Con il lupo, oltre il lupo

Di Alessandro Giuli
14 Marzo 2017
Il lupo simboleggia, in ultima istanza, l’uomo. Come lui può essere luce o tenebre, artefice o distruttore, milite dello spirito o del dèmone della materia

lupo

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Tempo da lupi, il nostro, tempestoso e ambivalente come il più nobile dei predatori che in questo mese marziale si accoppia e prolifera (è appena arrivato dagli Appennini all’Alto Adige, quasi a sfidare il Piano Lupo del ministro dell’Ambiente che rilegittima gli appetiti sanguinari d’improvvisati lupari). La mitologia nordeuropea chiama età del lupo l’epoca della massima decadenza, quella che per noi esiodei è l’età del ferro: «Tempo dell’ascia e della spada, tempo del vento e del lupo, prima che il mondo sprofondi». È il momento storico in cui il sacro viene divorato dall’egoismo selvaggio della materia simbolizzato dal lupo Fenrir, antagonista archetipico della coppia lupesca rappresentata da Geri e Freki, ministri di Odino. Ma i nordici, si sa, eccedono in crepuscolarismo. Oggi a Berlino vige (per quanto ancora?) il Mutterrecht di Angela Merkel, un matriarcato morbido e severo che affonda le radici nel senso di colpa germanico: Schuld, con la doppia valenza di debito e di obbligazione morale, ovvero l’essenza di una Germania non abbastanza europea e di una Europa sin troppo germanizzata.

La tradizione nostra identifica nel lupo lo spirito guida di numerosi popoli italici, il solo animale ctonio che guardi verso la luce celeste: lyké, da cui lykòs, lupus. Romolo e Remo allattati dalla lupa mansuefatta sono il simbolo vivente della duplice possibilità offerta all’uomo che si rivolga in sé stesso: l’ordine o il caos, il nitore ordinato da un principio superiore o l’indistinto tenebroso e promiscuo. Il lupo è il punto di congiunzione tra il mondo ferino e quello ferace, non a caso appare come controparte maschile e apollinea nel culto silvestre di Feronia, colei che pone le forze della natura selvaggia al servizio della civitas, neutralizzandone i pericoli. Feronia è appunto il divino che porta, trasferisce, guida da uno stato a un altro, e questo divino è anzitutto un cambiamento interiore dell’uomo: l’ottuso istinto, l’impetuosa violenza desiderante che si trasforma nel chiarore del giusto mezzo, del limite aureo che orienta la centralità umana nella custodia del mundus animato e la protegge dalla civilizzazione desertificata. È l’atto sovrano con il quale, metaforicamente, si “sottomette il lupo all’aquila”, ovvero la terrestrità belluina e lunare al vibrante colpo d’ala che eleva lungo linee di vetta, in direzione del Sole. Come afferma il lupologo Christophe Levalois: «Il lupo simboleggia, in ultima istanza, l’uomo. Come lui può essere luce o tenebre, artefice o distruttore, milite dello spirito o del dèmone della materia».

L’Italia contemporanea è ancora lì, sospesa tra lupo e lupo, tra pulsioni autodistruttive, disgregatrici, eutanasiche, divoratrici di vite nascenti e aneliti al sacro; ma al tempo stesso assiste alla rinascenza di piccole realtà essenziali (c’è Tempi!) che fioriscono lì dove il pericolo cresce, come un presidio contro i nuovi dèi falsi e bugiardi del mondo secolarizzato. «Nempe lupi sumus, ast aquilarum quaerimus alas… Lupi, sì; ma ora… dateci l’ale, o aquile!» (Giovanni Pascoli, Hymnus in Romam).

@a_g_giuli

Foto da Flickr

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