
Craxi e il giorno in cui finì la politica

Una folla inferocita che scaglia di tutto (sassi, pezzi di vetro e soprattutto monetine) contro uno dei politici più potenti degli anni Ottanta, Bettino Craxi. È questa una delle immagini più celebri di Mani Pulite: l’aggressione ai danni del leader socialista fuori dall’Hotel Raphaël avvenuta il 30 aprile 1993, dopo che la Camera aveva respinto quattro delle sei autorizzazioni a procedere nei suoi confronti. Ed è questa la data che dà il titolo al volume di Filippo Facci, 30 aprile 1993. Bettino Craxi. L’ultimo giorno di una Repubblica e la fine della politica.
La fine della Repubblica dei partiti
Il tentato linciaggio ai danni di Craxi è un momento cruciale che, come rileva giustamente Facci, segna una profonda discontinuità tra un prima e un dopo. È la fine della Repubblica dei partiti, distrutta dalla rivoluzione giudiziaria guidata dal pool di Milano, e l’inizio di una nuova fase storica priva delle forze politiche tradizionali, ad eccezione del Pci-Pds risparmiato dalla furia di Antonio Di Pietro e sodali. Ed è anche il trionfo simbolico del giustizialismo di Mani Pulite. Una serie di inchieste sulla corruzione e il finanziamento illecito ai partiti che diventa invece un processo mediatico e di piazza nei confronti del sistema partitico che viene preventivamente condannato dai media e dalla gente, espressione che in quegli anni sostituisce il più tradizionale e neutro “cittadini’’.
Il “re dei ladri”
Quella di Mani Pulite, come racconta Facci, è a tutti gli effetti una rivoluzione giudiziaria che si innesca con l’arresto di Mario Chiesa e si compie con il processo Cusani, con i politici che vengono interrogati in diretta televisiva da uno scatenato Di Pietro nei panni del vendicatore-giustiziere che incarna la rabbia e la furia della gente. Tra l’arresto di Chiesa e il processo Cusani vanno in frantumi le garanzie dello Stato di diritto: qualsiasi indagato diventa colpevole; viene, di fatto, annullata la presunzione di non colpevolezza e ogni avviso di garanzia si trasforma in una condanna.
Quotidiani, mensili e telegiornali, come dimostra Facci tramite il sapiente uso delle fonti dell’epoca, processano con il pieno appoggio degli italiani la classe dirigente della Prima Repubblica. E poi sostengono acriticamente l’operato del Pool di Milano, trasformando i magistrati in superstar, in liberatori del Paese. Di Pietro diventa una celebrità, lodato per qualsiasi gesto, in contrapposizione a Craxi, il re dei ladri che viene invece brutalmente demonizzato, diventando il nemico numero uno da abbattere nella caccia al Cinghialone (soprannome affibbiatogli da L’Indipendente di Vittorio Feltri).
Una caccia in cui tutto è lecito: violare il segreto istruttorio sbattendo i verbali degli interrogatori in prima pagina, distruggere la reputazione degli indagati, utilizzare la carcerazione preventiva per estorcere confessioni e ignorare scientemente la presunzione di non colpevolezza.
La lettera di Moroni
In questo clima, definito da Craxi infame, tra il 1992 e il 1994 si registrano trentadue suicidi. Particolarmente tragico quello del deputato bresciano Sergio Moroni che, prima di spararsi, scrive una lettera, indirizzata al Presidente della Camera Giorgio Napolitano, che riassume lucidamente il contesto dell’epoca:
«Non mi pare giusto che una vicenda tanto importante e delicata si consumi quotidianamente sulla base di cronache giornalistiche e televisive, a cui è consentito di distruggere immagine e dignità personale di uomini solo riportando dichiarazioni e affermazioni di altri. Mi rendo conto che esiste un diritto all’informazione, ma esistono anche i diritti delle persone e delle loro famiglie. […] Non credo che questo nostro Paese costruirà il futuro che si merita coltivando un clima da «pogrom» nei confronti della classe politica, i cui limiti sono noti, ma che pure ha fatto dell’Italia uno dei Paesi più liberi.
[…] Oggi vengo coinvolto nel cosiddetto scandalo tangenti, accomunato nella definizione di “ladro” oggi così diffusa. Non lo accetto, nella serena coscienza di non avere mai personalmente approfittato di una lira. Ma quando la parola è flebile, non resta che il gesto. Mi auguro solo che questo possa contribuire a una riflessione più serie e più giusta, a scelte e decisioni di una democrazia matura che deve tutelarsi. Mi auguro soprattutto che possa servire a evitare che altri nelle mie stesse condizioni abbiano a patire le sofferenze morali che ho vissuto in queste settimane, a evitare processi sommari (in piazza o in televisione) che trasformano un’informazione di garanzia in una preventiva sentenza di condanna».
Il cappio in Parlamento
La lettera di Moroni è una delle testimonianze più significative del triennio 1992-1994 che racconta perfettamente gli effetti perversi del circuito mediatico-giudiziario alimentato grazie agli arresti spettacolo e a un pool di giornalisti che si coordina, fomentando l’opinione pubblica e il clima di caccia alle streghe che vede andare in pezzi tutte le garanzie dello Stato di diritto.
Un clima a cui contribuiscono anche i partiti antisistema. In primis, il Pds che sfrutta l’onda giustizialista per nascondere il fallimento storico del comunismo, accentuando così la vena moralistica di Berlinguer; la Lega che promuove il processo a Roma ladrona (basti pensare al cappio sventolato alla Camera da Luca Leoni Orsenigo) e anche il Movimento Sociale Italiano che sostiene Di Pietro e il suo protagonismo. Senza dimenticare gli affondi della Rete di Leoluca Orlando. La politica, insomma, cede alla magistratura e asseconda il suo operato senza batter ciglio. Paradigmatico il «voglio vedere Craxi consumare il rancio nelle patrie galere» di Francesco Rutelli.
La sbornia manettara
Facci riesce a far rivivere al lettore il clima infuocato di Mani Pulite grazie a una ricostruzione minuziosa che si basa su dichiarazioni, agenzie, articoli, interviste e interventi parlamentari.
E soprattutto riesce a far parlare i fatti e gli eventi che, a distanza di quasi trent’anni, rivelano la sbornia manettara e giacobina che investì l’Italia dei primi anni Novanta, i cui effetti continuano a pesare sul nostro Paese.
Foto Ansa
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