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Come è nato il mito del “modello” cinese

Di Lorenzo Castellani
25 Settembre 2023
Nomi e ragioni degli intellettuali “democratici” che hanno coltivato a lungo il sogno di importare in Occidente l’efficienza del dispotismo di Pechino. E che adesso sono finalmente costretti a cambiare idea
Cina
Visita di gruppo (con giuramento di fedeltà) al Memoriale del primo congresso comunista cinese aperto a Shanghai in occasione del centenario del Partito, 10 giugno 2021 (foto Ansa)

Oggi tutti temono la Cina. La società tecno-totalitaria, le pulsioni nazionaliste, la minaccia su Taiwan, la politica del contagio zero, lo spionaggio sistematico, le dubbie pratiche economiche e finanziarie sono denunciati da qualunque centro di pensiero occidentale o quasi. Tuttavia, esisteva un tempo in cui soltanto una piccola parte dell’opinione pubblica temeva la Cina, molti restavano indifferenti a quel paese troppo diverso, mentre una influente nicchia intellettuale progressista si lasciava sedurre dal suo modello politico ed economico.
Dove nasce l'infatuazione per la Cina
L’infatuazione intellettuale per il Dragone cinese era molto à la page nei circoli democratici e globalisti dello scorso decennio. Il primo libro che introduceva il “modello asiatico” lo scrissero il miliardario Nicolas Berggruen e il saggista Nathan Gardels nel 2012, s’intitolava Intelligent Governance for the 21st Century.
La tesi, non banale e avanguardista per quel periodo, partiva dalla crisi ...

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