
Lettere al direttore
La Colletta alimentare fa bene ai poveri (e a chi la fa)

Dell’annuale Colletta nazionale del Banco alimentare, giornata che abbiamo vissuto insieme ieri 18 novembre, non si esalterà mai abbastanza il fatto che la gente, ovvero in senso lato “il mondo”, non è solo violenza, corruzione, scandalo, ingiustizie… una brutta cosa di cui sempre e comunque lamentarsi! Ma tutte quelle tonnellate di alimenti “donate” gratuitamente non sono in realtà lo specchio di un cuore umano capace anche di genuinità e autenticità? Insomma capace di commuoversi per i bisogni degli altri e di spendere i propri soldi per aiutare? Che dire poi delle decine di migliaia di volontari che si son messi lì a “chiedere” davanti a supermercati e ai centri commerciali? Sono stato con alcune studentesse della II B della media Sineo di questo, ai più sconosciuto paese, che si chiama Sale di Tortona, a sostenere il gesto della Raccolta alimentare e – a parte quei 4 o cinque signori/e arrabbiati con la vita o con il governo quindi ognuno infelice di suo – che spettacolo di generosità! Che gratuità! Giorgia, Aurora, Cecilia e Giulia dovevano osservare il turno dalle 10.00 alle 11.00… non solo si sono fermate fino alle 12.00 ma son tornate nel pomeriggio e dalle 15.00 e sono state con noi fino o alle 17.00. E non è che si siano fermate per non dover fare i compiti per lunedì, ma solo e semplicemente perché era bello andare incontro alla gente con il sacchetto, pettorina svolazzante, e l’invito gioioso a “comprare” qualcosa per chi veramente vive in povertà! Visto il freddo, abbiamo consumato pure tre termos di tè che abbiamo offerto a chi lo desiderava. Insomma un gesto fatto insieme, quindi divertente e pure vero e utile, per i poveri. Il nostro supermercato si chiamava Costapoco e abbiamo raccolto ben 263 kg di alimenti e anche all’altro, Gulliver, si è raccolto non poco, ben 263 kg. Un totale di 497 kg! Quando l’amore al prossimo travalica le sacrestie e si fa incontro umano, esperienza di novità, città nuova, mondo nuovo. Un segno. Nulla di ché, epperò splendente!
Pippo Emmolo con Natalino, Cecilia, Aurora, Giulia, Giorgia, Anna, Lorenza, Pippo Sale (AL)
Grazie per il vostro racconto che descrive bene, attraverso la vostra esperienza, ciò che anche i numeri certificano: infatti, come reso noto dal Banco Alimentare, alla Giornata della Colletta «hanno aderito 11.800 supermercati (+ 6 per cento sul 2022) e oltre 140.000 volontari che hanno raccolto 7.350 tonnellate (+9 per cento rispetto alla scorsa edizione) di prodotti a lunga conservazione». È grazie a gesti come questo che, nel corso dell’anno, poi le varie associazioni ed enti collegati al Banco (ben 7.600) posso aiutare 1 milione e 700 persone in stato di necessità.
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«Sembra quasi che ormai da più anni ogni tentativo di intervenire per migliorare il nostro sistema formativo si risolva ineludibilmente in un arretramento delle sue prestazioni, quantitative e qualitative. Per molti, anche operatori della e per la scuola, questa situazione sembra ormai un dato di fatto, un dato acquisito di fronte a cui non rimane che rifugiarsi in un atteggiamento che riecheggia il detto popolare “piove, governo ladro”. Le ragioni di questa situazione di anni di stallo, o meglio di lento e continuo regresso, sono certamente molte, ma si propone con particolare evidenza: il “blocco della cultura” con cui guardano alla scuola non solo operatori e decisori, ma anche gli utilizzatori, che appare sostanzialmente omogenea nelle sue caratteristiche fondamentali» (Felice Eugenio Crema, in “La libertà della scuola italiana”, Centro Culturale Ismec).
Lunghi sono stati i vari passaggi – Gentile, Bottai, Gonella, Brocca, Berlinguer, Moratti, Fioroni, Gelmini…, sino all’attuale Ministro Valditara che sta cercando di rimediare – dove ha avuto ed ha grande influenza l’esperienza compiuta da molti dei protagonisti degli anni cinquanta nella formulazione della “Carta della Scuola” voluta da Bottai, ciò che ebbe ad inficiare il cammino delle possibili modifiche al sistema, particolarmente in ordine alla cultura pedagogica.
La legge istitutiva della scuola media fu il criterio ordinativo della politica scolastica: essa fu, con l’istituzione dell’obbligo, la più compiuta espressione di questa realtà, che non a caso divenne – come ebbe ad evidenziare Crema – il riferimento di tutte le riforme successive.
La centralità del fine educativo della scuola, attribuendo alla scuola il compito esplicito di favorire il cambiamento sociale ritenuto necessario per il futuro accanto all’enciclopedismo dei programmi.
Da qui gli ordinamenti caratterizzanti il percorso univoco di tutte le scuole. Tale percorso fu sempre giustificato con la necessità di attuare la Costituzione. Ma in troppi casi – sottolineò Crema – la lettura del dettato costituzionale fu, ed è, assolutamente parziale, non si sono voluti contemperare le diverse indicazione in essa contenute, ma alcune assolutilizzate (art. 2 e 3), altre sostanzialmente distorte (art. 33 e 34), nonché lo stesso riconoscimento del diritto della famiglia alla scelta della scuola e al diritto dovere di educare e istruire i figli (art. 29).
Da qui il “grande paradosso” dell’art.33 della Costituzione che identifica la scuola non statale come ambito di educazione e di istruzione: secondo quanto affermato da Berlinguer – alla fine degli anni novanta – che la scuola ha il compito di educare «fino al 18esimo anno, per cui tutta l’istruzione pubblica deve essere organizzata secondo il modello unitario e coerente, in grado di assumersi la responsabilità di condurre la giovane generazione alla maggiore età attraverso un percorso in grado di garantire l’“eguaglianza delle opportunità”.
Il tutto con l’obiettivo di portare ad un unico modello organizzativo e il manifesto significato del decreto che istituisce la scuola paritaria senza mettere in discussione la norma del 1942, per cui “scuola” può essere chiamata solo quella istituita dallo Stato.
Un paradosso assurdo: infatti se la scienza e l’arte sono libere e libero ne è l’insegnamento, le scuole non statali non possono essere condizionate dal successivo comma dove si dichiara che “enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, ma – ahimè – “senza oneri per lo Stato».
La libertà del primo comma viene in tal modo sventata di contenuto e vanificata: si afferma il diritto alla libertà, ma si pongono condizioni che la rendono impossibile. Siamo di fronte ad un paradosso dovuto ad un profondo errore di interpretazione della realtà: lo Stato non ha risorse proprie; queste provengono dai cittadini. Pertanto sono questi ultimi – e non lo Stato – a dare copertura agli oneri pubblici. Lo Stato è chiamato a distribuire equamente ai cittadini ciò che raccoglie attraverso ‘imposizione fiscale. Ciò significa che l’espressione, “senza oneri per lo Stato”, è priva di senso. L’educazione esige non il neutralismo rispetto alle ideologie, ma una concezione in positivo dell’uomo, una visione del mondo secondo cui portare avanti il processo educativo. Quindi, la scuola statale, in quanto scuola neutrale ideologicamente – ciò che non è vero considerata la situazione attuale – non può soddisfare le esigenze di coloro che vogliono una educazione che sia conforme alla propria visione del mondo.
La scuola di Stato non può essere La scuola “per tutti”, ma soltanto per coloro che positivamente la scelgono. Quelli che vogliono un’altra scuola non chiedono qualcosa di più di quello che lo Stato fa per tutti, ma chiedono qualcosa di diverso, a cui hanno diritto in base al pluralismo culturale. Quindi uno Stato che voglia essere democratico, non può eludere tale esigenza dei cittadini.
Ma qual è la risposta urgente e possibile da dare al problema della libertà scolastica? “Restituire l’istruzione ai suoi titolari”, ai “genitori”, ai quali la nostra Carta Costituzionale riconosce il “diritto”, ma anche il “dovere di mantenere, istruire ed educarne i figli” (Peppino Zola, su Tempi).
E’ questa una condizione ineludibile, e una decisiva battaglia da compiere.
Mi permetto ricordare, tra i tanti, alcuni interventi significativi:
Aldo Moro: “La libertà paritaria va coniugata come un pari diritto della scuola non statale e di quella statale a conseguire la più alta qualificazione quale partecipazione di ogni libera scuola da parte e per conto della collettività”.
Romano Prodi: “Tutta la scuola è pubblica, sia quella statale che quella privata. Urge chiudere le polemiche tra scuola statale e scuola non statale, puntando ad un sistema efficace e decentrato”.
Antonio Gramsci: “Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della “scuola libera”, della scuola lasciata alla iniziativa privata e ai Comuni. La libertà della scuola è possibile soltanto se la scuola è indipendente dal controllo dello Stato. Noi dobbiamo farci propugnatori della “scuola libera” e conquistare la libertà di creare le nostre scuole”.
In questa diatriba, visti gli sforzi inutili al rispetto dei diritti e della libertà dei cittadini, la porta unica e incontrovertibile è quella di una “scuola libera”. Sembra inutile continuare a battere il tasto del riconoscimento economico alla scuola non statale, in sembianza di quella statale. Smettiamola di essere i Lazzaro in ginocchio ai piedi della tavola, in attesa di qualche briciola fatta cadere dal ricco epulone.
Come cattolici, ma non solo in nome nostro, smettiamola di citare la scuola “cattolica”, e puntiamo sul termine “libera”. Quella libertà spesso coniugata in ordine a situazioni alquanto discutibili. Proviamo tutti quanti a lasciare da parte il riferimento alla “scuola cattolica”, e puntiamo sul diritto alla “libertà” di qualsivoglia cittadino del nostro Paese. Proviamo – come ebbe a suggerire Mons. Antonio Riboldi, rosminiano, già vescovo di Acerra – e lasciamo da parte i princìpi e mettiamoci d’accordo su un fatto molto concreto, cioè sulla salvaguardia della “libertà” della scuola tutta -statale e non statale – sia della libertà di scelta da parte dei genitori.
Fare un ragionamento di questo tipo non è rinunciare ai propri “ideali”, ai propri “princìpi”. Quella libertà riconosciuta incondizionatamente a tutti, fuorché alla “scuola”: perché non insistere anche per la scuola? In caso contrario ci troveremo sempre a lottare fra la scuola confessionale e non confessionale, tra clericali e non clericali, tra Stato e Chiesa, e il problema della libertà di educazione e di scelta della scuola, non lo risolveremo mai.
Purtroppo non si vuole accettare il superamento del “paradosso costituzionale” di cui all’art.33. Non si vuole riconoscere che, dopo il riconoscimento di tanti diritti, anche se non soprattutto ideologici, nonostante le varie dichiarazioni, convenzioni e risoluzioni Europee, e particolarmente le sentenze della Corte costituzionale del 1958 e la sentenza 454 del 1994, che ebbero sin d’allora a sollecitare lo Stato Italiano affinché avesse ad attuare adeguate norme in ordine alla piena libertà della scuola non statale e un trattamento equipollente ai suoi diritti.
La scelta di una scuola libera, indipendentemente statale e non statale, non solo garantirebbe un tasso vero di libertà e di democrazia, e cancellerebbe le inutili diatribe portate in essere da chi parla di libertà, ma è pronto a negarla con argomentazioni futili che non vanno a loro difesa.
Il tema della “libertà” – ampiamente riconosciuto per altri – è condizione irrinunciabile anche per l’educazione scolastica e la libertà di scelta delle scuole a cui inviare i propri figli.
Giancarlo Tettamanti
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