
Cuba, il regime chiama a testimoniare una bambina di tre anni

A dimostrazione della sua follia, ieri il regime di Cuba ha convocato a testimoniare in una stazione di polizia dell’Avana la figlia di tre anni di un prigioniero politico, Idael Naranjo, già condannato “per sedizione” a 10 anni per avere manifestato pacificamente insieme ad altre migliaia di connazionali l’11 luglio 2021. La piccola, Leadi Naranjo, nella mente di una dittatura oramai alla deriva non solo economicamente ma anche dal punto di vista etico-morale, doveva accusare il papà, magari indotta da domande tendenziose di psicologhe infantili cresciute alla scuola di Mariela Castro Espín, la figlia di Raúl ricevuta con tutti gli onori dall’Università di Torino qualche tempo fa per lodare il nuovo codice di famiglia di regime.
Obiettivo, «togliere la patria potestà e la custodia dei figli dei 1047 prigionieri politici grazie proprio a quel nuovo codice di famiglia, minacciando direttamente i loro parenti», spiega Javier Larrondo, presidente di Prisoners Defenders, organizzazione che vigila sui diritti umani. La mamma di Leadi ieri si è presentata al posto della figlia, ovviamente disperata – «che non succeda niente a mia figlia perché sarà solo colpa del governo» – ma al momento non sappiamo quale sia il suo destino. Suo, della piccola e delle due nonne, anche loro minacciate e convocate dalla dittatura che, immersa in una crisi economica senza precedenti, sta facendo leva sempre di più sul Brasile per non mollare il potere conquistato quasi 65 anni fa.
Cuba, la dittatura e l’aiuto del Brasile
Non a caso, il deus ex machina della politica estera del presidente verde-oro Lula, Celso Amorim, atterrerà a Cuba a Ferragosto per restarci almeno cinque giorni, incontrare il presidente de facto Miguel Díaz-Canel e i ministri delle Finanze e degli Esteri e per fare «una prospezione per capire come il governo brasiliano può aiutare» la dittatura, ha detto lo stesso Amorim al quotidiano Folha de São Paulo. Aggiungendo che L’Avana, che ha debiti anche con Brasilia, sarebbe «sempre stata un ottimo pagatore, ma che la situazione economica del Paese è stata aggravata dall’inasprimento delle sanzioni statunitensi e dalla pandemia di Covid-19».
Dichiarazioni sorprendenti visto che due cose sono note a chiunque non in malafede. La prima è che Cuba non paga i debiti, basta fare una ricerca al volo su Google, la seconda è che le “sanzioni statunitensi” non comprendono affatto il cibo visto che il 50 per cento della carne di pollo dell’Avana arriva dagli Stati Uniti, altro che “bloqueo” (anche se sta aumentando la percentuale brasiliana da quando c’è Lula al potere).
Nei negozi privati prodotti “made in Usa”
Inoltre i negozi delle Pmi “private” sono pieni di formaggio Philadelphia ed altri prodotti rigorosamente «made in Usa», come spiega a Nora Gámez Torres l’economista cubano Omar Everleny Pérez, un ex professore all’Università dell’Avana che ora lavora con il Centro cristiano per la riflessione e il dialogo nella città cubana di Cardenas. «Nel mio quartiere non andiamo nei negozi governativi, andiamo nei negozi privati, che continuano a vendere ogni giorno anche se i prezzi sono alti», ha detto, aggiungendo che le Pmi “private” importano cibo, materiali da costruzione e altri prodotti dagli Stati Uniti «tramite compagnie commerciali che riempiono i container in Florida e li inviano al porto di Mariel», a ovest dell’Avana.
Dopo avere finanziato il riammodernamento del porto di Mariel durante la presidenza di Dilma Rousseff con almeno un miliardo di dollari del Bndes (la Banca nazionale di sviluppo economico e sociale brasiliana, che in teoria dovrebbe aiutare i piccoli e medi imprenditori verde-oro) ora Lula intende promuovere una missione dell’Agenzia brasiliana per la promozione del commercio e degli investimenti nell’isola. Per la cronaca sinora la dittatura ha dato come garanzia del miliardo sborsato dal Bndes con sigari cubani, ma tutto il debito rimane ancora da ripagare, nonostante le dichiarazioni di Amorim che, tuttavia, ha assicurato alla Folha che «non tratterà di questo» con Díaz-Canel.
A Cuba lo stipendio medio statale vale 15 euro
Sullo sfondo rimane il disastro cubano, con «una crisi economica che ha già superato l’entità della grave crisi degli anni 90», a detta di Carmelo Mesa Lago, intervistato dal Miami Herald. Utilizzando i dati cubani ufficiali, il più importante economista cubano vivente fornisce un quadro desolante della situazione: oggi il peso cubano si è deprezzato così tanto che oggi 4.000 pesos cubani, lo stipendio medio statale, valgono appena 15 euro, l’agricoltura «è un disastro totale» e da un picco di 8,5 milioni di tonnellate di zucchero nel 1970, il Paese ne produrrà solo 350 mila quest’anno.
Ma lo zucchero non è l’unica cosa che manca sulle tavole cubane perché la produzione agricola, l’allevamento e la pesca sono crollati insieme alla produzione di carne di maiale, fagioli e riso, alimenti base per i cubani, che scarseggiano come non mai.
Una crisi più grave di quella degli anni 90
L’attuale crisi, segnata dalla carenza di cibo e da una delle più alte inflazioni al mondo ha colpito duramente le persone che non ricevono rimesse – circa il 40 per cento della popolazione – in particolare i lavoratori statali e i pensionati. Per loro oggi è molto peggio del Periodo Speciale degli anni 90 ed è una follia che, con questa situazione limite, il governo continui a sprecare soldi costruendo una miriade di hotel di lusso, un settore gestito da società appartenenti al conglomerato militare Gaesa, quando il turismo è crollato e rimangono quasi tutti vuoti. Ancora più assurdo, anzi criminale, che la sua polizia interroghi bambine di 3 anni.
Foto Ansa
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