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I predicatori televisivi con le loro facce a volte contrite, a volte languide, che modulano la voce su note morbide e carezzevoli o dure e giudicanti come tromboni divini, con sguardi che ci fissano attraverso gli schermi suggerendoci quante siano le vittime delle iniquità degli uomini malvagi e che per fortuna ci sono loro a proteggerli, a denunciare, a dichiarare la mostruosità dei potenti, sono un genere per nulla nuovo e ormai di duraturo successo. E sono qui per rimanere. Come non è nuovo il modello dei predicatori social, se non per il diverso strumento tecnologico utilizzato. Anzi, i social hanno portato la predica mediatica a un livello ancora più autentico, più primitivo: un predicatore e i suoi adepti, comunità ben delineate e già pre-fidelizzate.
Siamo così più dalle parti (ma certo senza quella rispettabilità, s’intende) di coloro che per secoli hanno battuto città dopo città, villaggio dopo villaggio per portare una parola di redenzione a peccatori impenitenti che...
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