Ci sono cose di cui non si parla. Come l’accartocciarsi delle foglie in autunno

Di Marina Corradi
06 Ottobre 2014
Non so perché io avverta in questa bella giornata un fiato di cenere. Preferisco, piuttosto, un’alba di gennaio, quando non c'è più niente che possa ancora morire

Questo mercoledì di settembre è ciò che tutti definirebbero una bellissima giornata. Tiepida, le chiome degli alberi che docilmente sbiadiscono al sole. Sole un po’ pallido, a dir la verità, in un cielo velato. Ma, nei giardini, le rose fioriscono ancora.

Io però non riesco a distogliere lo sguardo dagli alberi: ancora carichi di foglie, ma spente, come se la linfa, nelle loro vene, avesse smesso di scorrere. Non c’è un alito di vento, e solo a tratti una foglia solitaria cade a terra, con un impercettibile fruscio. Le altre se ne restano lassù, sui rami, a guardarla – vive ancora, ma illividite ormai.

Non so perché io sia fatta così male, e avverta in questa bella giornata un fiato di cenere. Preferisco, piuttosto, un’alba di gennaio: buia, con il ghiaccio che scricchiola per terra, e il freddo che morde le mani e taglia le labbra. La preferisco, perché lì la morte è ormai compiuta – e non c’è niente che ancora possa morire. Mentre sotto alla terra brinata i semi stanno serrati in sé, e quasi pronti a germogliare.

Mi guardo intorno per strada, cercando nelle facce dei passanti la mia stessa malinconia. Ma sembrano tutti indifferenti, come probabilmente, del resto, lo sembro io. Ci diciamo anzi, fra conoscenti: che splendida giornata.

Ci sono cose di cui, per convenzione, non si parla. Come l’impallidire e l’accartocciarsi delle foglie, a settembre, e il nostro calpestarle – come se non ci sussurrassero niente.

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