Congo, Ebola. «La più complessa emergenza sanitaria della storia»

Di Redazione
25 Giugno 2019
In poco più di un anno il virus ha contagiato oltre 2.100 persone, uccidendone 1.412. I congolesi non credono che sia un problema sanitario, ma politico o di stregoneria. «Non ci aspettavamo una situazione così difficile»

L’epidemia di Ebola nella Repubblica democratica del Congo è la «più complessa emergenza sanitaria nella storia». In poco più di un anno sono stati riscontrati oltre 2.100 casi, che hanno già portato a 1.412 morti accertate. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) si era prefissata di non commettere gli stessi errori del 2014, quando Ebola colpì Guinea, Sierra Leone e Liberia, cogliendo tutti impreparati. L’epidemia fu fermata dopo due anni e 11.300 vittime. Oggi, a differenza di allora, è disponibile un vaccino ma problemi politici, di sicurezza e soprattutto culturali rallentano le operazioni sanitarie nelle tre aree più colpite: Beni, Mangina e Butembo.

MEDICI PRESI A SASSATE E UCCISI

Ebola ha ucciso 13 parenti di Moise Kitsakihu-Mbira e quando anche lui ha manifestato i primi sintomi, ha dovuto curarsi in segreto. Tutti nel suo villaggio sono infatti convinti che il virus non esista e che i decessi siano causati da atti di stregoneria. A Butembo, invece, va per la maggiore la teoria secondo la quale il virus è stato portato dai nemici del gruppo etnico Nande, come arma in uno degli interminabili conflitti etnici che infiammano la regione del Nord Kivu.

A Butembo è stato ucciso da una folla inferocita un medico dell’Oms, durante un attacco alle squadre di vaccinazione della popolazione. Nella città di Beni l’autista di un’ambulanza si trova in condizioni critiche dopo essere stato vittima di una sassaiola, seguita al rogo del mezzo. «È una delle crisi più complesse che il mondo abbia mai visto», ha dichiarato al Guardian John Johnson, che con la sua squadra di Médecins Saan Frontières ha dovuto abbandonare la città di Butembo per non essere ucciso.

«LA MIA FAMIGLIA NON CREDEVA AL VIRUS»

Dopo essere stato guarito grazie al vaccino, Kitsakihu-Mbira guida una moto ambulanza per aiutare il resto della popolazione. «Mio nipote è stato il primo a morire nella mia famiglia. Gli altri sono deceduti uno dopo l’altro, ma la mia famiglia non ha mai riconosciuto la realtà di Ebola. Tiravano le pietre alle squadre di vaccinazione, temevano volessero avvelenarli. Anche dopo che sono guarito, mia moglie non ha voluto vaccinare sé e i nostri figli».

Superstizioni a parte, il conflitto etnico che infiamma la regione rende tutto più difficile. «Siamo in una zona di conflitto e questo rallenta le operazioni», spiega Calire Kolie, dottoressa proveniente dalla Guinea che opera a Butembo. I medici devono girare scortati da uomini in armi e dopo ogni incidente con la popolazione, le operazioni devono essere rinviate di una settimana. «Sapevamo che sarebbe stato tutto molto complicato», ammette Ibrahima Socé Fall, che per conto dell’Oms si occupa di debellare Ebola da Butembo. «Ma non ci aspettavamo una situazione così difficile».

Foto Ansa

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