Come l’Europa si spaccherà in due

Di Rodolfo Casadei
23 Ottobre 2003
Con l’approvazione del Trattato costituzionale la Ue avrà finalmente un ministro degli Esteri

Con l’approvazione del Trattato costituzionale la Ue avrà finalmente un ministro degli Esteri, e dunque quel “numero di telefono” per ricevere le chiamate internazionali che Henry Kissinger invocava già trent’anni fa. Una politica estera europea riconoscibile e coerente prenderà finalmente corpo? Non contateci. L’insieme delle disposizioni della Costituzione si presenta piuttosto come la tomba delle speranze di una politica estera europea unitaria. Spieghiamo perché. Esteri e difesa sono le uniche due materie per le quali la bozza di trattato conserva chiaramente il principio del voto all’unanimità. Molto giustamente: stabilire rapporti preferenziali con una potenza extraeuropea o dichiarargli guerra non sono cose che si decidono a maggioranza. Nessuno mai accetterebbe che i soldati italiani venissero mandati a rischiare la vita in Costa D’Avorio perché una maggioranza qualificata di francesi, tedeschi e belgi così ha deciso, benchè il governo italiano non fosse d’accordo. La nuova costituzione, però, prevede anche l’istituto delle “cooperazioni rafforzate”, che significa l’autorizzazione concessa a chi lo desidera di avviare esperienze di maggiore integrazione, anche se queste non sono condivise da tutti, e nemmeno dalla maggioranza dei paesi membri. Insomma, chi vuole può “andare avanti” e precedere gli altri sul terreno dell’integrazione. Del resto è quello che già succede oggi: l’euro, gli accordi di Schengen, ecc., rappresentano scelte compiute da una parte dei paesi Ue, non da tutti. La questione si complica quando si scopre che la politica di difesa fa parte delle materie suscettibili di cooperazione rafforzata. Questo significa, in soldoni, che un gruppo di paesi può creare uno strumento militare comune e chiamarlo “esercito europeo”. Per il neonato ministro degli Esteri europeo (e non solo per lui), è un bel problema. Le forze armate sono, com’è ovvio, uno strumento istituzionale al servizio della politica estera. Il ministro degli Esteri agirà sapendo di poter contare sulle forze armate dei 25 paesi, quasi tutti membri attuali o futuri della Nato, oppure soltanto sull’autonomo esercito europeo? Che tipo di relazione dovrà esserci fra il dispositivo militare Nato e mini-esercito europeo, e chi la decide? Come si conciliano politica di difesa europea decisa all’unanimità e creazione di un esercito europeo che è solo di alcuni? Sono tutte domande senza risposta, ma che evocano una sola conclusione certa: politica estera europea unitaria e politica di difesa a geometria variabile sono incompatibili. L’invenzione della “cooperazione rafforzata” in materia di difesa è soltanto una trovata dei francesi per stendere una coperta europea sulla loro politica estera anti-americana: il mini-summit del 29 aprile scorso fra Belgio, Francia, Germania e Lussemburgo per creare una “forza europea” autonoma dalla Nato è stata l’espressione simbolica di questa strategia. Ma il risultato sarà non l’integrazione, bensì la frattura in due dell’Europa: da una parte i paesi filo-americani, dall’altra quelli anti. Con tanti saluti al ministro degli Esteri europeo.

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