
La preghiera del mattino
Il peso della crisi strutturale di Torino sugli equilibri dell’Italia

Su Huffington Post Italia si scrive: «Lui è Massimo Segre, commercialista, finanziere e banchiere vicino a Carlo De Benedetti. Lei è Cristina Seymandi, bionda quarantenne, già collaboratrice dell’ex sindaca di Torino Chiara Appendino passata poi con Paolo Damilano, candidato sindaco di centrodestra. Sono loro la coppia della Torino bene che da ieri spopola sui giornali italiani, dopo il video delle nozze saltate. Video in cui si vede l’ex promesso marito che in una festa che avrebbe dovuto essere l’occasione per l’ufficializzazione della proposta di matrimonio prende la parola, ringrazia gli inviati e poi spiega perché non sposerà la donna che è tra loro, Cristina Seymandi».
Non è inutile osservare come uno degli scandali che hanno movimentato l’estate italiana abbia il suo epicentro nel cuore della grande borghesia torinese, un tempo nota per la sua riservatezza.
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Su Dagospia dall’articolo di Alberto Marzocchi per ilfattoquotidiano.it: «Alla fine è arrivato il no: il direttore de La Repubblica, Maurizio Molinari, si è rifiutato di pubblicare sul giornale […] la nota con cui i giornalisti prendevano le distanze dall’articolo firmato da Alain Elkann (padre dell’editore, John) uscito sulle pagine culturali lunedì 24 luglio. Il racconto di Elkann (Sul treno per Foggia con i giovani “lanzichenecchi”) ha creato molti malumori sia nella redazione romana di largo Fochetti sia in quelle locali (oltre ad essersi attirato le critiche sui social, ieri, e su alcuni quotidiani, oggi)».
Anche la storia dello snobismo kitsch di Alain Elkann e dell’imbarazzo del povero Maurizio Molinari ci parla molto del tramonto dell’antico mondo torinese.
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Su Affari italiani si scrive: “Chissà come mai Lapo Elkann ha attaccato Evelina Christillin (“Grottesca, senza dignità, arrampicatrice sociale”), già molto vicina al nonno Gianni e alla real casa Agnelli?”
La ben nota raffinatezza di Lapo Elkann aggiunge qualche pennellata di colore al quadro che cerchiamo di farci della nuova Torino.
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Su Fanpage Michele Mazzeo scrive: «La riflessione fatta da Flavio Briatore riguardo al mercato automobilistico italiano è inevitabilmente destinata a far discutere. E i toni utilizzati dall’imprenditore piemontese, che nel mondo delle quattro ruote ha un trascorso tutt’altro che irrilevante, soprattutto nei confronti della più popolare casa automobilistica dello Stivale, la Fiat (che ora fa parte del gruppo Stellantis), a cui ha riservato pesanti critiche. L’ex team manager della Benetton e della Renault in Formula 1 percorrendo la tratta che da Monte Carlo porta a Forte dei Marmi ha infatti notato come in strada abbia incrociato pochissimi veicoli di case italiane».
E altre riflessioni ci suggeriscono le rozze ma non insignificanti annotazioni di Briatore. La costruzione dell’Italia ha avuto due principali poli: la Torino prima dei Savoia e poi degli Agnelli, e insieme Roma. Quella che mi pare una crisi strutturale del capoluogo del Piemonte è compensata da un certo ruolo che la città Caput mundi ha ripreso anche grazie alla premiership di Giorgia Meloni. La Capitale italiana ha i suoi problemi, dopo una serie di sindaci impresentabili come Gianni Alemanno, Ignazio Marino e Virginia Raggi (oggi Roberto Gualtieri pur loffio non è però al pessimo livello dei suoi immediati predecessori), però la questione principale è che il Vaticano, così importante per i destini romani e nazionali, sembra essere più interessato alla Cina che all’Italia. La destra oggi al governo dovrebbe farsi un’idea più precisa dei possibili equilibri di una nazione così complicata (innanzi tutto grazie al suo eccesso di storia) come la nostra.
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