
Congo. L’ambasciatore Attanasio ucciso «nell’eldorado del jihadismo»

Non è ancora chiaro chi abbia ucciso ieri l’ambasciatore italiano in Congo, Luca Attanasio, 43 anni, dal 2017 a capo della delegazione tricolore a Kinshasa, il carabiniere trentenne Vittorio Iacovacci e il loro autista congolese Mustafa Milambo. Gli italiani si trovavano all’altezza di Kibumba, nella provincia orientale del Nord Kivu, devastata da anni di guerre e guerriglie tra bande per il controllo delle ricche risorse del sottosuolo, all’interno del Parco nazionale del Virunga, nell’ambito di una missione della Pam, il Programma alimentare mondiale, agenzia dell’Onu.
RIBELLI E JIHADISTI
Gli italiani hanno perso la vita in un’imboscata, altri quattro si sono salvati, e il governo congolese se n’è subito lavato le mani: «Non sapevamo del viaggio». L’auto su cui viaggiava l’ambasciatore non era blindata e non era presente la scorta, anche perché, sottolinea la Pam, la strada percorsa «era considerata sicura». Ma di sicuro nel Nord Kivu non c’è nulla e i ventimila caschi blu dell’Onu presenti nel paese per pacificare la regione sono una delle tante storie di fallimento delle missioni Onu in terra africana.
Le autorità di Kinshasa hanno puntato il dito contro le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr), il principale gruppo residuo di ribelli ruandesi di etnia hutu, quelli famigerati per il genocidio da circa 800 mila morti, soprattutto tutsi, in Ruanda del 1994. Sono loro a contendersi il predominio dell’area insieme al gruppo di origine ugandese delle Forze democratiche alleate (Afd). Ma nel Nord Kivu opera anche la cellula locale dell’Isis (Islamic State Central Africa Province), insieme a un nugolo imprecisato di «milizie comandate da stregoni che promettono l’invulnerabilità con pozioni magiche e gris gris», spiega sulla Stampa Domenico Quirico. E poi «piccoli signori della guerra, imprenditori di milizie che le affittano per difendere le miniere, saccheggiare, offrire protezione: la guerra business, la guerra che nessuno racconta perché è un romanzo criminale. Qualcuno ha provato a contarli: dicono che i gruppi armati siano almeno un centinaio».
LA GUERRA PER IL COLTAN E L’ORO
I miliziani, continua l’inviato,
«sono uomini cenciosi ma con i kalashnikov, particolare che fa la differenza tra padrone e vittima, tra uomo e insetto da schiacciare. Come ieri nell’agguato al convoglio dell’ambasciatore italiano emergono dalle foreste, occupano un villaggio, saccheggiano una miniera, attaccano soldati malvestiti, affamati, che si trascinano dietro, come nomadi, famiglie e bestie. Le guerre nel Kivu hanno nomi misteriosi, legati non alla geopolitica ma alla tavola di Mendeleev: il coltan, l’oro, il tungsteno. Chi ricorda che arrivano dal Congo marchiati da delitti, sfruttamento, schiavitù, disperazione? Il tantalio: un metallo che resiste alla corrosione, ad esempio. Lo scavano in queste foreste da cui sono balzati fuori i killer dell’ambasciatore, lo scavano uomini e bambini con la vanga, le mani impastate di fango e di sudore. Tante piccole mani distruggono la foresta per cercarlo. Uomini armati li controllano, pronti a sparare. Il padrone della concessione, con un satellitare, tratta forniture, contratti, conti in banca e le tangenti per i funzionari e i ministri del governo. Paga la gente della notte, perché eliminino i concorrenti, diano la caccia agli schiavi che hanno tentato la fuga».
STUPRI E BAMBINI SOLDATO
A queste formazioni, come spiega il giornalista e missionario comboniano Giulio Albanese, «si aggiungono i Mai-Mai, squadre “patriottiche”, schegge impazzite che una volta stanno da una parte una volta dall’altra». La guerra da queste parti, spiega Repubblica, si combatte con «lo stupro sistematico dei nemici e dei civili che si trovano in zona di guerra. Si tratta di stupri seriali, e cioè compiuti da più persone, soprattutto contro le donne, di qualsiasi età, bambine o anziane che siano». L’altro marchio di fabbrica dell’atroce conflitto sono «i kadogo, i bambini soldato. In ogni villaggio attaccato, dopo aver ucciso gli uomini e violentato le donne, le milizie ribelli rapiscono i più piccoli per trasformarli sia in schiavi sessuali sia in combattenti».
Nella provincia, solo nelle città Beni e Lubero, negli ultimi 7 anni sono state uccise 2.700 persone, 541 hanno perso la vita negli ultimi sei mesi in tutta la provincia. Come spiega all’Agensir padre Robert Kasereka Ngongi, sacerdote diocesano di Butembo, «da noi ogni giorno ci sono notizie di uccisioni, oramai a Butembo-Beni c’è sempre una carneficina, si muore come insetti. Di solito su quella strada rapiscono persone importanti e poi chiedono il riscatto. Forse hanno visto un bianco e hanno pensato che sarebbe stato un modo per avere dei soldi».
COMPLICITÀ DELL’ESERCITO
Il sacerdote conferma la crudeltà di una guerra che va avanti da decenni: «Dalla guerra in Ruanda del 1994, con i tanti rifugiati arrivati nel nord Kivu, la situazione è sempre la stessa: uccisioni, rapimenti, incendi a case e villaggi, violenze alle donne. Tra esercito e gruppi armati c’è molta complicità. A volte negli accampamenti dei soldati viene trovato ciò che è stato saccheggiato nei villaggi. Spesso gli assassini mandano in giro le foto delle stragi per far vedere a che livello di crudeltà sono capaci di arrivare. Le persone si spaventano e scappano. Altri vengono ad occupare le loro terre e coltivazioni».
Trovare i responsabili dell’assassinio dei due italiani e del loro autista congolese sarà un’impresa: «Le bandiere nere sono ormai sulle sponde dei grandi laghi, ribattezzata “provincia dell’Africa centrale”, crocevia delle guerre eterne per rame, uranio, coltan, dei feroci conflitti tribali», conclude Quirico. «Il Gruppo armato delle forze democratiche alleate, nato in Uganda e ora alleatosi al Califfato, colpisce nel Kivu, in Congo. Queste terre ricche di minerali e politicamente fragili saranno l’eldorado del terrorismo mondiale».
Foto Ansa
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