
Memoria popolare
Come il Movimento Popolare contribuì alla rivoluzione della sanità pubblica

La fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta in Italia sono stati un’epoca di grandi tensioni anche nei luoghi e negli ambiti della medicina e dell’assistenza sanitaria. Le discussioni, i conflitti e le esperienze di quel periodo sarebbero infine sfociati nella riforma che nel 1978 ha istituito il Sistema sanitario nazionale, fondato idealmente sull’universalità e gratuità delle prestazioni sanitarie, finanziate dalla fiscalità generale. Esperienze di base e lavoro culturale di alcuni operatori del settore trovarono un alveo e un contesto favorevole alla loro maturazione nel contesto del Movimento Popolare.
Recentemente Marco Botturi, già direttore del dipartimento di Tecnologie avanzate diagnostiche e terapeutiche nel Grande ospedale metropolitano Niguarda di Milano, ha prodotto una riflessione in forma di appunti sul quel periodo, a beneficio dell’ufficio studi della Fondazione Europa Civiltà.
Nella prima parte del suo contributo Botturi descrive la realtà della medicina e della sanità pubblica nel nostro paese in quel periodo e i primi tentativi di giudizio da parte di coloro che poi avrebbero dato vita al Movimento Popolare.
Una situazione insostenibile
«In Italia alla fine degli anni Sessanta i luoghi della medicina e dell’assistenza sanitaria, che rappresentavano alcuni dei settori dove più si esprimeva il potere e la rigida divisione gerarchica della società, sono stati percorsi da profonde tensioni. Erano gli anni della incredibile disfunzione dei servizi alle persone. La scarsa efficacia delle strutture sanitarie era dimostrata dai minimi valori degli indicatori di salute più significativi: un elevato tasso nazionale di mortalità perinatale ed infantile, una scarsa sicurezza negli ambienti di lavoro con un gran numero di infortuni e tecnopatie, una crescita della malattie da inquinamento, delle patologie cardiovascolari e tumorali irreversibili, delle infezioni epidemiche, la prevalenza delle patologie croniche degenerative con una bassa durata media della vita».
«Il sistema assicurativo di garanzia medico-assistenziale delle Casse Mutue prevedeva interventi riservati unicamente alle persone coinvolte direttamente nel sistema produttivo. Oltre ad essere disomogenee ed insufficienti, le Mutue lasciavano una porzione significativa della popolazione sprovvista di tutela con l’onere a carico totale delle famiglie. La situazione era insostenibile, fino all’abbandono, per i portatori di una disabilità maggiore, fisica o mentale».
Persone ridotte a malattie
«La direzione delle strutture sanitarie era saldamente nelle disponibilità di poche personalità della professione, in grado di imporre la loro autonomia e la loro visione nelle università e negli ospedali. Una organizzazione verticista, impenetrabile, fortemente selettiva ed esclusiva. I giovani professionisti dovevano adeguarsi in misura completa o ne erano definitivamente esclusi».
Al centro dell’azione terapeutica non c’era la persona. Non si curava la persona, ma la sua malattia:
«I pazienti non avevano altra via che ridursi alla passività per affidare la loro parte malata, che sola poteva essere riconosciuta dalla istituzione e presa in considerazione. La pratica del ricovero istituzionale a lungo termine era spesso la normale attività assistenziale».
Questione di potere ed efficienza
«Un cambiamento si imponeva e non poteva essere rinviato. Nelle occupazioni delle facoltà di Medicina nelle università di diverse città prevaleva certamente questa esigenza di cambiamento, ma l’impeto era rivolto esclusivamente ad abbattere ciò che c’era per far crollare l’intero complesso. Nonostante il clima violento di quegli anni, si era irreversibilmente aperto in alcuni luoghi un confronto tra diverse posizioni, una discussione su cosa dovesse intendersi per salute, una messa in questione del ruolo ideologico della medicina e delle istituzioni sanitarie, delle presenze e delle funzioni interne a questo complesso sistema. Da allora hanno trovato espressione numerosissimi tentativi di formulare proposte, a partire da valori diversificati, sul problema della mancanza di salute e sulla insoddisfazione di chi pratica la professione sanitaria. La grande maggioranza degli interventi allora si accentrava però unicamente sulla necessità di un ricambio del potere a livello di direzione e sulla spinta verso l’efficienza del sistema di garanzia».
Una alternativa di salute
«In quell’epoca Pier Alberto Bertazzi [futuro presidente del Movimento Popolare fra il 1987 e il 1988, allora studente di Medicina, ndr] fece conoscere l’opera dei Comité Action Santé. Si trattava di collettivi di base creatisi in Francia che comprendevano operatori sanitari di diversi livelli, studenti ed operai. Le loro tesi erano già frutto di pratiche alternative iniziate qualche anno prima sia all’interno che all’esterno delle istituzioni sanitarie. Ciò aveva provocato scontri con i gestori delle strutture e con le posizioni tradizionali consolidate, ed erano cominciati alcuni episodi di autogestione».
«Il nucleo della proposta di Action Santé era costituito da una critica radicale degli elementi portanti della pratica medica. L’impostazione secondo cui il medico attraverso la scienza (cioè attraverso il potere) poteva porre rimedio definitivo al problema della salute era contestata in forza della convinzione che guardare il problema della salute come rinchiuso nel momento della pratica medica sarebbe stata una falsificazione dei reali termini del problema. L’efficientismo come orientamento del sistema sanitario era contestato perché in realtà tale processo avrebbe finito per imporre un intervento autoritario e restrittivo sulla popolazione».
«Il problema della salute era politico: questo era il giudizio centrale. Ma l’affermazione poteva essere fuorviante se ci si fosse fermati alla denuncia dei determinanti economici, sociali e culturali della non salute e all’attesa di un diverso esito una volta mutati questi determinanti. Era invece urgente unire alla denuncia la progettazione pratica e teorica – sperimentabile – di una alternativa di salute e non solo di una alternativa di malattia».
Dalle comunità alle opere
«Pier Alberto ed un piccolo gruppo di studenti e giovani medici hanno approfondito gli argomenti avanzati da Action Santé dentro al ricco dibattito sui temi sanitari che si era sviluppato all’inizio degli anni Settanta. Lo hanno fatto non elaborando una nuova ideologia da affermare e difendere, ma portando alla riflessione elementi originali che nascevano semplicemente dalla loro vita di sanitari, impegnati nell’università e negli ospedali, dove vedevano bisogni e tentavano risposte in genere di piccola dimensione. Ma lo facevano all’interno di un’esperienza particolare di una vita insieme. Non hanno proposto di creare con il loro impegno un collettivo, ma si riconoscevano già facenti parte di una comunità. Questa loro particolare condizione di prossimità li ha fatti più attenti ai bisogni e più originali nei loro tentativi».
«La nascita e l’attività del Movimento Popolare hanno accolto e sviluppato queste iniziali intuizioni. Un movimento per la salute ha trovato nel Movimento Popolare una continuità della riflessione in un orizzonte più ampio, stabilità e capacità di diffusione nazionale. A questa opera hanno partecipato attivamente molte comunità aderenti al Movimento Popolare che hanno assunto la proposta culturale e politica di Mp come fondamento e occasione di molte iniziative. Si sono costituiti così gruppi di presenza negli ospedali e nei servizi sociali, associazioni di medici di famiglia e di operatori psichiatrici. Si sono realizzati numerosi seminari di studio, corsi di aggiornamento e di formazione professionale anche in alcune sedi universitarie. Si sono costruiti modelli di servizi innovativi (cooperative, ambulatori, residenze dedicate) in tutta Italia».
(1. continua)
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