«Credo in Gesù, non in Allah». Ecco perché vogliono impiccare Shagufta Kiran

Di Leone Grotti
06 Ottobre 2024
La donna è stata condannata a morte solo per avere professato la sua fede cristiana. «L'intero processo è ridicolo»: intervista ad Akmal Bhatti, presidente dell'Alleanza delle minoranze del Pakistan
Shagufta Kiran, cristiana, madre di quattro figli, condannata a morte in Pakistan per false accuse di blasfemia
Shagufta Kiran, madre cristiana di quattro figli, è stata condannata a morte in Pakistan per false accuse di blasfemia il 18 settembre

Che cosa ha scritto di così grave su Whatsapp la madre cristiana di 40 anni Shagufta Kiran da meritare la condanna a morte in Pakistan per blasfemia? «Ha semplicemente affermato che non crede in Allah, ma in Gesù Cristo». Così rivela a Tempi Akmal Bhatti, avvocato cattolico, difensore dei diritti dei cristiani perseguitati e attuale presidente dell’Alleanza delle minoranze del Pakistan (Map).

Il caso di Kiran ha fatto il giro del mondo: la donna è l’ennesima vittima dell’abuso da parte di estremisti islamici della legge sulla blasfemia, che in Pakistan punisce con l’ergastolo o la pena di morte chi offende la religione islamica e Maometto. «Kiran è innocente», spiega Bhatti. «L’intero processo è ridicolo».

Avvocato, perché non ritiene legittima la condanna a morte di Kiran?
Innanzitutto, Kiran non è stata solo condannata a morte da un tribunale speciale dell’Agenzia federale delle indagini a Islamabad. È stata anche condannata a sette anni di carcere per reato cibernetico e a pagare una multa da 300 mila rupie pakistane.

C’è stato accanimento da parte dei giudici?
I giudici, come anche la polizia, subiscono le pressioni dei fanatici religiosi. Ed è per questo che non hanno neanche condotto delle indagini. Prima ancora di entrare nel merito del caso bisogna dire che Kiran non ha avuto un giusto processo secondo gli standard internazionali, non ha neanche avuto la possibilità di dimostrare la sua innocenza.

Com’è stata dimostrata invece la sua colpevolezza?
Questo è l’altro problema. Kiran è accusata di blasfemia per dei messaggi offensivi verso l’islam e Maometto. Ma lei non è l’autrice di quei messaggi: non li ha scritti, li ha semplicemente inoltrati in una chat.

Akmal Bhatti, avvocato e presidente dell'Alleanza delle minoranze del Pakistan
Akmal Bhatti, avvocato e presidente dell’Alleanza delle minoranze del Pakistan

Che cosa contenevano quei messaggi?
L’uomo che ha accusato Kiran ha portato a conoscenza della corte messaggi scritti e audio in cui Kiran sostiene di non credere in Allah, ma in Gesù Cristo.

Tutto qui?
Tutto qui. La donna ha semplicemente difeso la sua fede, affermando di non riconoscere alcun profeta e sostenendo che solo il cristianesimo è la vera religione e che solo Gesù Cristo è il nostro salvatore. Non ha mai insultato Maometto. Ma non credere in lui non può essere considerata blasfemia.

La libertà religiosa e di espressione non sono tutelate in Pakistan?
In teoria sì, la Costituzione del Pakistan è molto chiara ma i giudici hanno paura degli estremisti islamici. Esistono organizzazioni politiche che mobilitano le masse dei credenti, istigandole a uccidere tutti coloro che, ai loro occhi, commettono blasfemia.

Che cosa ci guadagnano?
Viviamo in una società sempre più velenosa. Gli estremisti hanno spesso secondi fini e sfruttano la legge sulla blasfemia per ottenere vantaggi personali e per colpire i propri nemici.

In una sentenza del 2015 la Corte Suprema pakistana scrisse che «la maggioranza dei casi di blasfemia sono basati su false accuse che scaturiscono da vendette familiari, problemi economici o altri problemi personali».
È così e in base ai dati raccolti dall’Alleanza delle minoranze pakistane i casi sono in continua crescita. Solamente la scorsa settimana due persone accusate di blasfemia in due diverse province del paese sono morte mentre si trovavano sotto la custodia della polizia. Gli imputati dovrebbero essere giudicati in un regolare processo, non uccisi prima ancora che cominci. Questa si può chiamare giustizia?

Perché accadono simili atrocità?
Ci sono molti poliziotti che sono d’accordo con gli estremisti religiosi e politici. Esiste un partito, il Tehreek-e-Labbaik Pakistan (Tlp), che annuncia pubblicamente la formazione di squadroni per andare a uccidere le persone che commettono blasfemia. Molto spesso si tratta di cristiani, ma noi cristiani siamo cittadini del Pakistan come tutti gli altri e il governo ha il dovere di proteggerci.

Che cosa dovrebbe fare lo Stato?
Dovrebbe innanzitutto fare ciò che prevede la Costituzione, garantire cioè sicurezza e giustizia ai suoi cittadini. Un’accusa di blasfemia spesso equivale a una condanna a morte. Eppure, anche in quei casi in cui il tribunale riconosce che le accuse di blasfemia erano false e manipolate, non emette alcuna condanna nei confronti dei falsi accusatori. Chi calunnia deve essere punito. Ma le misure necessarie sono tante.

I cristiani perseguitati di Faisalabad protestano contro le violenze dei musulmani in Pakistan
Proteste a Faisalabad contro le violenze anticristiane di Jaranwala seguite a un falso caso di blasfemia (Ansa)

Quali altre sarebbero utili per migliorare la situazione in Pakistan?
I partiti politici estremisti come il Tlp dovrebbero essere banditi: non si può permettere loro di candidarsi liberamente alle elezioni. Bisognerebbe infine cambiare gli articoli 295 A, B e C del codice penale – quelli riguardanti la blasfemia – affinché in questi casi delicati le indagini siano affidate a dipartimenti speciali della polizia. Troppi estremisti si sono infiltrati in tutti i gangli del potere, impendendo che vengano protetti i diritti dei non musulmani. Il governo deve agire.

Due settimane fa Alina Masih, una cristiana di 14 anni rapita, convertita a forza all’islam e obbligata a sposarsi con il suo rapitore musulmano doveva tornare con i suoi genitori. Ma il tribunale non ha voluto o potuto liberarla. Quanto sono frequenti questi casi?
Ogni anno più di 1.200 ragazze, soprattutto cristiane e indù, vengono rapite, sposate a forza al loro sequestratore e convertite con le minacce all’islam. I casi probabilmente sono molti di più, ma tanti restano nascosti. Purtroppo nella società pakistana i cristiani sono sempre sotto pressione.

Che genere di pressioni?
Di ogni tipo. Ad esempio, i giornali pubblicano spesso storie di cristiani che si convertono all’islam e incoraggiano la gente a fare altrettanto. Molte persone cambiano religione perché in cambio ottengono soldi o favori. Dovrebbe essere illegale forzare così la volontà delle persone, ma viene permesso ugualmente.

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