
Cronaca di una giornalista pellegrina all’ultima udienza di Benedetto XVI
Piazza San Pietro era già pronta ad accoglierlo nella notte. In via della Conciliazione, davanti alle transenne, gruppetti di fedeli guardavano la cupola. Qualcuno diceva il rosario mirando le luci delle stanze vaticana. Come se il destino del mondo e della loro vita dipendesse dall’uomo che vive lì dentro. Un uomo ha scelto Dio per venire quaggiù. A pensarci vengono i brividi.
La mattina, dopo la messa nella cappella di Montecitorio, una parlamentare si chiede perché il Papa ha rinunciato. «Io sarei scappata tante volte per il peso della responsabilità, e lui che fa? Se ne va?». Un altro le risponde «ma glielo ha chiesto Cristo e lui ha obbedito tenendo conto della sua umanità, della Chiesa, quello è uno che sta davanti a Dio. Ma tu domanda di capire». Lei mentre corre tesa verso il sagrato: «Infatti son qui a sentire che mi dice». Siamo in piazza. I fedeli trepidano. «L’incredibile libertà di un uomo afferrato da Cristo. Grazie santità» è la scritta di uno striscione di Comunione e liberazione.
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Un altro ricorda la frase di San Paolo: «Non sono io ma Cristo vive in me». Come mai questa frase? «Aspettiamo ancora Lui che vivrà nel prossimo Papa». È la certezza semplice di un normale fedele che regge la scritta. Benedetto XVI arriva, boato. La gente applaude, qualcuno si scalda perché non lo vede. Ma «è lì lo vedo», rassicura una signora. «Eccolo è lui», urla un’altra. La papamobile gira e la folla con lei. Si ferma davanti a noi. Il Santo Padre prende un bimbo come suo solito e lo benedice. Il volto è sempre lo stesso, di una serenità misteriosa. Inizia la catechesi, così benedice anche la folla che improvvisamente si fa silente. «Avete conosciuto l’amore di Dio nella verità», è la lettera di san Paolo ai Colossesi, letta prima della catechesi papale. Pare riassumere questo ultimo pontificato. Vi ringrazio di essere venuti numerosi, sono commosso. Vedo una Chiesa viva». Come san Paolo ringrazia per la carità con cui lui guida la Chiesa. «In questo momento in me c’è fiducia».
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«Nel 2005 mi chiesi perché mi chiedesse questo, certo che mi avrebbe accompagnato. E anche se mi sono sentito spesso come Pietro sulla barca… so che lui c’era sempre su quella barca. Lui non abbandona la Chiesa». Perciò, continua, «affidiamoci a lui come bambini, perché ci ama e vorrei che tutti si sentano amati». Poi parla della carnalità del cristianesimo. «Perché io sono un uomo e mi ha sorretto l’amicizia dei cardinali e tanti che operano nel nascondimento». Cita le lettere di fedeli che «non mi hanno scritto come a un principe ma come a un fratello». Qui, continua, si capisce cosa è la Chiesa: un corpo vivo e non un’organizzazione. E ancora il ricordo dell’elezione del 2005. Da quel momento sono di Cristo senza più vita mia, la mia vita è sua, «quindi di tutti» precisa. E non si torna indietro. Racconta delle ore di preghiera perché Dio lo illuminasse, per «capire che voleva da me». «Ora lo seguo sulla croce», dice abbassando il tono della voce. E ancora l’ultima delle infinite frasi di conforto con cui in questi anni ci ha sostenuti davanti ai drammi che scuotono la Chiesa, proprio come fece Gesù con Pietro impaurito sulla barca: «Abbiate nel cuore la gioiosa certezza che lui vi ama e guida la sua Chiesa».
E si fa più pressante, anziché diminuire, la domanda della parlamentare, che è poi quella di ciascuno: «Che vuol dire servire Cristo? Non è solo rispondere ai compiti che ci dà anche se è dura? Cosa significa seguire tutti i giorni un Altro veramente?». Forse va continuamente chiesto a Lui, come ci ha insegnato papa Ratzinger in questi 7 anni e come continuerà a fare «per il bene vostro», ritirandosi, come ha detto all’ultimo Angelus, «sul monte della trasfigurazione».
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