Come pesci nella cattedrale

Di Cwalinski Vladek
12 Ottobre 2006
Una basilica del Trecento rivestita dalle ceramiche del grande artista contemporaneo. Un inno al Risorto in stile Baleari, tra ondate di fango e fondali marini

La storia dell’intervento di Miquel Barceló per la cattedrale gotica de la Seu a Palma di Maiorca è un caso rarissimo. Come una perla nascosta in una tridacna. Non si tratta infatti della solita esposizione ma di qualcosa di radicalmente diverso. Molto più importante: il rivestimento di parte della chiesa più famosa delle Baleari. L’idea nasce nel 2000 quando Barceló,
nativo di Palma, viene nominato dottore honoris causa dall’Università delle Isole Baleari. In quell’occasione Teodor úbeda, vescovo di Maiorca, gli propone di realizzare un’opera permanente per la basilica. Si decide per una installazione da realizzarsi nella cappella dedicata a Sant Pere, ritenuta troppo spoglia. Fedele all’antica tradizione delle cattedrali, la Seu è dal XIII secolo un cantiere aperto, dove hanno lavorato tra gli altri anche Antoni Gaudì e Joseph Maria Jujol. Realizzare un’opera lì significa confrontarsi con i vertici più alti dell’arte catalana. «Quando ho ottenuto la proposta di questo lavoro ho detto a me stesso: questa è la mia chance – spiega l’artista -. Era l’opportunità di far qualcosa a casa mia, a Maiorca, con la sicurezza che sarebbe rimasta lì negli anni a venire». Barceló, che riceve subito l’appoggio economico del governo e del Consiglio del turismo e commercio, immagina un’impresa colossale: un rivestimento in ceramica di 300 metri quadrati che deve ricoprire le tre pareti di Sant Pere, per 25 metri d’altezza, 8 di larghezza e 12 di profondità. A quel punto sorge il problema, non semplice, di trovare un ceramista in grado di affrontare l’opera titanica. Dopo accurate ricerche, la scelta cade su un artigiano napoletano di Vietri sul Mare: Vincenzo Santoriello. La decisione, suggerita dal gallerista svizzero di Barceló, Bruno Bishofberger, è motivata anche dalle particolari condizioni climatiche e paesaggistiche mediterranee, simili a quelle di Palma, del luogo dov’è situato il laboratorio.

Seppie e aragoste, zucche e limoni
L’enorme rivestimento doveva rappresentare il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci e il discorso di Gesù sul pane della vita; al centro dello spazio il Cristo Risorto, in prossimità del tabernacolo. Barceló pur attenendosi scrupolosamente al tema assegnatogli dal vescovo, ne amplia i confini, immettendo motivi tipici del suo immaginario visivo legato alla natura delle Baleari. Così l’opera, davvero imponente, si presenta come un mare che «cade da sopra, trasborda il muro con la sua forza». «È un’ondata di fango» dice l’artista; la cui frastagliata superficie ocra, immagine di un fondale marino, si armonizza perfettamente con le pareti antiche. Nella sterminata colata d’argilla prendono vita, oltre a un branco di pesci, provenienti dal lato sinistro in alto, anche una serie di animali marini come polipi, seppie, murene, aragoste. Al centro, accanto al tabernacolo, si trova Cristo Risorto, trionfante sulla morte, rappresentata da un mucchio di teschi. Sul lato destro, accanto ai pani fioriscono angurie, grappoli d’uva, zucche, limoni, melanzane, pomodori. Così, mentre ripropone il miracolo dei pani e dei pesci, l’opera diventa insieme un vero e proprio inno al creato, alla flora e fauna delle Baleari, al Risorto come Signore della Natura. La realizzazione di un progetto di tali proporzioni – per dipingere tutto questo brulicare in rilevo sono occorsi più di 2 mila barattoli di smalto, oltre 150 quintali il peso complessivo dell’opera – è stata tutt’altro che semplice. «Barceló voleva lavorare su tutta la superficie come se fosse stata una tela», racconta Santoriello, «tutto doveva essere sincero, autentico, reale: niente doveva essere successivamente manipolato in modo ingannevole».

Molto più che un museo
Dopo duecento pezzi di prova, la colata d’argilla è stata posizionata su diversi piani inclinati a formare una sorta di anfiteatro, nel laboratorio del ceramista a Vietri. Barceló poteva così, grazie a una serie di trabattelli e ponteggi, lavorare la superficie con le mani e con l’ausilio di pietre vulcaniche, sia da sopra sia da sotto la superficie. C’era poi il problema del trasporto. Per risolverlo, la colata è stata spaccata con un sistema di crepe e fenditure, che hanno permesso di dividerla in cinque parti e caricarla su altrettanti camion, su cui è arrivata a Palma di Maiorca, dove nel 2005 è stata montata.
A vederla così, tra le antiche volte a crociera, fa veramente un effetto splendido. Barceló ne è orgoglioso: «Una cattedrale può essere molto più di un museo. Un lavoro d’arte qui sarà sempre in buona compagnia. L’arte è stata scoperta nelle chiese. Esse sono posti per lo spirito. Non hanno niente a che fare con le esposizioni commerciali dei musei». Sta di fatto che l’artista maiorchino con un lavoro del genere, destinato a durare alcuni secoli prima di usurarsi, entra definitivamente nel gotha dell’arte mondiale.

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