Cosa c’entra la Cina con il referendum per l’indipendenza della Nuova Caledonia

Di Rodolfo Casadei
08 Dicembre 2021
Il 12 dicembre nel paese ex colonia francese si vota per decidere se dire addio a Parigi. I malumori degli indipendentisti e l’ombra di Pechino sulla Melanesia
Una spiaggia della Nuova Caledonia fotografata da un drone (foto di Joshua Lanzarini su Unsplash)

La Francia credeva di poter chiudere il discorso il 12 dicembre, ma non sarà così: Parigi ha respinto la richiesta delle forze politiche indipendentiste di rinviare il terzo e ultimo referendum sull’indipendenza della Nuova Caledonia e ha confermato che il voto si terrà nella data stabilita; gli indipendentisti hanno annunciato che boicotteranno l’appuntamento elettorale e che faranno appello alle Nazioni Unite per vedere annullato il voto.

Il destino aperto della Nuova Caledonia

Il destino di questa collettività d’oltremare (tale è la qualifica amministrativa delle ex colonie francesi) a metà strada fra l’Australia e le Figi, grande come il Veneto e popolata da 271 mila abitanti di estrazione etnica molto varia, resta aperto. E non si tratta di una tardiva questione coloniale e periferica: la Nuova Caledonia rappresenta un altro episodio della lotta per l’egemonia nell’area indo-pacifica che vede impegnate la Cina, i paesi del Qaud (Australia, Giappone, India e Stati Uniti) e una Francia in affanno. 

Gli abitanti della Nuova Caledonia sono diventati cittadini francesi a pieno titolo con diritto di voto nel 1946, quando le colonie francesi sono state trasformate in Territori d’oltremare, ma secondo l’Onu (risoluzioni dell’Assemblea generale del 4 dicembre 1946 e del 2 dicembre 1986) rappresenta un territorio non autonomo che avrebbe diritto all’indipendenza. Annessa da  Napoleone III nel 1853, è diventata una colonia di popolamento dopo la scoperta di giacimenti di nickel nel 1864. Nei primi anni Settanta del XX secolo l’isola è diventata il secondo produttore mondiale del minerale, grazie anche all’immigrazione di francesi, indonesiani e melanesiani attirati dal lavoro in miniera.

Un mosaico di etnie

Per la prima volta l’originaria popolazione kanak, che si era ribellata senza successo nel 1878 e nel 1917, è diventata minoritaria. Da allora la Nuova Caledonia è un mosaico di etnie; attualmente i kanak rappresentano la maggioranza relativa col 39 per cento, gli europei sono il 27 per cento, i melanesiani l’11 per cento e i “multicaledoniani” (cioè i meticci) il 15 per cento. Negli anni Ottanta la lotta degli indipendentisti indigeni è ricominciata sotto la guida del Fronte di liberazione nazionale kanak e socialista, finché si è arrivati agli accordi di Matignon del 1988 che hanno messo fine alla ribellione in cambio di un maggiore ruolo della minoranza kanak nelle istituzioni politiche e agli accordi di Noumea (il capoluogo dell’isola) del 1998 che hanno fissato lo svolgimento di un referendum sull’indipendenza nel 2018, dopo un ventennio di programmi di sviluppo economico a favore delle popolazioni svantaggiate.

In base ai suddetti accordi tutti i partiti che conquistavano seggi nel Congresso territoriale avrebbero partecipato a un governo collegiale dell’isola, e in caso di vittoria del “no” al referendum sull’indipendenza del 2018 sarebbe stato possibile convocarne almeno altri due nei bienni successivi. Le liste elettorali per i referendum e per il Congresso territoriale sarebbero state diverse da quelle per le elezioni politiche e presidenziali francesi: nelle prime sarebbero stati registrati solo elettori di cittadinanza francese già legalmente residenti nell’isola nel 1998 e i loro discendenti, nelle seconde tutti i titolari di passaporto francese.

Perché gli independentisti vogliono il rinvio

Nel referendum del 2018 il “no” ha vinto col 56,7 per cento dei voti; nel 2020 si è tenuto un altro referendum, e stavolta il “no” all’indipendenza ha vinto col 53,26 per cento. Nelle elezioni per il Congresso territoriale del 12 maggio 2019 i partiti anti-indipendentisti hanno conquistato 28 seggi, quelli indipendentisti 26. Con la forchetta fra le due parti sempre più stretta, gli indipendentisti hanno chiesto che si svolgesse un nuovo referendum sull’indipendenza, e Parigi ha fissato la data al 12 dicembre 2021. Nel mese di settembre, però, la Nuova Caledonia è stata colpita per la prima volta dal Covid, che ha già registrato 11.500 casi e causato 270 morti, per l’80 per cento fra la popolazione kanak.

Gli indipendentisti hanno chiesto il rinvio del referendum al settembre 2022, in considerazione dell’emergenza sanitaria e della tradizione culturale kanak, che prevede riti funebri e lutto prolungati. I lealisti francesi sostengono si tratti di un pretesto davanti alla prospettiva della sconfitta definitiva della posizione indipendentista, indebolita dalla paralisi di cinque mesi delle istituzioni locali dovuta a dissensi fra i partiti indipendentisti sulla scelta del presidente del governo collegiale, alle violenze di parte kanak per la riapertura di una miniera di nickel nel sud, alla ripresa in mano da parte di Parigi del bilancio della territorialità d’oltremare con iniezioni di finanza pubblica. Sta di fatto che gli indipendentisti non parteciperanno al voto del 12 dicembre, e che con tutta probabilità in sede Onu la decisione della Francia di tenere comunque il referendum sarà disapprovata.

L’ombra di Pechino

Parigi non rischia sanzioni o provvedimenti giuridici di alcuna natura, ma il fallimento politico degli accordi di Matignon e di Noumea che avevano riportato la tranquillità nel territorio sarebbe completo, e foriero di complicazioni: in Nuova Caledonia, come in tutta l’area indo-pacifica, la Cina è in agguato per conquistare nuove posizioni. Nel 2016 alcuni deputati indipendentisti hanno dato vita all’Associazione per l’amicizia sino-caledoniana, veicolo dell’influenza cinese nella collettività d’oltremare francese. Nel 2017 l’associazione ha firmato un protocollo d’intesa con l’Associazione del popolo cinese per l’amicizia con l’estero (Apcae) che ha l’obiettivo di «rafforzare la reciproca comprensione e l’amicizia fra i due popoli, e di creare il solco degli scambi di cooperazione negli ambiti culturali, scientifico, turistico, educativo, commerciale ed economico».

L’iniziativa ricalca il procedimento con cui la Cina si è infiltrata negli stati indipendenti della Melanesia e li ha assorbiti nella sua sfera economica. Scrive il sito caledoniano pro-francese caledosphere.com: «Per contrastare il fronte anglosassone in Oceania, la Cina si appoggia sulla Melanesia, dove è particolarmente attiva attraverso finanziamenti massicci alla Papua Nuova Guinea, alle Isole Salomone, alle Figi e a Vanuatu. Tutti i caledoniani che si sono potuti recare presso i nostri vicini di Port-Vila (la capitale di Vanuatu – ndt), in particolare durante i Giochi del Pacifico del 2015, hanno potuto constatare coi propri occhi tutte le infrastrutture moderne create dalla Cina in cambio del controllo di interi settori dell’economia locale. In Nuova Caledonia, non è un mistero per nessuno che in caso di indipendenza la Cina metterebbe le mani sul nickel, assicurandosi così le forniture di questo minerale, ma anche sulle formidabili risorse ittiche della Zona economica esclusiva della Nuova Caledonia».

Su Le Figaro Bastien Vandendyck, analista di questioni internazionali, conferma gli stessi concetti: «Oggi tutti i paesi melanesiani sono satelliti cinesi, con la notevole eccezione della Nuova Caledonia. Non esiste uno scenario nel quale una Nuova Caledonia indipendente non diventerebbe cinese».

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