
Comunione ai divorziati risposati. Sofferta e argomentata lettera di un caro amico
Il giornalista e amico Giancarlo Giojelli ha scritto a Tempi questa lettera, reagendo a un articolo del direttore Luigi Amicone.
La questione dell’Eucaristia per i divorziati risposati spalanca un orizzonte dove la domanda che poni nella tua Prima linea è certamente dirimente: la Grazia è un diritto? Chiari sono la dottrina e il magistero della Chiesa, espressi in numerosi documenti compresa l’Enciclica Familiaris consortio, che in particolare ricorda che i divorziati risposati non sono esclusi dalla Comunione ecclesiale, anche se non possono ricevere corporalmente l’Eucaristia, ma possono e debbono partecipare alla Comunione spirituale. Qui però si parla dell’aspetto pastorale, cioè la concreta applicazione: è tema delicatissimo e tocca il cuore ferito di molti per cui trovo davvero fuori luogo cedere alla tentazione di risolverlo, come viene fatto spesso, con uno scambio di battute tipo quello tra la D’Urso e Brosio. Non contesto il loro diritto ad avere un’opinione, ci mancherebbe, ma conosco il mezzo televisivo e so che prevale sempre chi è più rapido e più efficace, che non sono affatto criteri di verità. Piuttosto vorrei sottoporti alcuni punti, frutto di una esperienza e di una sofferenza personale ormai quasi decennale. Non quindi astratta discussione o scambio di battute ad usum audience, ma un po’ di vita concreta, questo ti offro esponendomi anche personalmente.
• Certamente porre la questione dell’Eucaristia come diritto assoluto è inaccettabile. Del resto vale per ogni sacramento, l’ammissione è sempre condizionata a uno stato personale di Grazia. E questa da cosa deriva, si chiedono in molti, non solo il jet set che citi? Lo ha detto bene Angelo Scola nel 2005 al Sinodo, peraltro rispondendo non a un conduttore di talk show ma al cardinal Herranz: l’Eucaristia e la Grazia sono un dono, di cui la Chiesa è ministro (cioè amministratrice in un servizio al Popolo, come ha ha chiarito il cardinal Ravasi negli ultimi esercizi spirituali a Benedetto XVI e a tutta la Curia). La domanda caso mai è: come amministrare questo dono e con quale larghezza? (La misericordia è infinita, e certo la verità e la giustizia si devono incontrare: ricordiamoci però che la giustizia di Dio – per fortuna! – non è esattamente quella del Codice penale e civile, è la Misericordia che ricrea, ricordi?). Benedetto XVI ha più volte detto che la questione va approfondita. L’invito credo coinvolga non solo i dottori della Chiesa ma tutti noi, visto che per definizione ogni battezzato partecipa della natura di Re, Sacerdote e Profeta, nella misura voluta dallo Spirito, il quale peraltro fa profetare anche gli asini e rivela cose grandissime ai più piccoli. Citando i Dottori ricordo comunque la dottrina tomistica del Votum Sacramenti per la quale «la realtà di un sacramento può essere ottenuta prima della ricezione rituale di questo sacramento, per il solo fatto che si aspira a riceverlo» (Summa theologica, III, q. 80, a. 4). Quindi attenzione anche a quando si parla di desiderio, che certo di per sé non può essere automaticamente soddisfatto ma non può essere nemmeno cosa cattiva se ti spinge a capire che ogni desiderio è al fondo Desiderio di Cristo, come ci insegna padre Aldo.
• Una cosa sembra essere il dogma, una cosa la dottrina, una cosa il magistero, una cosa ancora la pastorale. In realtà sono un’unica cosa se si considera la Chiesa come il corpo vivo di Cristo, ma proprio per questo – in particolare nella comunicazione (e soprattutto in quella televisiva che arriva in modo così im-mediato) – bisogna stare attenti a non privilegiare un aspetto a discapito dell’altro. L’attuale disciplina prevista dal codice canonico è frutto di una lunga evoluzione storica-culturale e pastorale. Sta nel potere del Magistero che detiene le Chiavi stabilirne i confini e anche le eccezioni. E dare il giusto significato pedagogico a una pratica sostanzialmente penitenziale che non può avere lo scopo di punire ma al contrario di portare tutti quelli che la mendicano alla salvezza. Non lo dico io, è quello che dicono tutti i documenti della Chiesa e ha ribadito Benedetto XVI a Milano. Recentemente il presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, monsignor Paglia, ha sottolineato che per la Chiesa non esistono famiglie di serie A e famiglie di serie B. Al contrario, ha detto, la Chiesa è ancor più vicina con amore e affetto a chi vive situazioni “irregolari”, la loro sofferenza e il sacrificio contribuiscono all’economia della Grazia e, ha aggiunto, ci dà una “marcia in più”.
• In ogni caso anche il codice canonico non dà una regola assoluta ma prevede e codifica una serie di casistiche. In questo ambito sta al ministro del Sacramento della Riconciliazione valutare caso per caso, questo sì, la situazione. Tu sai che esistono per questo i penitenzieri e c’è una penitenzieria apostolica. Questo non vuole dire pura arbitrarietà (come sembri suggerire in un passaggio forse un po’ troppo riassuntivo) dell’economo, ma esercizio della pastorale, e il pastore conosce le sue pecore ad una ad una. Non parla al gregge indistinto. La stessa grazia non è dispensata a tutti nello stesso modo (non dico quantità) e c’è chi ha la Grazia di vivere una condizione con più santità e coerenza e altri meno. Però alla fine siamo tutti mendicanti di Cristo (come Cristo è medicante del cuore dell’uomo) e invidiare la Grazia altrui è proprio un brutto peccato. Il complesso del fratello maggiore del figliol prodigo ha rovinato tante persone, e dato lavoro e notorietà a tanti magistrati!
• Attenzione a quando si parla delle Chiese Orientali. Olivier Clement lo ha chiarito bene. Non distribuiscono l’Eucaristia né elargiscono benedizioni e seconde nozze, o anche terze, come gettoniere automatiche. L’Epicheia e l’Oikonomia sono discernimenti pastorali (almeno in dottrina, poi tutti possono sbagliare) che hanno comunque come obiettivo la salvezza della persona, vista sempre nella sua concretezza unica e irriducibile, che prevale sempre sulla norma giuridica (noi in Occidente siamo un po’ più – forse troppo – sensibili alla legge e alla casistica, retaggio forse della trazione giudaica e romana). Don Jonah Lynch, nel tuo articolo, dice bene: «Non accettare l’ordine della cose è la migliore ricetta per essere infelici, e tutti sono chiamati alla santità, divorziati e risposati compresi». Clement ne fa un caposaldo dell’Ortodossia: «Il Santo è un penitente, un peccatore consapevole e per ciò stesso aperto alla Grazia. La parola greca metanoia ingloba e supera la concezione comune del pentimento: designa il rovesciamento del nous, cioè della mente come centro cosciente dell’esistenza personale» e «il pentimento è il ritorno di ciò che è contrario alla natura verso ciò che le è proprio» (cfr O. Clement, La Chiesa ortodossa).
• Ti ricordo, infine, badando bene a non cadere nella soggettività protestante, che per i cristiani la coscienza personale (cristianamente formata) è sempre stato il punto ultimo di confronto, sempre, anche di fronte alle indicazioni del prete (che in fatto di pastorale può sbagliare pure lui, ovviamente non parlo della dottrina ma dei comportamenti concreti, vedi la strigliata che ha dato Bergoglio ai parroci che non vogliono battezzare i figli delle ragazze madri!). Nessuno può giudicare cosa avviene tra un’anima e Dio. È il grande e misterioso incontro di due libertà, quella dell’uomo e quella di Dio. Il vero mistero della Storia, diceva don Giussani. Del resto a buon diritto anche tu sei libero di non essere d’accordo con il cardinal Martini, che proprio sprovveduto non era. E magari anche con Scola (ti potrà capitare qualche volta…).
• In conclusione, se ci saranno cambiamenti nel codice canonico o nelle indicazioni pastorali erga omnes lo stabilirà il Papa, penso proprio in Comunione con tutti i vescovi. È in suo potere. Non facciamo come i lefebvriani che contestano alla Chiesa cattolica di non essere abbastanza cattolica e in nome dell’obbedienza al Papa vogliono scomunicare il Papa. Questo vale in linea generale, erga omnes. Le questioni personali è doveroso che ognuno le risolva nel confessionale ponendo la coscienza propria di fronte al ministro del Sacramento e il penitenziere saprà cosa dirgli perché c’è anche lo Spirito Santo che opera. Papa Francesco parlando ai confessori in Santa Maria Maggiore ha già fissato un unico e triplice confine: «Misericordia, misericordia, misericordia». Ti ricordo che “misericordioso” è il nome che Dio si dà nel Nuovo e nel Vecchio Testamento e anche nel Corano. E il Papa ha citato un cardinale, Kasper, fino a ieri ritenuto qui da noi un bel po’ modernista. E invece il suo libro è magnifico! Questo ci insegni un po’ di umiltà nel giudicare.
Giancarlo Giojelli
Ps. Io ho preso un sacco di botte, ma proprio tante tante tante, nel ’74 facendo campagna contro il divorzio, e ora mi ritrovo a inginocchiarmi mendicando la Grazia del Sacramento. Mi picchiavano in testa e ora è meglio che mi batta il petto da solo. Ovviamente questo vale per tutto e per tutti. I peccati gravi non riguardano solo il sesto e il nono comandamento! Pensa al Discorso della montagna: di fronte a quei vertici indicati da Gesù chi lancia la prima pietra? Credo che il Papa direbbe, come ha detto nella predica in Sant’Anna prima del suo insediamento, «hai peccato? Bene, così Gesù può essere felice nel perdonarti». Il che – lo dico perché vedo già Berlicche che si agita – non vuole affatto dire che il peccato è bello in sé, ma che la Misericordia fa gioire Dio (lui questa cosa temo che non la capirà mai). Del resto noi che siamo padri non siamo forse felici quando possiamo perdonare e abbracciare i nostri figli (magari prima ancora che loro possano chiedere perdono)? Il Padre va incontro al figliol prodigo prima che questo possa dire una parola! Mi dirai: bisogna pentirsi. Giusto, ma attenzione a non ridurre a regole e norme lo stupore per la Presenza viva di Cristo. È quello che fanno tanti, da una parte come dall’altra, rigoristi come lassisti, quando parlano di questi argomenti. Magari pretendendo di rubare con il permesso dei carabinieri e di peccare con il permesso del parroco. Invece stai giù in ginocchio, riconosci che sei un pirla, e goditi l’amore di Dio!
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Mi permetto di intervenire ancora perchè temo di essere stato travisato da qualcuno e questo mi dispiace profondamente. Nessuna giustificazione del tradimento, del peccato, dell’ errore, degli sbagli, usate il sostantivo che volete, la sostanza è nota. In questo scritto volevo solo precisare che:
1) Dio non si stanca di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono (la frase non è mia ovviamente).
2) Non è vero che tutto il resto è noia, perchè tutto è Grazia! E anche nel peccato più grave non possiamo dimenticare che non esiste situazione che Dio non possa trasfigurare in occasione di salvezza. Certo bisogna domandarlo e desiderarlo e mendicarlo, sapendo che non ci salva da soli. La Chiesa può sembrare ad alcuni troppo dura e ad altri troppo lassista. Credo sia meglio che ognuno giudichi per sè con l’aiuto del confessore e ami il prossimo come desidera essere amato, e se proprio vuol giudicare giudichi come desidera essere giudicato. Che ne sappiamo di quali e quante occasioni di male incontreremo nella vita? Berlicche sa bene come farci cadere. L’unica cosa che non conosce sono l’ Amore e la Misericordia, che per noi si sono fatte carne, incontrabili.
3) Quanto al codice canonico e alla dottrina: il primo dichiara esplicitamente che è scritto per salvare non per condannare e la stessa dottrina che stabilisce l’indissolubilità del Matrimonio dichiara esplicitamente che chi è venuto meno all’ ideale non è abbandonato e non è fuori della Chiesa e se gli è chiesto un Sacrificio penitenziale non è per una giustizia riparitiva (come nel codice penale) ma per la salvezza a cui tutti sono chiamati nella libertà. E Dio si serve di ogni mezzo, anche del peccato, per salvarci. Perchè ha molta più fantasia di noi ( anche questo appartiene al Patrimonio Magistrale e dottrinario della Chiesa).
4) Pastoralmente la Chiesa indica diverse strade ordinarie e straordinarie e non parla a tutti in modo indistinto ma il Pastore “porta addosso l’odore delle sue pecore” (anche questa frase è del Papa). se qualcuno se ne scandalizza sbaglia perchè la Chiesa è certamente prudente e non vuole dare occasioni di inciampo a nessuno. Però, leggendo il Vangelo, osservo che Gesù non era poi attento nelle sue frequentazioni. Non faceva sconti ma sedeva a mensa proprio con tutti. E così hanno fatto tanti santi che veneriamo.
5) Carità e verità si incontrano non in una regola astratta ma nella concereta Misericordia, e lo stesso don Giussani che indica come unico orizzonte vero l’ideale eterno- ci parlava delle stelle quando parlava del rapporto affettivo- conosceva bene la miseria umana e ci ricordava che la Misericordia non si limita a riparare ma ri-genera una creatura nuova, e che il nostro limite non è una pietra di imciampo ma il gradino su cui Dio costruisce la perfezione, cioè la Santità, se riconosciamo la Presenza di Cristo e non la riduciamo ad una coerenza di comportamenti. Se stiamo alla Legge la Madonna avrebbe dovuto essere lapidata (per questo Giuseppe pensava di rimandarla in segreto) e (questo lo dico per paradosso non si offendano i giuristi!), dal punto di vista canonico anche un matrimonio come quello di Giuseppe e Maria troverebbe qualche giustizialista che vorrebbe annullarlo!. Conclusione mia: non bisogna aspettare di essere santi per comportarsi da santi, e aspettare di accorgersi di sbattere la faccia per riconoscere che siamo feriti ab origine dal peccato, che ha colpito la nostra natura ( il Gius parlava di “sghimbescio” che ci portiamo dentro). Questo vale per tutti. C’è una sola creatura che non ha il peccato originale! Ripeto l’invito del Papa: leggete il libro Misericordia, del cardinal Kasper! Se ha fatto bene a lui (al Papa) non credo faccia male a noi. Ringrazio tutti per l’attenzione, la considerazione, gli apprezzamenti e le critiche che mi hanno rivolto, anche privatamente, e gli amici di Tempi per lo spazio che mi hanno dato. Non è mica facile aprirsi pubblicamente su una questione così, credetemi. Fa anche male. Ma in certi casi provare un po’ di male fa bene!
Giancarlo.
Ma i divorziati risposati che invocano la possibilità di fare la Comunione hanno fatto tutto il possibile perché il Tribunale Ecclesiastico riconoscesse nullo il loro matrimonio? Eppure dovrebbe essere la prima preoccupazione di un cattolico che si trovi in una condizione di irregolarità matrimoniale, e il fatto che in questi articoli praticamente non se ne parli mi lascia perplesso. C’è da dire, però, che nella base cattolica non c’é una vasta conoscenza di questo istituto canonico: lo si vede come un oggetto misterioso, riservato a rampolli blasonati e principini da operetta. In più, le motivazioni di nullità appartengono troppo alla sfera fisico-procreativa, e non viene presa in considerazione la posizione etica degli sposi, che dovrebbe essere condizione indispensabile di valido consenso. Io non sono un teologo, ma per me é una contraddizione il fatto che se io sposo una persona che non vuole figli il matrimonio é nullo, mentre se sposo una persona fedifraga riconosciuta e conclamata il matrimonio é valido.
“Prometti di amarlo, onorarlo, rispettarlo finchè morte non vi separi?” è la domanda che pone il sacerdote, alla quale si risponde “SI”. e questo si è per l’eternità di tutti e due. E’ una promessa e occorre metterci dentro tutto se stessi. Io e lui abbiamo detto quel sì, e anche se lui è tornato alla casa del padre, non è cambiato nulla. Bisogna pensarci bene prima, domandarsi cosa si è disposti a fare per l’altro e se la risposta non è “tutto”, meglio lasciar perdere. Dal momento in cui si dice “SI” non siamo più io ma diventiamo un unico noi. Si può litigare, azzuffarci, mandarci al diavolo, non parlarci per giorni, ma poi occorre fermarsi, e riflettere, e ricordarsi della promessa. Il matrimonio, come tutti i sacramenti, non và preso alla leggera. “Nessuno divida ciò che Dio ha unito!” Ricordiamocelo:
Mi sembra che non si faccia alcun cenno ad un termine fondamentale: SACRIFICIO. A questo proposito vorrei proprorre un brano di don Giussani che mi accompagna da qualche anno: “…. Il paragone più bello è il rapporto uomo-donna. Il diciannovesimo capitolo di Matteo dice che il rapporto uomo-donna nella sua stabilità, vale a dire nella figura del matrimonio, ha come sua ragion d’essere, cioè come scopo, il regno dei cieli. Ora, senza questo, il rapporto uomo-donna è chiuso in se stesso, sordo (se uno dei due crepa due mesi dopo, non ha alcun senso). Mentre è «per il regno dei cieli»; allora si capisce che il rapporto uomo-donna rappresenta un compito, una parte che uno svolge nel disegno di Dio. Questo è come se attutisse o soffocasse, addirittura, lo slancio umano che fa piacere la cosa. Invece, una volta riconosciuto bene che anche quello è per il regno di Dio, allora vi si ritorna secondo una possibilità di valorizzazione più in pace, più tranquilla, e anche con una capacità di affrontarne i sacrifici più decisa, più possibile. Il vangelo ne parla quando dice del sacrificio più grande che ci sia, quello per cui gli apostoli hanno detto: «Allora non conviene più sposarsi», vale a dire l’indissolubilità.
L’indissolubilità, che è l’eternità dentro un rapporto umano, è impossibile all’uomo se non ha davanti Dio (è
impossibile all’uomo, ma non a Dio). Se non ho davanti Dio, l’indissolubilità…:«Ma chi me lo fa fare di stare con una donna che mi secca e mi diventa insopportabile ogni giorno di più? Chi me lo fa fare?». Ma senza l’indissolubilità, il rapporto non è più un rapporto amoroso, è un rapporto assolutamente egoista, sfruttatore, possessore, alla mercé, violento: è una violenza. Violenza contro i figli, è violenza dell’uno contro l’altro, è violenza contro i parenti, è violenza la casa come dimora: fa violenza a tutto.
Mentre, se c’è la luce, allora la difficoltà è che dapprima quella cosa sembra perdersi, perdersi nella sua “attraenza” consistente, perdersi in sé: questo regno dei cieli è come se si imponesse astrattamente. Invece il regno dei cieli fa risultare la bellezza, la certezza, la permanenza e la libertà di quel rapporto visto nel suo scopo ultimo, che è l luce di Dio, cioé Cristo. La fedeltà è il nesso tra l’amore, come si percepisce, e la totalità. La fedeltà è la moralità dell’amore.(Affezione e dimora, pag 414-15)
è facile per molti parlare di indissolubilitá senza aver provato determinate situazioni.così si rischia fi fare solo falso moralismo ipocrita!io sono ateo (e a sentir certe cose mi viene da dire per fortuna) e divorziato,la mia compagna(che amo più di ogni cosa al mondo)è cattolicissima(e separata)enesduno puó sapete cosa prova e come si sente davanti alla fermezza di molta gente!
separata) e solo io só che cosa prova
Dico solo questo: 2 miei amici 40enni. separati da anni…perche’ dovrebbero vivere in castita’ e non si cercano un compagno o una compagna come tutti? Chi glelo fa fare? Tanto ai risposati e ai conviventi la Chiesa non puo’ negasre alcun diritto……
Il matrimonio rappresenta l’alleanza fra Cristo e la Chiesa, e non può quindi che essere indissolubile. L’uomo non separi ciò che Dio ha unito. Può poi accadere che, a causa del peccato il matrimonio si logori(accade quasi sempre, a meno che….). In tal caso é evidente che solo con la Grazia di Dio, che ci viene assicurata con il sacramento ( che é segno efficace della grazia) é possibile recuperare ciò che umanamente sembra destinato al fallimento sicuro. Volgersi ad un nuovo amore, ad un nuovo legame, nega alla radice la possibilità che Dio agisca con la sua grazia nell’ Unione che ha sancito e benedetto per sempre, é negare questa benedizione e questo per sempre, é quindi scegliere una situazione menzognera e contraddittoria, che perdura nel tempo e diviene quindi difficilmente risolvibile anche perché spesso si generano dei figli. È evidente che da un punto di vista dottrinale la Chiesa non puó, senza alterare la natura del matrimonio, sostenere che la rottura dell’alleanza coniugale per sostituirla con nuovo rapporto, umanamente magari piú appagante, non comporti anche una rottura nella comunione con la Chiesa stessa. Né puó, da un punto di vista pastorale , concedere la comunione in nome di una carità che prescinde dalla verità :ció sarebbe interpretato come un via libera al divorzio e alle seconde e terze unioni, con conseguenze nefaste sul istituto matrimoniale stesso. Perché sia chiaro che quasi nessuno, a fronte delle difficoltà oggettive e del peccato proprio e del coniuge, preferirebbe restare, cercando con sacrificio e con la grazia di Dio di recuperare quello sguardo d’amore sull’altro che sembra essersi smarrito,quando intravede la possibilità di un rapporto nuovo, fresco ed apparentemente immune dai difetti che hanno reso un peso il matrimonio. Benedetto XVI disse a Milano che la Chiesa non domanda agli sposi se essi siano innamorati, ma se vogliano prendere l’altro come sposo o sposa,per sempre, nel bene e nel male, dove il verbo volere segna la differenza sostanziale fra lo stato d’animo soggettivo dell’essere innamorati e la volontà di creare un legame indissolubile.
Vedo poi un vizio vecchio nel ragionamento con cui si tenta di giustificare la richiesta o la pretesa dell’Eucarestia per i divorziati risposati:quello per cui legalizzando il peccato in qualche modo lo si cancella.
Questo non funziona neppure negli ordinamenti giuridici laici:per capirci, l’aborto é legale, ma la ferita umana e sociale che esso provoca non é cancellata. Non é quindi adottando la pastorale pietosa della comunione ai divorziati risposati che risolveremo i problemi, ma formando molto meglio i giovani che si sposano (pochi), aiutando moltissimo le famiglie e le coppie in difficoltà a non sfasciarsi,a guardar si con lo sguardo di Cristo, che sana ogni ferita, ripara ogni sgarbo, addolcisce ogni asprezza. Qui si che ci sarebbe una bella pastorale da fare……
nella mia parrocchia i divorziati risposati fanno già la comunione. Il primo passo è stata la sospensione del giudizio (da parte mia) sperando che, come suggerito nella lettera, la questione fosse stata affrontata insieme al parroco, con un cammino personale o famigliare, ma comunque in fiducia rispetto al ministro. Mi resta però il dubbio dell’opportunità di farlo durante la Santa Messa, stante la posizione ufficiale della Chiesa sull’argomento: non risulta come sconfessare la Chiesa stessa?
Come è facile aderire alle indicazioni della Chiesa (di Gesù) quando le cose non ci toccano (astrazione). E come siamo pronti a giustificarci quando siamo noi in fallo… Ma forse non non ci accorgiamo di aver fatto fuori la Croce. Sine judicio, ma in veritate.
Ma a chi apparteniamo? A don Gallo?
In Comunione, sempre.
Franco
Umiltà nel giudicare! Giustissimo! Anzi, non giudicare proprio! Però in questo articolo non riesco a capire il significato che si dà alle parole Sacramento, perdono, peccato e misericordia. Certo il peccato è sempre perdonato, ma non sono certa che valga lo stesso per l’amore verso il peccato. E non capisco perché un Sacramento dovrebbe sostenere (l’Eucaristia) e un altro distruggere (il matrimonio da cui ci si vorrebbe liberare per farsi una nuova famiglia). Mi sembra che la misericordia e la compagnia di Gesù si pongano proprio innanzitutto nel non togliere a nessun prezzo la Grazia accordata al Matrimonio sacramentale, a dispetto di ogni sapore acre che questo nel tempo possa assumere. Mi tremano le dita a scrivere di un eroismo di cui non so se sarei capace e che non conosco che per la testimonianza di alcune sante persone, ma se Gesù c’è e nei Sacramenti ci fa una promessa indefettibile, la sua Grazia si offre anche attraverso un coniuge “sbagliato” a cui tornare, almeno con la fedeltà del cuore, con la stessa oggettività ed efficacia di tutti i Sacramenti. Detto questo, nessuno può permettersi di giudicare un fratello, che potrebbe aver deciso durante la messa di “convertirsi” e ricominciare daccapo, e fare la comunione pur essendo ancora tecnicamente in peccato mortale. So che questo lessico tecnico mi renderà lefevriana agli occhi di qualcuno, ma trovo la precisione del Catechismo un’altra Grazia che la Chiesa ci ha dato per camminare nel “guazzabuglio”
Una riflessione che mi ha toccata in profondità,perché vera.grazie
Voglio essere sincera, massima comprensione per le sofferenze personali, ma noi possiamo scegliere, siamo liberi.
Chiaramente questo articolo è molto bello, si vede che c’è dietro un lavoro e non una superficialità, ma alla fine mi resta un senso di “pro domo sua”, che poi alla fine sarà veramente “pro domo sua” ?
Mi scuso comunque per la pochezza delle mie parole, non sono una famosa giornalista , non sono Martini, (e la frase citata di Scola mi sembra più che tranquilla, non vedo chi possa non essere d’accordo nella Chiesa)non sono nessuno, ma facendo parte della Chiesa, senza essere manco lontanamente lefebvriana, sono perplessa, molto, molto perplessa.
Bellissimo scritto. Grazie.