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Curare le ferite provocate da Hamas. Storia di Nadal e Sharon

Di Giancarlo Giojelli
13 Dicembre 2023
I loro familiari e amici sono stati uccisi o rapiti dai terroristi. «Siamo cresciuti nel kibbutz, ci impegniamo nel dialogo coi palestinesi, oggi con una scuola per i bambini evacuati dalla zona di Gaza»
In primo piano da sinistra, Sharon e Nadal. Al centro i genitori di lui Liliach e Eviatar Kpnis

I grandi alberghi dell’oasi di Ein Bokek, il paradiso turistico di Israele sul Mar Morto, non ospitano più turisti, ma migliaia di rifugiati, fuggiti dai kibbutz e dalle città del Sud teatro del massacro di Hamas. Tutti qui hanno parenti uccisi da Hamas il giorno dell’attacco, molti hanno familiari o amici tra gli ostaggi a Gaza in mano ai terroristi che se ne fanno scudo davanti all’avanzata dell’esercito israeliano.
Migliaia di storie, e tutte meriterebbero di essere ricordate, devono essere raccontate perché non si deve dimenticare quello che è accaduto. Sui prati attorno agli alberghi, macchie di verde nel deserto, nel luogo più profondo della terra, i bambini fanno lezione e giocano seduti a cerchio sull’erba, nel tepore della eterna estate di Yam Hamelach, così si chiamava in ebraico, il Mare di Sale, il Mar Morto, che si illumina di una luce rosso accesa al tramonto e all’alba. Nessuno saprà, o comunque sa dire ora, quale buco nero ha scavato nella loro mente quel giorno in cui...

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