
Così in Inghilterra il bisogno di tornare a scuola ha battuto la paura del virus

Ieri è stato il gran giorno in Inghilterra, quello dei rientro di milioni di bambini in classe dopo due mesi di scuole chiuse. Gli ultimi dati sull’epidemia davano un calo di contagi, decessi e ricoveri nell’ultima settimana rispettivamente del 26, 34 e 30 per cento. Quasi 22 milioni e 400 mila le persone che hanno già ricevuto la prima dose del vaccino, oggi disponibile anche per gli over 55. Sono queste le premesse, fondamentali e incoraggianti, che hanno portato il governo a iniziare un vasto piano di allentamento delle restrizioni a partire dalle scuole e con l’approvazione, per niente scontata, di milioni di famiglie.
L’adesione volontaria ai test Covid per il rientro in sicurezza e graduale nelle scuole secondarie, che inizierà la prossima settimana, viaggia tra il 90 e il 100 per cento (ai ragazzi è stato chiesto di fare tre test a scuola prima di passare a quello da fare a casa due volte a settimana: il governo ha fornito a questo proposito milioni di kit a scuole e famiglie). E pur non essendo obbligatoria la mascherina, tranne nei casi in cui non sia possibile rispettare il distanziamento sociale, il 90 per cento degli studenti dichiara che la indosserà. Niente test Covid né mascherina invece per il rientro alle scuole primarie.
La prima preoccupazione
La preoccupazione educativa e sociale per bambini e ragazzi a casa ha superato quella per il contagio. Oggi il governo ha nominato un “commissario per il recupero dell’istruzione”, sir Kevan Collins. Si sta valutando di allungare sia il calendario sia la giornata scolastica per aiutare il recupero della didattica. E, dopo la cancellazione di una serie di esami previsti dall’ordinamento inglese, verrà studiato un nuovo sistema di valutazione adeguato alla situazione presente. Downing Street ha inoltre annunciato che verranno stanziati 1,7 miliardi di sterline per sostenere programmi di recupero estivi e tutor per i bambini delle fasce svantaggiate e più colpiti dalla chiusura delle scuole.
Al pari di quelle dei medici, infatti, in questi mesi si sono alzate le voci di accademici, psicologi e psichiatri che hanno denunciato a più riprese gli effetti dell’isolamento e dell’interruzione della socializzazione in un paese, l’Inghilterra, in cui il suicidio era la prima causa di morte tra i 5 e i 19 anni e un bambino su 8 riceveva supporto psicologico o presentava problemi di salute mentale già prima della pandemia. Anche la “commissaria” della scuola inglese Amanda Spielman ha denunciato l’aumento preoccupante di disturbi alimentari e di episodi di autolesionismo tra gli studenti in preda alla noia, alla solitudine, alla paura e alla miseria durante l’isolamento.
C’è anche un allarme malnutrizione
E non solo fra i piccoli: in aumento i tentativi di suicidi anche tra i giovani universitari “schiacciati dal peso del lockdown”. Il Newham Community Project, una delle banche del cibo più famose di Londra, ha sottolineato la condizione di estrema indigenza in cui la pandemia ha gettato centinaia di studenti stranieri, in primis indiani, che hanno iniziato ad affollare le mense dei poveri perché «morivano letteralmente di fame» strozzati dal costo delle rette e dall’impossibilità di sostenerlo lavorando. Secondo il Trussell Trust il 14 per cento delle famiglie inglesi non è riuscito a nutrire in modo appropriato i propri bambini e l’impatto peggiore si è avuto sui ragazzi tra i 12 e i 24 anni.
Da qui l’attesa di milioni di famiglie per un ritorno alla normalità nei tempi più rapidi possibili. Nonostante il coronavirus. Una importante indagine dell’Istituto per gli studi fiscali ha dimostrato che 9 famiglie su 10 avrebbero rimandato i figli a scuola in presenza anche se non fosse stato obbligatorio: per due genitori su tre la prima preoccupazione non è la possibilità del contagio ma la difficoltà a imparare dei propri figli, un prezzo troppo alto che stanno pagando bambini e giovani.
Il rischio zero non esiste
«Con il passare del tempo ci siamo resi conto che gli svantaggi dovuti al fatto che i nostri figli non andavano a scuola erano un rischio maggiore rispetto alla possibilità di prendere il Covid», raccontano al Guardian molti genitori che per primi si erano tappati in casa per proteggere la famiglia dai contagi. «I bambini vengono testati all’infinito prima di entrare in classe, i tassi di Covid sono bassi e gli insegnanti aprono finestre ad ogni occasione, quindi di cosa abbiamo paura?». «Temendo il rischio di prendere il Covid abbiamo perso di vista il rischio reale di tenere i bambini fuori dalla scuola». Pochissime le voci di chi si dice invece «pietrificato» dal terrore delle varianti e dall’incapacità del governo di aspettare l’azzerarsi dei casi: c’è chi fino ad allora terrà i figli a casa, e chi sostiene che «con un finanziamento adeguato genitori e insegnanti potrebbero gestire bene la scuola a distanza».
Ma il rischio zero non esiste. E nemmeno il caso zero, in un momento in cui il paese prova a reagire e lo fa partendo dalle scuole. Per questo dovrà essere bravo il governo, scrive giustamente lo Spectator, a spiegare un fisiologico rialzo dei casi per non lasciare soltanto ai numeri l’ultima parola, oggi che «3,4 milioni di bambini delle scuole secondarie e 440 mila insegnanti di ogni ordine e grado verranno regolarmente testati due volte a settimana. In altre parole, quasi quattro milioni di persone in Inghilterra che in precedenza sarebbero state sottoposte a test solo se avessero sviluppato sintomi e si fossero presi la briga di contattare Nhs Test and Trace in futuro saranno testate di default».
Il dovere di spiegare i numeri
Quanto sarà reale allora un rallentamento nel declino dei nuovi casi e quanto dipenderà da un massiccio sistema di controllo? I numeri andranno spiegati perché il panico non porti a richiudere i cancelli degli istituti, «e sappiamo bene, per come si sono comportati in passato, che alcuni sindacati di insegnanti non perderanno occasione per chiedere che i bambini vengano rimandati a casa», avverte lo Spectator.
Secondo un monitoraggio effettuato su 17 paesi da parte del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), le scuole non hanno svolto un ruolo significativo nella propagazione del virus all’inizio della seconda ondata in Europa. Non solo, la chiusura delle scuole non basta a impedire il dilagare del Covid, e i tassi di positività riscontrati nella fascia tra i 16 e 18 anni sono simili a quelli degli adulti tra i 19 e i 39 anni. Secondo l’Ecdc l’incidenza nelle scuole è influenzata dai livelli di trasmissione nella comunità e il contagio nelle scuole ha rappresentato la minoranza di tutti i casi di Covid in ciascun paese: nonostante siano stati associati a un rischio più elevato, gli insegnanti e il personale educativo non sono risultati più a rischio di altre professioni. Lo studio è stato pubblicato alla fine di dicembre e non analizza l’epidemiologia relativa alle varianti che hanno portato alla lunga serrata del Regno Unito nelle scorse settimane, ma resta il messaggio: l’impatto negativo sulla salute mentale, fisica, sull’istruzione e sulla società della politica delle chiusure sta superando protezione e benefici.
L’urgenza di convivere con il virus
Su Science, i ricercatori della Emory e della Penn State University hanno rilanciato con forza la necessità di convivere col virus e lasciarlo circolare (ovviamente proteggendo man mano le persone col vaccino e presidi d’ordinanza) altrimenti questa pandemia, a furia di chiusure indiscriminate che ne impediscono la “normalizzazione”, finirà tra vent’anni. Un nuovo studio condotto da ricercatori della Duke University, della Harvard Medical School e della Johns Hopkins University suggerisce infine che la recessione economica indotta dalle chiusure per il Covid potrebbe uccidere più della malattia, mettendo a repentaglio la vita di centinaia di migliaia di americani per almeno due decenni: secondo gli autori del paper, nei prossimi 20 anni moriranno 1,37 milioni di persone in più rispetto a quante ne morirebbero senza la disoccupazione causata dalla pandemia. I ricercatori non vogliono suggerire risposte, ma aprire una domanda: se chiusure e le restrizioni salvano vite oggi, ma costeranno vite nei prossimi anni, qual è la risposta politica giusta? Quella dell’Inghilterra, vaccinando il più possibile, è provare ora a convivere col virus.
Foto di Kelly Sikkema per Unsplash
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