Combattono i terroristi la mattina poi la sera gli offrono la pizza

Sappiamo bene quali siano state le responsabilità della sinistra comunista nella crescita del terrorismo degli anni Settanta, che risalivano alle sue radici rivoluzionarie mai pienamente rinnegate, come lasciava trasparire la sgangherata formula del “partito di lotta e di governo”. I tentativi di ascrivere il fenomeno a una congiura dei servizi segreti “deviati” o della Cia non le evitarono la dolorosa presa d’atto di essere di fronte a quel che venne chiamato un “album di famiglia”. Occorre però riconoscere che, se vi furono compromissioni e zone grigie – ben testimoniate dalla definizione dei brigatisti come “compagni che sbagliano” -, i gruppi dirigenti dei comunisti e della Cgil seppero prendere la decisione radicale di elevare un confine spesso e invalicabile tra il partito e il sindacato da un lato e l’area politica del terrorismo dall’altro. Fu una scelta difficile e non priva di conseguenze. Non è certamente un caso se, ancor oggi, personaggi come Adriano Sofri condannano quella politica come una rottura della sinistra ufficiale con “i giovani”. A noi pare invece che, tra tanti errori, occorra riconoscere a Enrico Berlinguer, Luciano Lama e gran parte del gruppo dirigente del Pci e della Cgil la lucidità di aver compreso che quella scelta radicale era l’unica che poteva portare alla sconfitta del terrorismo. Vi fu chi continuò a civettare con l’idea di cavalcare i movimenti estremisti, magari in nome dell’intenzione “buona” ma completamente sbagliata di prosciugare l’acqua in cui nuotava il terrorismo. Eppure, oggi come ieri, per vincere il terrorismo bisogna isolarlo senza alcuna condiscendenza, sforzarsi di recidere ogni suo legame con la società civile. Non è soltanto la legittimazione diretta che occorre evitare, ma anche quella indiretta, che è la più insidiosa. Se si va a farsi una pizza il sabato con un estremista che trova giustificazioni alla violenza e poi quest’ultimo va di domenica a farsi una pizza con uno che quella violenza in piazza la esercita effettivamente, il quale a sua volta il lunedì si fa la pizza con un terrorista, si costruisce una catena – che può avere anche qualche anello in più, ma anche uno di meno – che rappresenta una fonte di legittimazione sociale, politica e culturale. Diciamolo con franchezza: per isolare il terrorismo occorre che coloro che lo praticano e coloro che lo giustificano si sentano reietti sociali. Questa fu la scelta giusta adottata negli anni Settanta, ed era anche una sacrosanta scelta morale.
Oggi il terrorismo appare molto più debole, ma il muro difensivo assai meno spesso e impenetrabile. L’atteggiamento della sinistra è ambiguo e sfilacciato anche perché non esiste più alcun gruppo dirigente dotato dell’autorità per imporre una linea coerente. Proliferano discorsi come quelli della senatrice Haidi Giuliani, secondo cui i teppisti del corteo anti-Bush «sbagliano ma hanno perfettamente ragione ad essere arrabbiati». Dirigenti politici e sindacali circolano nei centri sociali. A L’Aquila un corteo apertamente filobrigatista ha manifestato per la libertà dei «compagni arrestati» senza intralci e nell’indifferenza generale. E non meno inquietante è quel che è accaduto a Roma proprio durante la sfilata del corteo antiamericano: le forze dell’ordine costrette a sorbirsi pietrate per mezz’ora, mentre le autorità istituzionali trattavano con i capi del corteo “pacifico” (tra cui un deputato della Repubblica) concedendo loro il deflusso e l’impunità dei violenti in cambio della fine degli attacchi e del vandalismo. È una situazione che richiama la catena delle pizze di cui sopra. E non viene per niente da ridere.

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.