Così abbiamo finito per interiorizzare gli orribili comandamenti dell’eugenetica

Storia delle teorie scientifiche e delle leggi che imposero per anni nel mondo “civile” atroci sofferenze e ingiuste punizioni a migliaia di esseri umani “inadatti”. E perché oggi in fondo non è molto diverso da allora

Foto di Louis Reed su Unsplash

Per gentile concessione del Catholic Herald, proponiamo di seguito in una nostra traduzione un articolo di Anthony McCarthy apparso il 12 giugno nel sito web del mensile britannico. La versione originale inglese dell’articolo è disponibile in questa pagina.

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Il mese scorso, un sondaggio di opinione condotto dai ricercatori della Harvard Medical School ha rilevato che tre adulti su quattro sono favorevoli allo screening “poligenico” preimpianto degli embrioni umani creati attraverso la fecondazione in vitro (Fiv). I fautori di questi test in vitro sostengono che essi consentiranno di stimare la probabilità che il futuro bambino sviluppi determinate patologie legate all’influenza di più geni, come il diabete, le malattie cardiache e la depressione. Lo stesso sondaggio ha rilevato che circa un adulto su tre approva l’idea che tali test vengano utilizzati per prevedere caratteri non correlati alle malattie. Quasi tutti gli intervistati, tuttavia, hanno dichiarato di essere preoccupati per le potenziali conseguenze negative dello screening per gli individui e la società.

Per “screening” si intende, ovviamente, l’identificazione di embrioni umani con geni non ottimali e la deliberata distruzione di queste vite umane allo stadio iniziale. Questa nuova forma di eugenetica è divenuta possibile grazie all’avvento della fecondazione in vitro, una pratica di cui, così come per la teoria eugenetica, la Gran Bretagna è stata pioniera.

Il termine eugenetica, un neologismo di derivazione greca che significa “nato bene”, fu coniato da Francis Galton, fondatore del movimento della genetica comportamentale, che la definì «lo studio delle azioni soggette a controllo sociale che possono migliorare o compromettere le qualità razziali delle generazioni future, dal punto di vista sia fisico che mentale». Si noti che l’eugenetica dei giorni nostri può essere meno interessata – almeno a livello dei genitori – alle generazioni future e più impegnata invece nel garantire l’adeguata “qualità” del proprio figlio, anche con mezzi distruttivi.

L’assunto principale dei primi eugenisti era che le malattie mentali, la cecità, la sordità e altre disabilità fossero dovute principalmente a cause ereditarie. Sulla base di questo presupposto (perché di questo si trattava) quei pionieri proposero una serie di misure sociali, tra cui la pianificazione familiare, la sterilizzazione e la segregazione, in particolare per le persone «mentalmente difettose» o «deboli di mente». Queste idee si diffusero rapidamente dalla Gran Bretagna al Nord America, alla Scandinavia e ad altre parti d’Europa, compresa la Germania. Per dirla con le parole dei ricercatori Randall Hansen e Desmond King, «molti eugenisti ritenevano che chi soffriva di queste malattie fosse maggiormente predisposto alla procreazione, con il risultato che intere nazioni e/o continenti si trovassero a essere biologicamente inferiori».

La Gran Bretagna ha anche regalato al mondo la nuova teoria etica dell’utilitarismo, che mirava a sistematizzare il pensiero etico riducendolo a princìpi fondamentali inerenti alla massimizzazione del piacere o del benessere. In questo modo, l’utilitarismo mirava a dettare e a giustificare un intero sistema di valori e a fornire una pubblica moralità alla quale la moralità privata potesse essere adattata.

La ricerca della «massima felicità per il maggior numero di persone» privilegiava il benessere pubblico e comportava riguardo alla vita morale una marcata diminuzione dell’importanza delle nostre intenzioni e della nostra coscienza. Questa mentalità tanto amata dai “public servants” implica la necessità, in nome della salute pubblica, di un controllo diretto o indiretto sulla sfera privata da parte dell’élite. Le forme di utilitarismo che cercano di concedere più spazio al “privato” sono caratterizzate da un’intrinseca instabilità dinanzi alle preponderanti esigenze di salute pubblica.

La combinazione di questo modo di pensare con l’eugenetica portò nel 1910 la Eugenics Education Society ad annunciare l’intenzione di formulare una proposta di legge parlamentare per la detenzione obbligatoria dei «deboli di mente». L’iniziativa fu accolta con entusiasmo dal ministro degli Interni Winston Churchill, che annunciò che c’erano «almeno 120 o 130 mila persone deboli di mente in libertà tra noi. Questi esseri infelici meriterebbero tutto ciò che può essere fatto per loro da una civiltà cristiana e scientifica, ora che sono al mondo. Ma finiamola qui, se possibile. Se grazie a un provvedimento di qualche tipo… saremo in grado di segregare queste persone in condizioni adeguate, in modo che la loro maledizione muoia con loro e non sia trasmessa alle generazioni future… dobbiamo prenderci sulle spalle nell’arco della nostra vita un’opera per la quale coloro che verranno dopo di noi avranno un debito di riconoscenza verso di noi».

Churchill si sarebbe spinto più in là di molti altri all’epoca, elogiando un opuscolo del dottor H. C. Sharp del riformatorio dell’Indiana intitolato La sterilizzazione dei degenerati. Nell’Indiana Sharp sterilizzava i «degenerati» già prima della legalizzazione, nel 1907, della sterilizzazione coatta dei «deficienti mentali». Sebbene i britannici, diversamente dai funzionari di diversi Stati americani, avessero rigettato la sterilizzazione forzata, Churchill e altri erano convinti che tale pratica sarebbe stata più umana della detenzione e della segregazione.

Il Mental Deficiency Bill del 1912 mirava a incarcerare quanti fossero stati catalogati, tra le altre cose, come «idioti» e «deboli di mente», categoria che comprendeva coloro che erano ritenuti incapaci di gestirsi in modo appropriato, come le madri non sposate e gli adolescenti problematici.

Naturalmente, chi dovesse rientrare nella categoria dei «deboli di mente» doveva essere deciso da esperti sociali in nome della “scienza”. Come notò G. K. Chesterton, risoluto oppositore del disegno di legge:

«Non lo si dice apertamente, ma si insiste con determinazione sul fatto che lo scopo principale del provvedimento è di impedire a qualsiasi persona ritenuta non intelligente da questi propagandisti di avere una moglie o dei figli. Ogni vagabondo scorbutico, ogni operaio timido, ogni campagnolo eccentrico può essere facilmente sottoposto a queste condizioni concepite per i maniaci omicidi… Siamo già sotto lo Stato eugenetico e non ci resta che la ribellione».

Chesterton si avvide che l’eugenetica stava trasformando ciò che normalmente intendiamo per etica, sacrificando in modo perverso i nostri reciproci legami umani ordinari in nome di generazioni non ancora nate.

Il disegno di legge fu ritirato in fase di commissione, nonostante potesse contare su una maggioranza di 230 a 38 nella Camera di Comuni. Il lavoro giornalistico di G. K. Chesterton e gli interventi del deputato liberale indipendente (poi laburista) Josiah Wedgwood esercitarono una certa influenza, ma non riuscirono a impedire l’approvazione della versione emendata del Mental Deficiency Act del 1913, una normativa che avrebbe condannato decine di migliaia di persone all’incarcerazione.

Wedgwood aveva tentato di fare ostruzione contro il disegno di legge, con un famoso discorso alla Camera in cui disse:

«Con questo disegno di legge una gran parte della popolazione di questo paese viene consegnata agli specialisti senza alcun diritto di agire per legge contro gli interessati, se vi mettono in prigione senza la minima parvenza di giustizia… Mi ricorda in qualche modo l’“annusare” degli stregoni lungo la costa dell’Africa orientale».

Disse anche ai Comuni:

«Lo spirito che sta dietro il disegno di legge non è lo spirito della carità, non è lo spirito dell’amore per l’umanità. È lo spirito dell’orribile Società Eugenetica che si propone di allevare le classi lavoratrici come se fossero bestiame… Penso che quanti sono ansiosi di migliorare la selezione delle classi lavoratrici farebbero meglio a ricordare che esiste una cosa chiamata anima e che il mero desiderio di trasformare le persone in migliori macchine per fare soldi non è che uno spaventoso incubo di H. G. Wells».

La battaglia sull’eugenetica in Gran Bretagna e le vittime della legge del 1913 sono descritte in modo commovente nel recente libro di Sarah Wise The Undesirables: The Law That Locked Away a Generation. Il libro racconta la storia dolorosa e in gran parte dimenticata di quelle decine di migliaia di persone che furono incarcerate in base a queste norme, molte di loro fin dall’infanzia e spesso contro la volontà delle famiglie.

Da rimarcare, nella storia dell’eugenetica di Stato, la tenace opposizione della Chiesa cattolica, che fu tale anche quando le Chiese nazionali vacillavano. Alla Chiesa si unirono alcuni elementi del Partito laburista, contrari a un’ideologia vergognosamente sostenuta da molti esponenti della nostra classe politica di tutti gli schieramenti (particolarmente entusiasti furono i socialisti fabiani).

Ancora nel 1933, nell’enciclica Casti Connubii, Papa Pio XI avrebbe affermato che

«si deve riprovare quella prassi dannosa, che riguarda il diritto naturale dell’uomo a contrarre matrimonio, ma che appartiene pure, con qualche vera ragione, al bene della prole. Vi sono, infatti, alcuni, che dei fini eugenici troppo solleciti, non si contentano di dare alcuni consigli igienici atti a procurare più sicuramente la salute e il vigore della futura prole – il che, certo, non è contrario alla retta ragione – ma vanno così innanzi da anteporre l’“eugenico” a qualsiasi altro fine, anche di ordine più alto, e pretendono che l’autorità pubblica vieti il matrimonio a tutti coloro che, secondo i procedimenti della propria scienza e le proprie congetture, credono che, per via di trasmissione ereditaria, saranno per generare prole difettosa, anche se siano, per sé, capaci di contrarre matrimonio».

Papa Pio proseguiva poi parlando di sterilizzazione forzata:

«Vogliono perfino che essi, per legge, anche se riluttanti, siano, con l’intervento dei medici, privati di quella naturale facoltà; né ciò come pena cruenta da infliggersi dalla pubblica autorità per delitto commesso, né a prevenire futuri delitti dei rei, ma contro il giusto e l’onesto attribuendo ai magistrati civili un potere che mai ebbero, né mai possono legittimamente avere».

In quello stesso decennio, il Partito nazista annunciava la sua fede nella razza come categoria quasi sacra, una fede che si era sviluppata a partire da diversi filoni della filosofia materialista illuminista. Questo miscuglio tossico di pseudo-scienza, ateismo e ostilità nei confronti di ciò che il cristianesimo esigeva dall’uomo avrebbe portato all’omicidio o alla mutilazione di centinaia di migliaia di vite ritenute «indegne di vivere» nel quadro del programma di sterilizzazione e poi di eutanasia.

La Chiesa cattolica ha sempre compreso che il sommo Bene Comune non è la fantasia degli utilitaristi, ma piuttosto il nostro incontro con Dio, al quale sono orientati tutti gli aspetti del nostro bene. La nobiltà e il valore della persona umana derivano dal fatto che essa è destinata a partecipare al Bene universale di Dio stesso. L’affermazione del Bene Comune non ha nulla a che fare con un calcolo utilitaristico e ha tutto a che fare con la coscienza che i singoli esseri umani non devono essere mutilati o incarcerati solo perché non corrispondono perfettamente a un piano eugenetico. Quanti sono in grado di acconsentire a un matrimonio autentico e di avere una famiglia dovrebbero essere sempre liberi di farlo. Come ha sottolineato l’Aquinate molto tempo fa, i membri della comunità politica possiedono sempre determinati diritti che non possono essere toccati dai leader politici proprio perché essi appartengono in primo luogo a un’altra comunità, una comunità più universale e privilegiata di quanto gli utilitaristi possano immaginare.

Anche se possiamo aver superato alcuni dei peggiori eccessi dell’eugenetica, l’avvento della fecondazione in vitro e dell’aborto legalizzato – su cui esiste un inquietante consenso politico trasversale – ha portato le persone a interiorizzare i comandamenti degli oppressori del passato. Invece di incarcerare ingiustamente e impedire il matrimonio a coloro che gli ingegneri sociali ritengono “inadatti”, semplicemente distruggiamo precocemente gli esseri umani già classificati come tali. E proprio come nell’ultima eugenetica, per la quale i disabili mentali gravi venivano accomunati a soggetti ritenuti socialmente indesiderabili, con la Fiv abbiamo ora lo spettro della distruzione di un numero persino maggiore di esseri umani per una gamma ancora più ampia di “ragioni”.

L’illustre filosofo David Wiggins una volta ha scritto efficacemente, a proposito di quanti liquidano troppo in fretta le preoccupazioni su di noi che “giochiamo a fare Dio”:

«Se non riusciamo a riconoscere che le nostre nature date e il mondo naturale pongono dei limiti ai desideri che intendiamo seriamente realizzare; se non ascoltiamo le previsioni e i timori sul concepimento artificiale degli esseri umani che risuonano in denunce morali semidimenticate a riguardo dell’impulso a vedere le persone o gli esseri umani come cose, come strumenti, come carne da cannone o come beni fungibili; se non siamo pronti a esaminare con esitazione o perplessità la convinzione (tanto appassionata quanto infondata, poiché non esiste una concezione più ampia che possa convalidarla) che ogni cosa al mondo sia in linea di principio nostra o da prendere, cosa sarà di noi? Una nuova inquietudine assalirà forse i nostri stessi desideri, in un mondo non meno spogliato di significato dal nostro senso di onnipotenza di quanto non sia devastato dalla nostra insaziabilità moralistica?».

 

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