Contro fact-checking al dibattito Harris-Trump

Di Rodolfo Casadei
12 Settembre 2024
La candidata democratica, aiutata dai moderatori, è stata abile a sviare le domande scomode. Gaffe del repubblicano sui gatti, ma sull'aborto non aveva tutti i torti
Il candidato repubblicano Dolnald Trump e la democratica Kamala Harris al dibattito televisivo sul canale Abc, 10 settembre 2024 (Ansa)
Il candidato repubblicano Donald Trump e la democratica Kamala Harris al dibattito televisivo sul canale Abc, 10 settembre 2024 (Ansa)

Kamala Harris ha vinto ai punti il dibattito televisivo con Donald Trump, e i sostenitori di quest’ultimo protestano – non senza ragioni – che il risultato è stato decisamente condizionato dall’operato di arbitri faziosi: i moderatori della rete televisiva Abc che dovevano rivolgere domande ai due contendenti e verificare le loro affermazioni (fact-checking in diretta televisiva). Però come nelle vere partite di calcio gli esperti osservano che al risultato finale hanno contribuito le insufficienze proprie della squadra penalizzata tanto quanto la parzialità dei direttori di gara.

Come ha sintetizzato Kim Strassel dell’editorial board del Wall Street Journal:

«Gli spettatori che speravano che questo dibattito sarebbe stato il momento in cui Kamala Harris avrebbe dovuto finalmente rispondere del triste bilancio della coppia Biden-Harris sono rimasti profondamente delusi. La signora Harris ha abilmente cambiato argomento su quasi ogni domanda diretta che le è stata posta, e né i moderatori né Donald Trump l’hanno incalzata sulle omissioni. La prima domanda della serata riguardava la questione principale dell’economia, nonché il problema centrale dell’inflazione sotto Biden. La Harris ne è sgusciata via per dedicarsi alla sua “economia delle opportunità”. Richiesta di spiegare perché l’amministrazione Biden abbia mantenuto le tariffe imposte da Donald Trump alla Cina (considerato che ora lei le critica), ha portato il discorso sulla produzione di semiconduttori. Alla domanda se sostenesse eventuali restrizioni all’aborto, almeno nelle ultime settimane di gravidanza, ha detto solo che sostiene la sentenza della Corte costituzionale del 1973 Roe v. Wade. Alla domanda sul caos alle frontiere sotto Biden, ha fatto finta che nei primi tre anni della sua amministrazione non fosse mai capitato nulla, e si è dilungata su un disegno di legge che non è stato approvato quest’anno [per l’opposizione di Trump, ndt]».

Il candidato repubblicano Donald Trump al dibattito televisivo sul canale Abc, 10 settembre 2024 (Ansa)
Il candidato repubblicano Donald Trump al dibattito televisivo sul canale Abc, 10 settembre 2024 (foto Ansa)

La questione aborto

La questione dell’aborto è uno dei tipici casi in cui i moderatori si sono dimostrati di parte e Trump si è dimostrato maldestro.

Ha scritto Michael Goodwin sul New York Post:

«Quando si è trattato delle risposte di Trump, più volte i moderatori hanno insistito sul fatto che avesse torto e hanno offerto quelle che possono solo essere chiamate correzioni. Erano decisamente fuori linea e hanno dimostrato ancora una volta che non ci si può fidare della correttezza dei media tradizionali. Uno di questi casi riguardava un disegno di legge democratico sull’aborto che avrebbe consentito l’eutanasia di un feto nato vivo a termine. Trump aveva ragione, ma i moderatori hanno ingiustamente indebolito ciò che ha detto lasciando nel dubbio gli spettatori. Questo non è moderare. Questa è interferenza elettorale».

È successo che Trump ha reagito all’accusa della Harris di voler far approvare dal Congresso una legge che vieterebbe l’aborto in tutta l’America negando di avere questa intenzione, e rilanciando sul fatto che i democratici sono favorevoli ad aborti legali anche nelle ultime settimane di gravidanza e all’eliminazione di un feto che sopravviva a una procedura abortiva. Ha contrattaccato affermando che se il ticket Harris-Walz vincerà le elezioni, si avrà una generalizzazione degli aborti nell’ottavo e nono mese di gravidanza, e anche subito dopo il parto. Ha fatto i nomi del governatore della Virginia Ralph Northam e del candidato vicepresidente Tim Walz come esponenti democratici favorevoli a queste procedure.

L’evasività della Harris

A quel punto è intervenuto uno dei moderatori, Linsey Davis, per dire che «non c’è nessuno stato in questo paese dove sia legale uccidere un bambino dopo che è nato». Le cose non stanno proprio così: l’anno scorso da governatore del Minnesota Tim Walz ha firmato una legge che emenda la vecchia normativa sui bambini che eventualmente sopravvivessero a una procedura abortiva. Nella vecchia legge c’era scritto che in quel caso i medici avrebbero dovuto fare tutto il possibile per «preservare la vita e la salute del bambino nato vivo», nella nuova versione «la vita» è sparita, e si invitano i medici più vagamente a «prendersi cura» del bambino nato vivo.

Nessuno dei moderatori invece ha avuto da ridire sull’evasività di Kamala Harris, che non ha risposto alle domande di Trump che chiedeva se sarebbe stata favorevole all’aborto all’ottavo e nono mese di gravidanza: la candidata democratica si è limitata a dire che appoggia la vecchia sentenza della Corte costituzionale Roe v. Wade. Sta di fatto che in sei stati dell’Unione (Oregon, Colorado, New Mexico, Minnesota, Vermont e New Jersey) e nel distretto di Columbia non ci sono limiti temporali per l’effettuazione di un’interruzione di gravidanza.

Quando Trump ha asserito che la criminalità è in aumento negli Usa a causa dei migranti illegali che entrano nel paese senza che la Harris faccia nulla, David Muir, conduttore di World News Tonight, lo ha interrotto: «Presidente Trump, come saprà l’Fbi dice che complessivamente i crimini violenti stanno in realtà diminuendo». Trump ha reagito con un suo “fact-checking” spiegando che «quei dati non includono le città con la maggiore criminalità», facendo riferimento all’omissione dei dati di Los Angeles, New York e Chicago.

La candidata democratica Kamala Harris al dibattito televisivo sul canale Abc, 10 settembre 2024 (foto Ansa)

Moderatori di parte

Così l’aborto non è l’unico argomento che alimenta l’indignazione di Michael Goodwin, che pure riconosce che la Harris è apparsa «sufficientemente presidenziale»:

«La performance della Harris è segnata dal fatto che ha avuto l’aiuto dei moderatori dell’Abc, sbilanciati a suo favore. Erano dalla sua parte e l’hanno lasciata scappare troppe volte senza rispondere alle loro domande. Ha sempre replicato con discorsi anziché con risposte, ma i moderatori non l’hanno sollecitata a dare una risposta chiara alle loro domande. Quando per esempio le è stato chiesto delle sue responsabilità nella catastrofica ritirata dall’Afghanistan, non ha mai risposto se non per dire che aveva appoggiato la decisione di Biden. Poi ha riproposto il tradizionale discorso dei democratici che ricorda che a negoziare coi talebani è stato Trump, e i moderatori David Muir e Linsey Davis hanno lasciato passare».

Anche Seth McLaughlin e Susan Ferrecchio del Washington Times si scandalizzano della mancanza di mordente dei moderatori sulla questione dell’Afghanistan come sulle altre:

«La Harris ha passato la maggior parte del dibattito ad attaccare aggressivamente Trump come leader debole e divisivo, e spesso lo ha accusato di mentire, aiutato dai moderatori di Abc News, che frequentemente effettuavano un “fact-checking” delle affermazioni di Trump, a volte scorrettamente, e perlopiù lasciavano via libera alla Harris. […] Benché la candidata democratica abbia affermato che era d’accordo col piano di Biden di ritiro dall’Afghanistan, non ci sono state follow-questions da parte dei moderatori David Muir o Linsey Davis su cosa pensasse della disastrosa e sanguinosa esecuzione del ritiro sotto i suoi ordini».

La Harris non è stata sottoposta a fuoco incrociato su nessuno degli argomenti sui quali dichiara di aver cambiato posizione rispetto al 2019, quando era in corsa nelle primarie democratiche per la Casa Bianca: l’eliminazione delle assicurazioni sanitarie private, la depenalizzazione dell’immigrazione illegale, il divieto della tecnica “fracking” per lo sfruttamento di gas e petrolio, il divieto di vendita di auto a motore endotermico a partire dal 2035, la riduzione dei finanziamenti alla polizia, la proibizione delle cannucce di plastica. In un solo caso ha spiegato il suo cambiamento di linea, pressata da Trump: sul perché oggi sia favorevole al fracking mentre tempo fa era contraria.

Cani e gatti

Trump si è creato difficoltà da solo in almeno un paio di passaggi. La prima volta quando la Harris lo ha accusato di avere sabotato un provvedimento bipartisan per aumentare la sicurezza ai confini, e nello stesso intervento ha asserito che i comizi di Trump non sono più affollati e vivaci come una volta, e che la gente se ne va via annoiata prima della fine. Anziché rispondere all’attacco sulla questione dei migranti, punto debole della Harris, l’ex presidente ha dedicato del tempo a convincere gli ascoltatori che i suoi comizi sono ancora affollati e ricchi di entusiasmo come sempre, e che è la Harris che ha bisogno di pagare la gente per avere pubblico ai suoi meeting.

Poi è scivolato sulla buccia di banana di una fake news: quella secondo la quale i clandestini haitiani mangerebbero cani e gatti nella città di Springfield. La notizia era stata rilanciata dal suo candidato vice presidente J.D. Vance, che però in seguito l’aveva ritrattata, ammettendo che non era attendibile. Trump non era aggiornato, e ciò ha comportato una gaffe. Più in generale, Trump non è apparso sufficientemente svelto e abile nello sfruttare le domande dei moderatori a suo vantaggio e spesso è apparso sulla difensiva rispetto alla Harris e ai moderatori.

Alla vigilia del dibattito i repubblicani avevano denunciato la stretta amicizia fra Kamala Harris e Dana Walden, alta dirigente della Walt Disney Company che è proprietaria di Abc News, e di conseguenza avevano messo in discussione l’imparzialità del network. Dana Walden ha fatto donazioni a dozzine di candidati democratici e contribuito alle campagne politiche della Harris almeno dal 2003, quando si candidò alla carica di procuratore distrettuale a San Francisco.

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