Cos’è questa nostalgia per la scuola

Di Marinella Senn
16 Marzo 2020
Cos'è questa nostalgia per la scuola. Racconto dei pomeriggi passati con i nipoti alle prese con i compiti (e la noia). Perché serve un rapporto umano

Caro direttore, prima che le recenti restrizioni varate dal governo limitassero gli spostamenti nell’area lombarda, ho avuto l’occasione di trascorrere una settimana di “quarantena” in una casa sul lago Maggiore con tre miei nipoti maschi di 8, 11 e 13 anni.

I primi giorni passarono in un clima di euforia:  “Siamo in vacanza, possiamo fare  tutto quello che vogliamo!”.  Così si lanciarono in partite al pallone, in campionati con Fortnight, in sedute con Youtube e giochi al cellulare.

Ma al terzo giorno, iniziò a suonare un campanello d’allarme e improvvisamente si fece strada una sottile noia, come una consunzione per eccesso di consumo. 

Mi convinsi una volta di più che i ragazzi per crescere hanno bisogno  di qualcosa d’altro da sé e che la noia è tale perché sembra sospendere la corsa alla crescita. Decisi allora di varare un “regolamento orario” a cui attenersi, del tipo: ore 9.30, sveglia; 10/12, studio; 12/13, gioco e così via, sino a fine giornata come primo semplice antidoto a giornate senza nessun ordine.

L’iniziativa piacque e sembrò placare gli animi perché in verità rispondeva al bisogno di una struttura oggettiva a cui ancorarsi per comprendere che un io, lasciato a se stesso, inaridisce.

A quel punto, il maggiore dei nipoti (terza media) si imbatté nella “scuola virtuale” e si trovò a combattere con una mole considerevole di compiti, con interventi di insegnanti che si accavallavano richiedendo risposte immediate e, a peggiorare la situazione, dovette affrontare ripetute cadute di energia elettrica dovute alla zona isolata del paesello. Risultato: “non ci capisco niente, non lo so fare, non lo faccio!”. Con queste parole drammatiche il nipote chiuse il computer!

Così un baluardo del mainstream consumista, “tutto è virtuale”, cadeva pur restando la positività del lavoro di tanti insegnanti e la necessità di garantire agli studenti le lezioni a distanza.

Mi accorsi che, improvvisamente, i miei nipoti sembravano avere nostalgia di ciò che è la scuola: luogo di conoscenza e di apprendimento attraverso volti, amicizie, di una vita fatta di cose serie, di scherzi, di emozioni, in una parola di relazioni umane senza le quali il sapere perdeva di sapore.

Ancora una volta un apprendimento scollato da una relazione si rivelava uno strumento arido e inefficace, smentendo un “mantra” che per anni ha attraversato la scuola italiana: a scuola si devono solo offrire nozioni, guai a personalismi, guai ad educare! 

A tale proposito mi permetto suggerire la lettura di un racconto breve di Isaac Asimov dal titolo “Chissà come si divertivano” (Il meglio di Asimov, vol.1, Mondadori 1973).

Asimov, genio degli scritti di fantascienza, immagina che una bambina 13 enne, Maggie, nell’anno 2157 scopra in un solaio un vero libro, antichissimo, che risaliva a quando suo nonno era bambino in un’epoca in cui tutte le storie erano stampate su carta. Maggie è stupitissima perché di libri ormai non ce n’erano più e l’apprendimento avveniva solo attraverso lo schermo del computer con un insegnante meccanico che dettava i compiti a ciascun alunno, singolarmente.

«Maggie pensava alle vecchie scuole che c’erano quando il nonno di suo nonno era bambino. Ci andavano i ragazzi di tutto il vicinato, sedevano insieme  in classe e imparavano le stesse cose… così potevano darsi una mano a fare i compiti e parlare di quello che avevano da studiare. I maestri erano persone… L’insegnante meccanico intanto faceva lampeggiare sullo schermo “quando addizioniamo le frazioni 1/2 + 1/4…”. Maggie stava pensando ai bambini di quel tempo e a come dovevano amare la scuola…. Chissà, stava pensando, come si divertivano!»  

Sicuramente leggerò ai miei nipoti questo delizioso racconto tornatomi in mente nei giorni del coronavirus, eccezionale evento fonte di sofferenze e di eventi drammatici, ma anche occasione di riflessioni e domande.

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