«Il cristiano dev’essere per forza uno Spartaco». Don Giussani e la rivoluzione

Così, di fronte all’ostilità del mondo, sempre più subdola e pervasiva (si chiama omologazione), il fondatore di Cl chiamava alla resistenza: «La libertà innanzitutto, la libertà è l’uomo»

«Sono Elena di Firenze. Dopo un mese di scuola una ventina di persone hanno occupato il mio liceo. È successo che il nostro manifesto d’inizio anno è subito sparito, i giornalini che stavamo facendo sono stati strappati perché erano considerati strumenti di plagio e quindi da distruggere, mi hanno impedito di parlare con studenti che venivano a chiedere il mio giudizio, addirittura mi hanno minacciato di non farmi entrare a scuola perché sono di Cl, e io volevo domandarle: perché tanta ostilità nei nostri confronti?».

Questa è una domanda posta a don Luigi Giussani durante una riunione di responsabili di Gioventù studentesca del 1994. Don Giussani decide di rispondere «adeguatamente» e «analiticamente», perché si tratta della domanda che lui stesso si era fatto quarant’anni prima, quando aveva cominciato la sua attività di insegnamento della religione in un liceo pubblico, «salendo i famosi quattro gradini al Berchet tra il marciapiede e l’ingresso della scuola […] entravo per sfatare, per combattere questa domanda: perché tanta ostilità?».

Voglio qui riprendere la risposta perché dura e di forte richiamo alla presenza e al giudizio sul mondo che ci circonda. Mi permetterò di citare con una certa abbondanza, perché non se ne può fare a meno se si vuole rendere il tono e la tensione del discorso. Il testo, tratto da Realtà e giovinezza. La sfida (pagine 105-112), mi è stato segnalato dal mio amico Michele Cantoni, appassionato insegnante in una scuola superiore di Lugano. «Sembra veramente un’altra epoca», dice Michele. Come manifestazione di comportamenti, abbastanza, dico io, come sostanza mica tanto. Vediamo.

L’impero del plagio

«Prima di tutto», osserva Giussani, «l’uomo, man mano che si sviluppa, perciò dal bambino in su […] pensa, sente e quindi opera secondo lo standard creato dagli strumenti di diffusione sociale». Questi nell’antichità erano molto ridotti. Il popolo poteva essere «esteriormente» oppresso dal dispotismo «dell’imperatore» e dai suoi «soldati», ma quando la compagnia era quella abituale, dei familiari, parenti e amici, in fondo poteva pensare e fare quello che voleva, «molto più di ora». Adesso, con i nuovi strumenti di comunicazione – pensiamo appunto ai cosiddetti social – «l’imperatore penetra te che sei nel tuo letto, nell’intimità della tua casa e leggi il giornale oppure accendi la televisione». Nel pensiero, nei sentimenti e nell’azione, ti fa schiavo senza che tu te ne accorga.

«Mai la schiavitù è stata così vasta, imperante, profonda come adesso. Adesso uno Spartaco [lo schiavo che si ribellò al potere di Roma] sarebbe molto più difficile che emergesse… Hanno accusato te [la ragazza (insegnante?) della domanda] di plagio: ma il plagio è il sistema normale della comunicazione del pensiero oggi. Perché ti avrebbero impedito di entrare a scuola? Perché erano plagiati loro! E tu sei entrata in scuola per quel tanto per cui non eri ancora plagiata, per cui pensavi tu e volevi tu».

Giussani, citando Salvatore Garofalo – uno studioso della Bibbia, morto alla fine del secolo scorso – invita esplicitamente chi vuol salvare se stesso e tanto più la coscienza cristiana alla ribellione, come ha fatto Gesù che «è entrato nel mondo in polemica col mondo»; «il cristiano deve essere per forza uno Spartaco», anche se «mingherlino» e non tanto bravo a scuola. Un movimento è partito dal passo per scavalcare il primo dei quattro gradini che costituivano la soglia del liceo Berchet. Se la ragazza della domanda era all’equipe dei responsabili di Gs, se noi siamo qui oggi, è per un Movimento che si è diffuso a quasi un centinaio di paesi del mondo, persino alle steppe desolate della Siberia. Giussani riflette impressionato che tutto è nato da un punto; «un punto, un passo!».

In difesa della vita del popolo

Ma un passo bisogna fare, come hanno fatto Giussani e i ragazzi che l’hanno seguito, contro l’orrore di quella che Pasolini chiamava “omologazione”:

«Il livellamento di tutte le teste, di tutti i cuori e di tutti i metodi di vita, vale a dire l’uccisione di un popolo, perché un popolo è fatto di persone e non c’è una persona uguale all’altra, come pensiero, come cuore e come azione. Un popolo costruisce; gente omologata – anche se cento, mille volte superiore di numero – non crea niente: ripete, anzi, ripete scadendo».

Oggi tutti tendono ad andare nella stessa direzione, cambiandola secondo come spira il vento. Chi va in direzione contraria alla folla, magari all’inizio è lasciato passare, poi è ostacolato, trattenuto, colpito, ferito, così che si impaurisce e soprattutto si stanca fino ad adattarsi al sentire e al comportamento comune. Bisogna resistere, magari facendo un solo metro invece che tre, gridando, magari con un soffio di voce, «“La libertà innanzitutto, la libertà è l’uomo”. Questo è il cristiano, nella storia questo è il cristiano, e se non è così non è cristiano». Giussani è radicale.

«Qual è l’unica risposta all’omologazione? Fare la rivoluzione. Non è un concetto mio, è un concetto di Gesù, è la prima parola detta da Gesù: “Cambiate mentalità”, cambiate modo di giudicare, di vedere, di sentire, di gustare, di amare, di fare le cose […] come un fiume straripante che nessuno potrà mai fermare – e noi siamo la dimostrazione, dopo duemila anni, che nessuno lo può fermare. […] Un uomo “è”, se “cambia”. Se non è capace di cambiare non è un uomo: è una cosa».

E rivolto alla ragazza della domanda:

«Non possono non odiarti – amica mia – perché non sei come loro. Non è che tu nasca contro di loro, anzi, nasci per gridare quello che loro desiderano nel loro cuore originale, che hanno soffocato perché plagiati anche loro; e vorrebbero plagiare te. Tu gridi in modo tale da risvegliare, se fosse possibile, nel loro cuore, l’assetto originale, la ragione, desiderio di piena spiegazione, di verità, e di pieno godimento, di felicità; tu gridi in modo tale da risvegliare questi sentimenti costitutivi […]. Se sei contraria alla omologazione generale non potrai essere riconosciuta, non potranno lodarti, i giornali non parleranno di te, a meno di far scandalo contro di te, le televisioni non riprenderanno la tua faccia».

Cuori ottusi e cancellazione dell’altro

E oggi? I tempi sono cambiati, diceva Michele. Non ci sono più l’ostilità e la violenza, che negli anni Novanta già erano inferiori a quelle degli anni Settanta e Ottanta. Ci sono l’abulia e l’indifferenza, l’estraneità e la solitudine. I giovani sono “sdraiati”, secondo un’immagine che va per la maggiore, resistenti alla provocazione che vorrebbe rialzarli, insensibili al richiamo. Quelli più sensibili sono molto preoccupati della loro riuscita, in particolare nel lavoro; sono incerti nelle relazioni affettive, non riescono a prendere decisioni che valgano per sempre, assumendo responsabilità permanenti davanti a tutti. Certamente ci sono eccezioni ma il clima è quello. C’è omologazione nel senso che gli atteggiamenti prevalenti sono simili e nella direzione di quelli descritti. Si tratta, secondo me, di una omologazione da abbandono. Non è un’omologazione delle idee. È un’omologazione da assenza di idee, dalla mancanza cronica di proposta da parte degli adulti, che sono i veri “sdraiati”, che non fanno passare se non si aderisce al loro disimpegno e ristrettezza mentale.

L’ostilità non è abolita. Generalmente non si esercita più in un contrasto attivo, ma in un rifiuto passivo, derivante da un cuore ottuso, chiuso in se stesso, non allenato ad amare, a uscire da sé per andare incontro al destino dell’altro. La violenza di oggi è la cancellazione del diverso, della tradizione e della storia. Si distrugge con il senso comune, che disapprova tutto ciò che non sta nella propria testa, in una ragione che non è, come dice papa Benedetto, una finestra spalancata sul mondo, ma una stanza chiusa in cui non viene lasciato entrare l’imprevisto. Gli adulti, genitori, insegnanti ed educatori, hanno una grandissima responsabilità, perché la loro insistenza su regole che non sono proposte, ma solo recinzioni, non genera. E se un adulto non genera, non è un adulto, ma un bambino, spesso capriccioso.

«Sii fedele a quello che credi»

Così l’ostilità di cui parlano la ragazza e Giussani non è sparita, ha cambiato forma. È diventata più subdola, paradossalmente gentile e scontata, ma pervasiva nella sua ubiquità. Il cristiano si trova a essere sempre più strano e straniero in un mondo che pensa a tutt’altro, perso in mille attrazioni che sono anche distrazioni, etimologicamente strappi e rotture della personalità. Questo nella nostra società sviluppata e politicamente corretta. Poi ci sono le società, le frange e i gruppi scorretti e scorrettissimi, dove la violenza continua a essere legge. Secondo il rapporto World Watch List 2022, sulla persecuzione dei cristiani nel mondo, i cristiani perseguitati sono oltre 380 milioni, quelli uccisi 5.898 (+24 per cento rispetto al 2021) e quelli imprigionati 6.175 (+69 per cento).

Giussani conclude affermando che il cristiano entra «nella folla» del mondo dicendo il contrario di quel che essa si aspetta. Per esempio tutti dicono: «“Beati quelli che la fanno franca”, e lui: “Beato chi sa aiutare”; “Beato chi è ricco”, e lui: “Beati i poveri” […]. “Beato chi identifica la felicità con il rapporto con la donna”; e la donna per l’uomo diventa così come un animale che presti la sua faccia alla zampa di un altro animale».

«[Il cristiano] afferma che la vita è responsabilità, è libertà, che la vita dell’uomo dovrà render conto di questa libertà e di questa responsabilità. L’inferno è il concetto più importante nella concezione cristiana dell’uomo. Perché? Perché senza l’inferno non ci sarebbe libertà. […] La vita è una battaglia […] una strana guerra che si combatte tutta quanta in se stessi […] perché la fedeltà al vero in mezzo alle grida ostili di quelli che non capiscono, è un problema di cuore tuo, non di odio loro […]. Tu sii fedele a te stessa, a quello che hai visto, a quello che ami, a quello che credi, ti giuro che entro un anno, due anni…».

Avrai la risposta, fa intendere Giussani. Anche a me capita così.

Una versione di questo articolo è pubblicata nel numero di gennaio 2023 di Tempi. Abbonati per sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

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