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Così la Corte suprema Usa ha rimesso i giudici al loro posto (non solo sull’aborto)

Di Alfredo Mantovano
18 Luglio 2022
La sentenza Dobbs v. Jackson è importante anche perché rimette in sesto il quadro costituzionale danneggiato dalla “giuristocrazia”: creare le norme non spetta alle Corti, bensì ai rappresentati del popolo
Protesta davanti alla Corte suprema Usa
Protesta davanti alla Corte suprema Usa dopo l’annuncio della sentenza che ha cancellato il diritto costituzionale all’aborto, Washington, 24 giugno 2022 (foto Ansa)

«Un paese che ha un disperato bisogno di ritrovare il senso della politica che è dialogo […] sprofonda sempre più nelle guerre culturali: conflitti basati su convincimenti ideologici che rendono pressoché impossibile ricucire i fili di un dialogo democratico»: in questi termini il Corriere della Sera ha commentato la sentenza della Corte suprema statunitense in tema di aborto, il 25 giugno scorso, all’indomani della pronuncia.
Dunque, per il principale quotidiano italiano, con un editoriale comparso in prima pagina, il “dialogo democratico” si realizza per imposizione di sentenza, non per dibattito in un Parlamento. Dobbs v. Jackson, al netto della questione aborto, è il provvedimento giudiziario più odiato degli ultimi decenni anche perché si contrappone a questo convincimento.
Facciamo un passo indietro. Gli Stati Uniti sono una repubblica che nel corso dei decenni si è formata per progressiva federazione di Stati già esistenti. Ricordarlo è banale, ma non guasta, soprattut...

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