Convegno Cei di Firenze. “Dialogo” e “tavoli” non bastano se non ci sono giudizio e guide

Di Angelo Delle Querce
21 Novembre 2015
Cronaca dei quattro giorni di assise Cei (con cardinali, vescovi, religiosi e laici da tutta Italia) dove il Verbo si è fatto "carta"

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Duemilacinqucento persone circa, provenienti da tutte le 238 diocesi italiane, accompagnate dai propri vescovi e da numerosi sacerdoti per il convegno “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” che si è tenuto a Firenze dal 9 al 13 novembre. L’edizione di quest’anno era la quinta dopo Roma 1976 (“Evangelizzazione e promozione umana”), Loreto 1985 (“Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini”), Palermo 1995 (“Il Vangelo della carità per una nuova società in Italia”) e Verona 2006 (“Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo”). Un incontro ogni dieci anni, a metà decennio, per riflettere sulla vita della Chiesa cattolica italiana seguendo «la consegna che papa Francesco ci affida nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, di trovare “vie nuove al cammino della Chiesa nei prossimi anni”, lo scopo del nostro appuntamento fiorentino è quello di fare il punto sul nostro cammino di fedeltà al rinnovamento promosso dal Concilio e aprire nuove strade all’annuncio del Vangelo», come ha affermato il cardinale Cesare Nosiglia nella prolusione in cui ha voluto anche sottolineare l’importanza dello stile sinodale che avrebbe caratterizzato il convegno e, auspicabilmente, la vita futura della Chiesa in Italia.

Atteso l’intervento di papa Francesco che ha voluto parlare all’inizio dei lavori e non alla conclusione degli stessi. Il discorso del Papa è stato preceduto dalle significative testimonianze di un profugo albanese che, accolto in casa da un sacerdote, si è incuriosito alla fede cattolica senza essere stato in alcun modo forzato e ora è sacerdote; di una catecumena che ha scoperto la fede cattolica fino a farsi battezzare assieme alla figlia neonata; e di una coppia di persone che hanno visto il riconoscimento della nullità dei loro precedenti matrimoni e si sono sposate iniziando così una nuova famiglia allargata ai figli delle precedenti unioni.

Il Pontefice ha iniziato il suo intervento con il triplice richiamo all’umiltà perseguendo «la gloria di Dio» che «non coincide con la nostra»; al disinteresse che consiste nel cercare la felicità di chi ci sta accanto; alla beatitudine, che consegue al vivere il messaggio evangelico: «Il cristiano è un beato, ha in sé la gioia del Vangelo». Quali le tentazioni principali che impediscono di vivere questi tre atteggiamenti? Quella pelagiana, cioè l’avere fiducia nelle strutture, nella pianificazione, nella norma, nelle tradizioni, e lo gnosticismo. «La differenza fra la trascendenza cristiana e qualunque forma di spiritualismo gnostico sta nel mistero dell’incarnazione», ha ricordato Francesco. Poi l’invito ai fedeli a sostenere i propri vescovi, la sottolineatura dell’“opzione per i poveri”, e il riconoscimento che la Chiesa italiana è sempre stata operosa nel dare risposte alle varie povertà. Il tutto concluso dall’invito a prendere il largo con coraggio e a innovare con creatività, assieme a tutti coloro che sono animati da buona volontà.

Le “voci del Verbo”
Nella predica del pomeriggio allo stadio Franchi, il Papa ha invitato a «custodire e annunciare la retta fede in Gesù Cristo» che «è il cuore della nostra identità cristiana, perché nel riconoscere il mistero del Figlio di Dio fatto uomo noi potremo penetrare nel mistero di Dio e nel mistero dell’uomo». Infatti, «la nostra gioia è riconoscere in Lui la presenza di Dio, l’inviato del Padre, il Figlio venuto a farsi strumento di salvezza per l’umanità».

Mercoledi 11 sono iniziati i lavori di gruppo. Con un’organizzazione impeccabile, i convegnisti sono stati divisi in una ventina di gruppi, composti ciascuno da circa un centinaio di persone, tra presuli, sacerdoti e laici. I gruppi, focalizzati sulle cinque parole a tema del convegno, sono stati animati da un “facilitatore” delle discussioni e ogni gruppo è stato a sua volta suddiviso in dieci “tavoli” intorno ai quali si sono radunati altrettanti delegati. In ogni gruppo un tavolo è stato condotto da un giovane sotto i 35 anni e almeno un giovane sotto i 35 anni era presente nei rimanenti tavoli. I tavoli erano variamente assortiti con cardinali, vescovi, sacerdoti, religiose e religiosi e laici uniformemente distribuiti. I lavori del convegno hanno fatto sintesi e discussione di quasi un anno preparatorio nelle singole diocesi, svoltosi sulla traccia di cinque parole, anzi, verbi che hanno scandito le riflessioni e la discussione nei gruppi e nei tavoli: “annunciare”, “uscire”, “educare”, “abitare”, “trasfigurare”. Verbi che, con un video a effetto, sono stati presentati ai convegnisti come “Voci del Verbo”.

Nei tavoli c’è stata massima libertà di espressione e si è ascoltata la voce di tutte le sensibilità ecclesiali. Difficile fare una sintesi di quanto è emerso: per comprensibili ragioni le oltre quattro ore di colloquio che si sono svolte nei dieci gruppi sono state ridotte a una relazione di tre minuti nel gruppo da dieci tavoli e quanto dibattuto per ogni singolo verbo è stato ulteriormente sintetizzato nella relazione finale.

Il rischio dell’astrazione
Di quanto ascoltato (in prima persona o sentito raccontare da partecipanti ad altri gruppi), l’impressione che resta è quella di molte parole in libertà. La varietà dei pensieri è traducibile sinteticamente in un orizzonte comprensivo di una molteplicità di proposte e una babele di opinioni. Si dialogava senza alcuna guida, sottolineatura o ripresa degli interventi. Vescovi e sacerdoti presenti ai tavoli lasciavano parlare senza intervenire. E anche se nei dialoghi si è percepito il desiderio di uscire da una “impasse”, da una “crisi”, per rispondere alle sollecitazioni di papa Francesco, è sembrato generalmente prevalere un clima di astrazione, un esercizio di “libero esame” evangelico, una sorta di protestantesimo, con i pastori tesi all’ascolto ma timorosi di indicare una via.

Per cercare di rispondere alla necessità di adeguare il linguaggio al mondo, si sono sentiti slogan come “pastorale fluida” o termini come “non luoghi”. Solo vaghi accenni sono stati fatti a riguardo di movimenti e associazioni, spesso giudicati negativamente come esempi di autoreferenzialità e sottrazione di persone e risorse alla Chiesa piuttosto che ricchezza per la Chiesa stessa. Nelle relazioni finali sono stati fatti solo minimi cenni alla Dottrina sociale e all’impegno del cristiano in politica. Qualcosa è cambiato. Per esempio, ai tempi dei governi Berlusconi, veniva invocata una “Chiesa profetica” anche sui temi politici. Ora non se ne parla. Eppure anche l’attuale governo Renzi avrebbe forse bisogno di un giudizio “profetico” sul suo concreto operare.

Nella prolusione del cardinal Nosiglia è stato accennato il “minimo sindacale” di sempre: la “difesa della vita dal concepimento alla morte naturale”. Nessuno ha fatto riferimento a tematiche riguardanti le nuove sfide culturali e antropologiche. Nessuno ha citato ddl come quelli che portano i nomi degli onorevoli Scalfarotto, Cirinnà o Fedeli.

La sorpresa dell’imam
La parola “dialogo” ha trovato un trattamento interessante in tutti i gruppi. Nel suo discorso ai convegnisti papa Francesco ha specificato che «dialogare non è negoziare, ma è cercare il bene comune per tutti». Di notevole, a questo riguardo, come richiamo all’idea che non esiste dialogo senza identità, si è registrato solo l’intervento di Izzedin Elzir, l’imam di Firenze, secondo il quale «facendo il dialogo interreligioso vogliamo scoprire ognuno di noi le nostre proprie radici».

Da ultimo, poco si è parlato dell’urgenza del ricorso alla preghiera e ai sacramenti. A parte la relazione finale sul verbo “trasfigurare”, gli altri gruppi hanno lasciato nell’implicito il tema della Grazia. L’impressione è che, nell’Anno Santo della Misericordia, le diverse sensibilità ecclesiali convergano sull’idea di un “diritto alla Misericordia”. Insomma, non è parso chiaro che sono i sacramenti, non i corsi, i percorsi e i processi, a fare i cristiani. Le relazioni finali e la conclusione del cardinal Bagnasco hanno allargato un po’ l’orizzonte. Ma hanno bisogno di tempo per essere capite nelle loro implicazioni pratiche. L’invito del Papa a riprendere la sua Evangelii Gaudium, sembrerebbe lo strumento più adatto per questo lavoro di comprensione. Infine, se nei convegni Cei del passato si metteva in guardia dal rischio – ricordato anche a Firenze – che il Verbo si facesse “carta” e rimanesse nelle librerie, almeno questo rischio sembra oggi essere stato superato dall’era digitale e dalla memoria degli hard disk.

Foto Ansa

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11 commenti

  1. SUSANNA ROLLI

    Angelo delle Querce, va a finire che poi compaiono tutti insieme, e allora ci faccioanche una figuraccia!

  2. lcll

    Insomma, dopo 3 edizioni di – volontaria e voluta dall’alto – dimenticanza e messa fra parentesi del Concilio, si è tornati al metodo conciliare e sinodale.
    Il compito di questi convegni non è individuare guide, e tantomeno “sfidarsi” fra i diversi gruppi e modelli di leadership. Non è nemmeno esprimere giudizi, ma leggere insieme lo status della società e della cultura italiana, e dentro questa lo status della cultura cattolica e della sua relazione con quella della nazione.
    Ci mancherebbe che perdessero tempo a parlare di specifici disegni di legge! E’ uno sguardo lungo sul passato – i 10 anni precedenti -, e sul futuro – i successivi 10 anni -.
    I sacramenti sono eterni e universali, e non serve un convegno della Cei per scoprirlo. Al contrario corsi, percorsi e processi sono mutevoli, locali e specifici. e proprio di questi si occupa, giustamente!, questo prezioso strumento che viene utilizzato ogni 10 anni.
    PS : come si sente il fastidio che da Francesco, anche quando lo si cita abbondantemente.

    1. SUSANNA ROLLI

      Ho scritto, esposto male tutto, ma mi pare che si colga il significato…O no?

    2. SUSANNA ROLLI

      Ho scritto, esposto male tutto, ma mi pare che si colga il significato…O no?
      “I sacramenti sono eterni e universali, e non serve un convegno della Cei per scoprirli”;
      Si potrebbe fare un convegno per rispolverarli e riscoprirli….; cosa ne dite? Anche perchè pare ce ne sia una certa urgenza, no?

      1. Fabio

        Sei sempre chiarissima ed essenziale Susanna !!!
        Sicuramente più’ di tanti che parlano e scrivono , me compreso.

        Il verbo si e’fatto carta ! questa e’bella !

        Ma e’anche vera : nei secoli scorsi la gente aveva la fede , era analfabeta , non sapeva neanche che faccia aveva il Papa (non c’erano TV e giornali) ma lo seguiva. Perché’ per seguire il Papa basta seguire la fede cattolica non si tratta di seguire un personaggio di cui bisogna conoscere ogni discorso o intervista.
        S Tommaso Moro e’morto per la fedelta’al Papa e vosi’i preti refrattari durante la Rivoluzione Francese…ma…forse non sapevano neanche che faccia aveva e cosa diceva…

        1. SUSANNA ROLLI

          Fabio, se passi di qua diciamo il Rosario insieme!
          E fu così che non passò……

          1. Fabio

            Ma se lo recito anch’io !!!
            Piuttosto cosa vuol dire “qua ” ?
            Scommetto che sei romagnola …

          2. SUSANNA ROLLI

            Hai sentito la mia ESSE?
            L’ho detto anche in Giovanardi, sopra…
            Però solo se uno passa per caso..per turismo.
            E credi che non lo avevo capito che il S. Rosario lo dici? Io lo capisco subito!!
            Ciao, buona prece.

        2. SUSANNA ROLLI

          @ Fabio
          PS: Forse è la fretta che mi fa essere essenziale, riassuntiva, ma credimi che mi sento veramente l’ultima, e forse -non sono psicologa ma ne so capire- per questo scrivo sempre, e son sempre fra i piedi!, dev’essere una sorta di “compensazione” che opera nel sub-sub-subconscio mio (io ne ho ben tre!). Non ho nemmeno la maturità!
          Se mi hai capita stavolta, sei proprio bravo!
          Meglio che vado a lavare i piatti, va là!

  3. SUSANNA ROLLI

    Ti capisco, Angelo.
    La ricchezza della Chiesa oggi -per me- sono le persone che recitano il Rosario, che partecipano all’Adorazione Eucaristica, che si confessano regolarmente – sapendo distinguere i peccati dai veniali-, che hanno li ginocchia piegate, belle e forti. Se fanno parte di un gruppo, bene!, perchè nei gruppi ci si rafforza e si fa comunione, ci si ama tra cristiani, e poi si porta fuori quel che c’è da portare fuori (i osono nel Gruppo preghiera di Padre Pio, un santo che si è consumato a forza di Santa Messa, stimmate, Rosario e Confessioni -poi anche/ dopo /di conseguenza/ costruendo ospedali, ecc)
    Poi, dopo, si può anche vedere di fare qualcos’altro….
    Perchè oggi, leggendo le parole di Gesù “Amerai dunque il Signore tuo Dio con TUTTO il tuo CUORE, con TUTTA la tua MENTE e con TUTTA la tua FORZA . E il secondo è questo: amerai il prossimo come te stesso” (Mc 12,29), pare che ci si concentri ed applichi moltissimo – più o meno consapevolmente- sulla seconda parte, sorvolando sulla prima. Ma se Gesù l’amore a Dio l’ha messo per primo, ha un suo significato, no?
    La Madre della Chiesa preghi per noi tutti.

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