Contrordine compagni di scuola! Per combattere gli stereotipi ritirate fuori la gonna

Di Caterina Giojelli
12 Novembre 2021
Dalla Spagna alla Brianza la guerra contro le discriminazioni (persa col pantalone genderless) riporta la sottana tra i banchi. Ma non fate di un nuova uniforme una bandiera di libertà, visto come l'hanno infilata ai bambini in Scozia
Gli studenti del liceo Zucchi di Monza in gonna per combattere gli stereotipi
Gli studenti del liceo Zucchi di Monza in gonna per combattere gli stereotipi (foto Ansa)

Contrordine compagni di scuola: per combattere stereotipi e sessualizzazione ritirate tutti fuori la gonna. Maschi, femmine, dalla Spagna alla Scozia fino alla Brianza, tutti con la gonna che pochi anni fa venne bandita a scuola in quanto indumento che perpetrava stereotipi e sessualizzazione. Ricordate l’intervista del preside londinese al Corriere (sì sono stati gli inglesi i primi a fare della gonna una questione di Stato)? «Abbiamo un crescente numero di studenti che sono a un crocevia riguardo la comprensione del proprio genere», «combattiamo bullismo e omofobia» pertanto, aveva deciso, le femmine avrebbero dovuto rinunciare alla gonna e adeguarsi alla nuova legge del pantalone, o meglio dell’uniforme “gender neutral”. A ruota, per meglio includere transgender o studenti “al crocevia”, l’esempio del preside fu seguito (e magnificato) da almeno 40 scuole del Regno Unito.

Spagna, tutti in gonna in classe e su Twitter

Siccome però – cronaca insegna – il politicamente corretto sfrutta sempre il paradosso omeopatico “similia similibus curantur” (curare il male attraverso il principio dei suoi simili) la cosa ha virato verso il cortocircuito: in fretta i transgender si lamentarono di non poter indossare la gonna, le femmine che quella non era un’uniforme gender neutral ma un’uniforme maschile. E non solo il gender neutral discriminava tutti i generi, ma faceva pure male alla terra, tanto da trascinare gli studenti in manifestazione contro l’uniforme fast fashion che sarebbe stata usata per soli nove mesi.

Di lì a poco in Spagna sarebbe cresciuto il movimento #LaRopaNoTieneGenero (“la gonna non ha genere”), lanciato su Twitter dal Jose Piñas, un docente che aveva postato una sua foto in gonna dopo l’espulsione di Mikel Gòmez, uno studente dei Paesi Baschi che si era infilato in una gonna in segno di «sostegno alle femministe, alle persone trans e contro il bullismo»: quando un insegnante gli ha detto di andare dallo psicologo, Gòmez si è registrato su TikTok denunciandolo e convincendo centinaia di ragazzi come lui a mettere la gonna. Piñas ha quindi fatto scuola, la scorsa primavera la gonna iniziò ad essere indossata in classe e su Twitter per denunciare ogni episodio di omofobia, bullismo e discriminazione nelle scuole spagnole, dove, racconta El Pais, sono cresciuti spazi per illustrare i comportamenti tossici, distribuire kit di “non violenza”, come “cerotti per il rispetto” per «offrire “valori universali” combinati con la matematica o il linguaggio».

Zucchingonna contro sessissimo (e identità sessuale)

Potevano essere da meno gli studenti della cosmopolita Brianza? Al liceo Zucchi di Monza è stata lanciata il 10 novembre la seconda edizione di Zucchingonna (tutti a scuola con la gonna) a cui hanno aderito 120 studenti su 950 («molti avrebbero voluto ma non avevano una gonna a disposizione»). Risultato? Applausi di preside, docenti e dell’associazione Lgbt+ “Brianza oltre l’arcobaleno” – «una gonna non definisce mai il genere di chi la indossa e non deve essere vista come indumento sessualizzante o provocatorio né tanto meno come alibi di violenze e molestie» – e la promessa di bissare tra qualche mese o tutti i giorni di scuola perché «se un ragazzo ne ha voglia, non vedo perché non dovrebbe farlo?».

Certamente ha ragione il rappresentante degli studenti di Zucchingonna, se un adolescente vuole esprimere la sua identità con la gonna deve essere libero di farlo, se della gonna frega niente ma con la gonna si sente in battaglia contro la “disparità di genere” e di aderire a nuova causa collettiva “contro la mascolinità tossica” può farlo, se vuole confondere il tema della parità di genere con quello della cancellazione dell’identità sessuale unendo capre e cavoli, l’emancipazione della donna e la teoria gender (che ben scazzottano tra di loro, e non si capisce perché tutti i giornali trovino lunare il commento del consigliere regionale monzese Alessandro Corbetta che ha rilevato una stigmatizzazione del genere maschile non da poco nella «trovata sconclusionata» di Zucchingonna) può farlo.

In Scozia bambini in gonna o saranno bigotti

Quello che non sanno gli studenti di Zucchingonna è che mentre loro pensano che la gonna sia un buon strumento per «abbattere lo stereotipo del maschio macho che non deve piangere» e «combattere la sessualizzazione del corpo femminile», «canoni non scritti ma universalmente noti che mettono a disagio le persone, che invece devono sentirsi libere di essere come preferiscono», è che c’è ben poca libertà nelle iniziative dei paesi molto progressivamente aggiornati del loro cuore.

Pochi giorni fa, in Scozia (il paese «d’ispirazione», degli studenti monzesi insieme alla Spagna), è stata inviata una mail a insegnanti uomini e alle famiglie dei bambini maschi che frequentano la Castleview Primary School di Edimburgo, chiedendo loro di indossare o mandare i figli a scuola indossando una gonna per sfatare gli stereotipi di genere: «Vogliamo che la nostra scuola sia inclusiva e promuova l’uguaglianza», «i vestiti non hanno genere, dovremmo essere tutti liberi di esprimerci come vogliamo», hanno spiegato i docenti ai genitori, garantendo anche la fornitura delle gonne in caso questi bambini non ne avessero una. I genitori non l’hanno presa benissimo, in molti si sono lamentati, «lasciate che i bambini facciano i bambini», «se un ragazzo vuole indossare una gonna a scuola, dovrebbe essergli permesso, ma perché fare pressioni sulle persone per chiedere al figlio di indossare una gonna o altrimenti sarà visto come una specie di bigotto?».

Una uniforme ci salverà dagli stereotipi?

Dalla scuola hanno fanno spallucce sottolineando che «non vogliamo assolutamente costringere nessuno a indossare qualcosa di cui non è soddisfatto, ma speriamo che molti di voi siano desiderosi di aiutare a diffondere un importante messaggio», «aumentare il rispetto, la tolleranza e l’inclusione». Naturalmente i bambini erano liberi di “non dirsi intolleranti”, “non promuovere l’uguaglianza”, “non dirsi inclusivi”, ma in che clima? E così le foto di piccoli ragazzini goffi in gonnellina e camiciola e a gambette scoperte hanno fatto il giro dei social lasciando a Chris McGovern, della Campaign for Real Education, l’onere di fare la parte del bigotto e dire ad alta voce quello che in tanti genitori hanno pensato guardandole: «Gli adulti stanno applicando le proprie ansie ai bambini, ai quali dovrebbe semplicemente essere insegnato a trattare gli altri come vorrebbero essere trattati loro stessi».

C’è qualcosa di poco chiaro nel dovere puntare su una uniforme per liberare il genere umano dagli stereotipi, qualcosa di poco tollerante nel dividere il mondo in buoni e cattivi in base all’adesione impiegatizia alla giornata della gonna (dopo aver perso la guerra del pantalone genderless). Quando qualche anno fa in Francia gli insegnanti delle elementari iniziarono a promuovere il testo Papà porta la gonna per educare «all’uguaglianza di genere» e a combattere in classe «l’omofobia», chi si ribellò preconizzando un’era in cui il gender l’avrebbe fatta da padrone e i bambini sarebbero finiti ad indossare la gonna a scuola venne bollato come fanatico e pieno di odio.

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