
Come acculturare il centrodestra che verrà

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Ci sono segnali di vita, e confortanti, nel cortile sempre un po’ troppo litigioso del centrodestra. I numeri dicono che la partita siciliana è aperta e promettente, per novembre si prevede un testa a testa tra il candidato melonian-berlusconiano Nello Musumeci e il contendente pentastellato Giancarlo Cancelleri. Quanto a Fabrizio Micari, sostenuto dal Partito democratico e dagli alfaniani (sull’orientamento di Pisapia e dei suoi soci goscisti non è ancora dato sapere), i bene informati sostengono che non abbia alcuna chance o quasi. Ed ecco allora moltiplicarsi le indiscrezioni sull’assalto finale alla leadership renziana che dovrebbe consumarsi all’indomani dell’eventuale sconfitta.
Altri sondaggi, sia pure con varie sfumature e al netto della legge elettorale che verrà, se verrà, dicono che a livello nazionale un centrodestra unito è destinato ad arrivare primo: Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega vedono a portata di mano l’occasione storica di tornare maggioranza nelle urne. Una simile prospettiva induce a derubricare al rango di schermaglie d’amore il quotidiano battibecco tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini su chi debba impugnare la futura premiership. Al momento i fatti contano ancora più dei tatticismi. Uniti si vince, disuniti si finisce gambe all’aria. E l’occasione, per certi versi, è storica: solo un paio d’anni fa, con il principato di Renzi al massimo del suo fulgore, nessuno avrebbe scommesso un centesimo sulle capacità di recupero del fronte conservatore. Ma a voler essere onesti bisogna ammettere che il centrodestra ha risalito soltanto a metà la china, e se oggi sta avanti è perché da questa china i suoi avversari sono nel frattempo scivolati a precipizio. Il che ispira l’interrogativo: vincere per demeriti altrui può bastare a ben governare? Evidentemente no.
Sabato scorso si è parlato anche di questo nella bella festa di fine estate organizzata da L’Opinione di Arturo Diaconale a Marina di Pietrasanta, un’occasione conviviale gestita con cura sofisticata e risultati di primo livello, fra politici, intellettuali e giornalisti d’area impegnati a ridisegnare un modello di egemonia culturale possibile. Tempi c’era, fedele al proprio orientamento patriottico e popolare. In un dibattito pomeridiano, affiancato da Alessandra Necci, Edoardo Sylos Labini, Giancarlo Mazzuca (cda Rai), Davide Giacalone e Diaconale, abbiamo sollevato la questione dei numerosi errori da non ripetere: 1) presumere di poter fare a meno di una cultura alta e condivisa cui fare appello nelle scelte politiche dirimenti; 2) presumere di poter fare a meno di risorse economiche atte a valorizzare tale sforzo culturale (genere: con la cultura non si mangia); 3) presumere che basti circondarsi all’ultimo momento di alcuni titolati professori per sbrigare la faccenda (la vicenda dei professori berlusconiani vanamente imbarcati nel 1996, da Lucio Colletti in giù, dovrebbe aver insegnato qualcosa); 4) presumere che il mondo della comunicazione e dell’intrattenimento, dalla televisione al cinema passando per l’online in ogni sua sfaccettatura, sia solamente un terreno di conquista per teste quadre al servizio di piccoli ras e non una macchina d’influenza sociale e di consenso da penetrare con le migliori riserve intellettuali, e per la quale è necessario formare nuove riserve ancora acerbe; 5) presumere che gli intellettuali di riferimento qui vagheggiati esistano e si stiano ponendo i nostri stessi interrogativi; 6) smetterla di presumere e mettersi al lavoro per fissare punti fermi, se non già appuntamenti comuni, perché la via delle vittorie inutili è lastricata di presunzione inoperosa.
Foto Ansa
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