
Il nostro paese ha un’economia caratterizzata dall’intensificazione degli scambi economico-commerciali e degli investimenti internazionali su scala mondiale; la terza più sviluppata dell’Unione Europea e l’ottava nel mondo in base al Pil che fa dell’Italia uno Stato influente del G7 e del G20. Nel 2022 i maggiori alleati commerciali sono stati la Germania, con una quota di mercato che supera il 12 per cento, gli Stati Uniti (10 per cento circa), Francia (10 per cento) e Spagna (5 per cento). Sul fronte delle importazioni, invece, in testa c’è sempre la Germania con una quota pari al 13 per cento circa, seguita da Cina (poco meno del 9 per cento) e Francia (7 per cento). In cima l’Europa quindi, ma con un peso crescente del Nord America.
Ma concretamente, quanto vale questo processo di penetrazione in nuovi mercati esteri da parte delle nostre aziende? I dati Istat sopra evidenziati per quanto puntuali non tengono conto della produzione espressa da società estere controllate da una casa madre italiana, produzione quantificabile in circa 560 miliardi di euro. Se si aggiunge a questa cifra il valore del nostro export, pari a circa 500 miliardi di euro annui, possiamo affermare che l’internazionalizzazione delle nostre imprese ha un valore di circa 1.000 miliardi di euro all’anno.
Sace e Simest, il Polo dell’export
Per rimanere competitivi occorre però aumentare la presenza nei mercati esteri: il sistema pubblico (ministero degli Esteri) allo scopo mette a disposizione strumenti e attività che offrono un supporto ottimale alle aziende che vogliono aprirsi a nuovi mercati esteri instaurando rapporti con altri partner, aziende, consumatori e istituzioni operanti su quei territori allo scopo di vendere, produrre, acquistare materie prime. Lo scorso anno Sace, tornata a marzo sotto il diretto controllo del ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef), e che assieme a Simest Spa costituisce il Polo italiano dell’export e dell’internazionalizzazione, ha sostenuto esportazioni, garantito finanziamenti e supportato liquidità e investimenti green complessivamente per 54 miliardi di euro, per un totale di ben 26 mila progetti e al fianco di 37 mila imprese, la maggior parte di dimensioni medie e piccole, sia con proposte assicurativo-finanziarie, sia con servizi di accompagnamento di formazione e business promotion.
Invitalia e lo sviluppo del Mezzogiorno
Invitalia, Agenzia per lo sviluppo, controllata al 100 per cento dal Mef, ha invece lo scopo di accrescere la competitività dei territori e sostenere i settori economici strategici, in particolare nel Mezzogiorno; nei primi mesi di quest’anno ha finanziato oltre 1.400 start up innovative e quasi 20 mila Pmi, ha attivato 11,7 miliardi di euro in investimenti, concesso 4,3 miliardi di euro di agevolazioni e creato/salvaguardato quasi 500 mila posti di lavoro.
Rilevanti anche i numeri di Simest, società del gruppo Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) che nel 2022 ha stanziato 524 miliardi di euro per supporto all’export, 133 milioni di euro come prestiti partecipativi e fondo di venture capital e 1.081 miliardi di euro come finanziamenti agevolati per l’internazionalizzazione e Pnrr. Sempre nell’ambito del Pnrr il Maeci (ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale) ha stanziato oltre 1 miliardo di euro con lo scopo di sostenere la transizione digitale e la sostenibilità ambientale delle Pmi.
La necessità di “fare sistema” come Francia e Germania
Capita però spesso che le aziende più piccole non riescano a beneficiare di tutte queste opportunità per carenza di informazioni o di strutture amministrative idonee a stare dietro ai nuovi progetti. In questi ultimi anni le piccole imprese hanno saputo adattarsi ad ogni crisi: il 2022 è stato un anno di ripresa decisa dopo la crisi causata dal Covid, con una crescita superiore alle attese; i bilanci hanno mostrato dati in netto recupero per tutti gli indicatori del conto economico, spesso su valori addirittura migliori rispetto al 2019, e risultati rilevanti sono stati raggiunti anche riguardo ai tempi e alla regolarità dei pagamenti e sul fronte del rischio di credito, che ha registrato un miglioramento generale della solidità e della capacità di far fronte agli impegni finanziari assunti da parte delle imprese, anche grazie al rapido sostegno del governo e delle istituzioni europee.
Occorre però adesso adottare scelte strategiche equiparabili a quelle di Francia e Germania per rafforzare in Europa e nel mondo il made in Italy, senza lasciare indietro nessuno, perseguendo lo scopo di creare “big” nazionali nei settori più strategici e sostenere con tutti gli sforzi la crescita delle nostre aziende, piccole, medie e grandi.
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