La preghiera del mattino

Come si salverà il Pd tra i vari Franceschini, Boccia e Sala (oltre all’inesistente Schlein)?

Francesco Boccia, Elly Schlein
Il capogruppo del Pd in Senato Francesco Boccia con la segretaria del partito Elly Schlein (foto Ansa)

Su Dagospia si riprende un’intervista di Stefano Cappellini per La Repubblica dove Dario Franceschini dice: «Nessuno ha la bacchetta magica, nemmeno Schlein. Mi rattrista un po’ che le lezioni del passato non bastino mai. Tutti i leader del Pd, sottoscritto compreso, hanno subìto dal primo giorno una azione di logoramento. Allora dico: fermiamoci. Il risultato di queste amministrative non può diventare un alibi per iniziare una normalizzazione di Schlein. Lasciamola lavorare libera, non bisogna ingabbiarla».

I ragionamenti sul “passato che non passa”, sul fenomeno che Carlo Marx chiamava del “morto che afferra il vivo”, possono aiutarci a inquadrare la personalità di Dario Franceschini, un politico che invece di costruire scelte coerenti con la sua formazione morotea, usa le tattiche correntizie tradizionali della vecchia Dc per consolidare il proprio potere, e così da leader dei riformisti del Pd diventa cavalier servente del neoradicalismo di Elly Schlein. La sua disinvoltura gli consente di infilzare quel che resta degli ex Pci che ragionano ancora con gli schemi del centralismo democratico e non sono capaci di esercitarsi nella lotta di corrente, ma disgrega alla radice quel che c’era di buono nella tradizione del vecchio comunismo italiano e della sinistra democristiana.

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Su Affaritaliani Beppe Sala dice: «Serve ragionare su cosa sia questa che definisco la mia parte politica».

L’ex direttore del personale della Pirelli, ai suoi tempi – come ricordava Sergio Cofferati – ben poco progressista nei comportamenti verso i lavoratori degli stabilimenti della Bicocca, non riesce neanche a dire “sinistra”, e gli tocca usare un giro di parole particolarmente barocco: «Questa che definisco la mia parte politica». Al di là del giudizio su un sindaco che appare largamente stralunato, chi si occupa ancora di politica dovrebbe suggerire ai “dem” di studiare un sistema di partito e più in generale politico nazionale che aderisca alla realtà, che registri l’adesione a sinistra di personalità così “lievi” come un Sala o un Giorgio Gori, che definisca un’organizzazione di partito ad arcipelago, non piramidale, che non contempli il caso di una povera sbandata che possa presentarsi non solo come “candidato” premier, ma anche come “líder máximo”. Larghissima autonomia delle istanze territoriali, autonomia dei gruppi nelle assemblee elettive, spinta per primarie generalizzate e collegi uninominali: questa è l’unica strada grazie alla quale la sinistra può salvare quel che resta della sua anima.

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Su Huffington Post Italia Paolo Mieli dice: «La segretaria non ha responsabilità, è un’estranea. Per questo la difendo. Forse è un problema di gioventù: scompare e poi ricompare. La responsabilità è dei gruppi dirigenti, che la incoraggiano a dire vaghezze, e sono disposti a cambiare tutto pur di restare al potere».

Tra tutti i critici della neo eletta segreteria del Pd, Paolo Mieli è il più cattivo, con il suo: “Elly Schlein, non ha colpe, perché non esiste”.

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Su Formiche si scrive: «Si è tenuta il 22 maggio la presentazione del libro Si fa presto a dire sinistra di Salvatore Cannavò. Nella Sala Nassirya del Senato, erano presenti assieme all’autore il presidente dei senatori del Pd Francesco Boccia, il senatore Stefano Patuanelli, presidente del gruppo M5s, e il senatore Giuseppe De Cristofaro, di Alleanza Verdi Sinistra e presidente del gruppo misto. A coordinare i lavori il giornalista Luca De Carolis. “Penso ci siano tutte le condizioni affinché queste tre sinistre parlino lo stesso linguaggio attorno all’uguaglianza. Anche per questo motivo è arrivata Elly Schlein”, ha detto il capogruppo del Pd al Senato Boccia, ribadendo una volontà che pareva tramontata prima delle politiche, ossia l’alleanza tra il Movimento 5 stelle, il Partito democratico e Alleanza Verdi Sinistra. “Su alcuni princìpi il Pd non deve fare mediazioni al ribasso, nemmeno in nome della governabilità. Su questo, in passato, il Pd ha fatto patti col diavolo e ha perso l’anima”, ha aggiunto Boccia».

Con Michele Emiliano (e con un rapporto solido con Giuseppe Conte), Franco Boccia fa parte di quel clan dei pugliesi che ha la sua vera testa in Massimo D’Alema: da qui un’intelligente agilità tattica che non si trova in altri opachi esponenti del Pd ex Pci, ma anche la disperata mancanza di una coerenza politica che renda credibili le posizioni man mano assunte. Grandi “son et lumière” ma nessuna sostanza strategica.

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