una serie di proteste e iniziative come l’”Apartheid Week” e “Boycott Israel Trek” dopo aver convinto ormai un anno fa l’Harvard Crimson – il giornale studentesco – a sostenere il BDS, o Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni di Israele.
Secondo studenti e Amnesty «il regime dell’apartheid è l’unico da incolpare. La violenza israeliana ha strutturato ogni aspetto dell’esistenza palestinese per 75 anni. Dai sequestri sistematizzati di terre agli attacchi aerei di routine, dalle detenzioni arbitrarie ai posti di blocco militari, dalle separazioni familiari forzate alle uccisioni mirate, i palestinesi sono stati costretti a vivere in uno stato di morte», «i prossimi giorni richiederanno una ferma posizione contro le ritorsioni coloniali». Poche ore prima Laurence Tribe, professore emerito di diritto costituzionale ad Harvard, aveva commentato gli attacchi accusando Netanyahu di voler distrarre l’attenzione dalla sua guerra contro la magistratura indipendente.
Zaki, il Manzoni e la sinistra pro diritti che tifa Hamas
Qualche chilometro più in là, l’idolo della sinistra italiana Patrick Zaki – che come ben sottolinea Andrea Venanzoni «non deve aver trovato il tempo di postare nulla sulle atrocità commesse da Hamas perché troppo impegnato a postare news in tempo reale da canali affiliati ad Hezbollah (come War Monitor, a cui Musk ha tolto la pubblicità dopo aver chiesto loro di essere più imparziali e avendo ottenuto un netto rifiuto)» – definiva il primo ministro israeliano un «serial killer». E il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara annunciava ispezioni nei licei Setti Carraro e Manzoni di Milano, dove gli studenti avrebbero dedicato una storia Instagram all’esultanza dei palestinesi: «Quant’è bello quando brucia Tel Aviv».
Anche la sinistra laburista inglese ha festeggiato su X: «Oggi dovrebbe essere un giorno di festa per i sostenitori della democrazia e dei diritti umani in tutto il mondo mentre gli abitanti di Gaza evadono dalla loro prigione a cielo aperto e i combattenti di Hamas entrano nel territorio dei loro colonizzatori. La lotta per la libertà raramente è incruenta e non dovremmo scusarci per questo» (Rivkah Brown, Novara Media); «Tutti gli occhi sono puntati sulla Palestina nel suo momento eroico di resistenza contro l’occupazione sionista» (Pawel Wargan); «combattenti per la libertà» è il termine usato da Chris Williamson per definire Hamas.
Sì, Hamas, «quei delinquenti teocratici, assassini antisemiti, oppressori di donne e gay, sembrano essere diventati ora i paladini della libertà e della democrazia», ha risposto Tom Slater su Spiked.
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