Cogne, il delitto e lo show

Di Tringali Massimo
01 Agosto 2002
è il giallo dell’anno. Tempi se ne occupa fuori da ogni logica di spettacolo. Leggendo le carte processuali e fermo restando la presunzione d’innocenza dell’indagata. La soluzione? Forse è in un passaggio del pronunciamento della Cassazione…

Cogne. La mattina del 30 gennaio scorso, i primi soccorritori giunti nella camera dei coniugi Stefano Lorenzi e Annamaria Franzoni si trovano di fronte a una scena da incubo. Nel letto matrimoniale giace il corpicino straziato del piccolo Samuele. Il sangue è dappertutto, frammenti ossei e materia cerebrale sono sparsi sul cuscino, lungo tutto il letto, sull’abatjour e sulla parte di muro alla sinistra del letto (per chi guarda frontalmente); poi sul muro retrostante la spalliera del letto, sulle tende, sul comodino e addirittura fino al soffitto. Nella stanza nessun segno di colluttazione. Tutto è in ordine nonostante il piccolo Samuele abbia tentato di difendersi dal suo aggressore. Su questo punto tutti concordano: la relazione del professor Francesco Viglino, medico legale incaricato dalla Procura di Aosta dell’autopsia sul bimbo, non ha solo evidenziato come la mano sinistra di Samuele riporti alcune ferite lacero-contuse, ma la priorità temporale di tali ferite rispetto a quelle inferte sul capo di Samuele (dai 12 ai 14 colpi con un oggetto non identificato, ma certamente dotato di spigoli). Dunque il bambino ha tentato di difendersi e ha visto il suo assassino.

Sei mesi di talk-show
Come era logico e naturale attendersi da un delitto che scuote profondamente l’opinione pubblica, fin dal 30 gennaio l’attenzione di giornali e TV sul caso del piccolo Samuele è altissima. Un’attenzione che gli stessi famigliari dell’unica indagata per il delitto – Annamaria Franzoni, madre di Samuele – che si battono tenacemente per dimostrare la sua innocenza, sembrano collaborare a tenere ben desta. Il massimo dell’esposizione mediatica avviene con l’apparizione di Annamaria Franzoni al Costanzo show, dove la signora annuncia di avere in corso una nuova gravidanza. Settimana scorsa poi, con la pubblicazione sul settimanale Panorama delle foto della scena del delitto, il caso riesplode in una polemica al calor bianco. «è un’opera di sciacallaggio quella di Panorama», denuncia nel suo esposto alla Procura di Milano il difensore della Franzoni avvocato Carlo Taormina. «Offensivo del diritto-dovere dei giornalisti di informare e dei lettori di essere informati» replica la direzione del settimanale all’appello rivolto ai lettori da Taormina a strappare la copertina di Panorama con l’immagine del letto macchiato del sangue di Samuele. Qualcuno domanda: ma chi ha scattato le foto per le quali anche la famiglia di Samuele ha parlato di “speculazione giornalistica”? Le ha scattate Carmelo Lavorino, detective privato incaricato dalla stessa famiglia Franzoni di compiere sopralluoghi sul luogo del delitto e che su Panorama oltre alle foto propone la pista del killer che scagionerebbe la Franzoni. Dunque la difesa è sospettabile di doppio gioco? No, assicura Taormina, che accompagna l’esposto e l’appello contro Panorama con una dichiarazione che dovrebbe sciogliere ogni dubbio: «Lavorino era stato autorizzato a riprendere quelle immagini da Stefano Lorenzi ma solo al fine di realizzarne uno studio. Poi però il criminologo non ha più ricevuto alcun incarico in merito». Comunque sia il caso Cogne continua a tener banco nella cronaca estiva e a svolgersi nella cornice di un enorme tam tam mediatico. E sono ormai passati sei mesi dall’omicidio, allorché lo stesso giudice per le indagini preliminari, il gip Fabrizio Gandini, nell’ordinanza di custodia cautelare a carico di Annamaria Franzoni, lamentava il fatto che «le indagini preliminari, per la prima volta nella storia giudiziaria del nostro paese, sono state integralmente seguite in diretta dai mezzi di comunicazione di massa, che hanno provveduto con dovizia di particolari, a rendere noti al pubblico i singoli elementi di fatto acquisiti dagli investigatori, mano a mano che questi venivano raccolti». Le conclusioni del gip Gandini: «Si è creato una sorta di controllo sociale improprio, che ha probabilmente inibito le azioni dell’indagata». Insomma volenti o nolenti, il caso Cogne è diventato una sorta di talk show giudiziario.

Le carte processuali
E torniamo ai fatti. Forse non è inutile ricordare che compito dei magistrati è assicurare alla giustizia il colpevole di un reato e provare a dimostrare, con indizi, fatti, prove, la sua colpevolezza nel corso del dibattimento processuale. Ciò significa, tra l’altro, che una sentenza di condanna non può avvenire automaticamente nemmeno in caso di “reo-confesso”. Perché? Perché ad esempio può accadere che l’accusato confessi un omicidio per “coprire” un’altra persona. Ragion per cui la confessione di per sé non basta per risolvere un caso giudiziario. Occorre avere elementi certi, prove, per processare e chiedere la condanna di una persona. Cerchiamo dunque di vedere perché, sotto il profilo processuale, Annamaria Franzoni rimane a tutt’oggi l’unica indagata per l’omicidio di suo figlio Samuele. Lo facciamo in termini di informazione e computo di fatti elementari (ma a questo punto crediamo sia una delle poche cose utili per il lettore, visto il gran polverone che è stato sollevato intorno alla vicenda) acquisiti agli atti e verificati consultando esclusivamente le “carte” processuali. Ovvero: tutto ciò che ad oggi materialmente esiste e conta in vista di un iter giudiziario che – non è proprio una novità – si preannuncia lungo e complicato (tutto è infatti rinviato a dopo l’estate con l’incidente probatorio fissato dal gip Gandini, che ha accolto in tal senso la richiesta della difesa, al prossimo 7 ottobre e, nel frattempo, con l’avvocato Taormina che tira di sciabola e fioretto con la Procura aostana, promettendo esposti e clamorose rivelazioni). Ad oggi le carte processuali sono: l’ordinanza del Gip che ha richiesto la custodia cautelare per la Franzoni, accogliendo così la richiesta della Procura; l’ordinanza del Tribunale del riesame di Torino che ha annullato il provvedimento coercitivo, ordinando l’immediata scarcerazione dell’indagata; il pronunciamento della prima Sezione penale della Corte di Cassazione che a sua volta ha dato ragione al Gip e annullato la decisione presa dal Riesame.

L’ordinanza del Gip
Per quanto riguarda l’ordinanza del Gip. Sono tre i passaggi chiave su cui è costruito l’atto di accusa che ha portato alla custodia cautelare la Franzoni.
1) L’assassino doveva trovarsi da solo con Samuele, indossare la casacca del pigiama della signora Franzoni e calzare gli zoccoli durante o immediatamente dopo aver consumato l’omicidio; 2) doveva avere un certo lasso di tempo per far scomparire l’arma del delitto, ripulirsi e allontanarsi indisturbato; 3) doveva conoscere perfettamente la disposizione delle camere nella villetta e le abitudini dei Lorenzi. Ora, nel valutare queste condizioni, insieme agli indizi raccolti dai pm di Aosta e dai carabinieri di Cogne, mediante interrogatori e intercettazioni ambientali, nonché dai rilievi effettuati nella villetta di Montroz da parte del Gruppo investigativo dei Carabinieri del RIS di Parma, risulta che, come scrive nell’ordinanza Gandini, «tutte queste condizioni sono contemporaneamente soddisfatte solo ipotizzando che l’assassino sia Annamaria Franzoni». è “praticamente” impossibile che il delitto sia stato perpetrato da terzi sostiene il gip: «Le ipotesi alternative invece postulano spiegazioni quasi fantascientifiche e tratteggerebbero un profilo criminale appartenente ad una persona particolarmente abile e versata nella consumazione di questo tipo di reati». Ora, prosegue il ragionamento del gip, sono stati ampiamente verificati gli alibi di terzi, dai vicini di casa (con particolare attenzione a Daniela Ferrod e ai coniugi Perratone, essendo stati accertati alcuni screzi con i Lorenzi) al signor Lorenzi. Conclusione: non ci sono indizi contro di loro e l’ipotesi del killer che piomba dall’esterno e uccide Samuele, scrive Gandini appare “fantascientifica”. In particolare due elementi la renderebbero piuttosto inverosimile. Punto primo: il tempo disponibile per intrufolarsi nella villetta, uccidere Samuele, far sparire l’arma e ripulirsi senza lasciare tracce è limitatissimo. La Franzoni, infatti, lascia l’abitazione per accompagnare allo scuolabus Davide alle 8:16 e rientra alle 8:27. Per raggiungere la fermata del pulmino occorrono almeno 3 minuti, con un’andatura normale. Così il tempo “utile” per l’assassino si restringe: deve aspettare che la Franzoni e Davide si allontanino e deve uscire prima che la Franzoni possa accorgersi della sua presenza. Lo spazio entro il quale può commettere il delitto, a detta del gip, si riduce a 5-6 minuti al massimo.
Punto secondo: bisogna poi tenere conto dell’elevatissimo rischio a cui va incontro l’ipotetico killer di essere visto dai vicini.

Perché la Cassazione ha dato ragione al pm Cugge
La Corte di Cassazione (che ha cassato la sentenza con cui il Tribunale del Riesame aveva annullato l’ordinanza del Gip), concorda pienamente con il ricorso del pm Stefania Cugge, ritenendo «frutto di un artifizio dialettico necessitato dalla deliberata volontà di tenere in piedi gli anelli di una catena probatoria preconcetta», l’ipotesi formulata dal Tribunale del Riesame di Torino secondo cui l’omicidio di Samuele sia stato «programmato da un fantomatico assassino all’insegna di una situazione di fatto del tutto occasionale». Non sono stati rilevati segni di appostamento né prima, né durante, né dopo l’omicidio. E a parte il pigiama e gli zoccoli, rimane il fatto che il fantomatico killer avrebbe usato un’arma impropria, del tutto incompatibile con una fase di preparazione e studio dell’omicidio. In altre parole la Cassazione concorda con gip e pm nel ritenere “artifizio”, “preconcetto”, “fantasioso” che un killer avrebbe trovato lì per caso l’arma del delitto, avrebbe notato la Franzoni uscire col solo figlio Davide e sarebbe entrato in casa a commettere l’omicidio, senza sapere se la porta (unica via di accesso, essendo le finestre e la porta del garage chiuse) era o meno aperta. A giudizio dell’accusa un simile scenario sembra davvero “sconfinare nel bizzarro”.
Secondo l’accusa la Franzoni si sarebbe contraddetta e avrebbe mentito su più punti: 1) diversamente da quanto sostenuto dalla Franzoni, la porta della villetta era chiusa (la giustificazione addotta dalla Franzoni che non avrebbe chiuso a chiave la porta d’ingresso per non svegliare il piccolo Samuele, appare al gip del tutto «infondata, non potendo svegliarsi con il rumore della porta colui che in realtà era già sveglio e non stava dormendo». Tuttavia lo stesso gip non esclude «per amore di discussione» che la porta fosse aperta, ma ad ogni modo, prosegue il gip, risulta impossibile la commissione del reato da parte di terzi); 2) la Franzoni, diversamente dalla versione fornita ai magistrati, non indossava gli zoccoli bianchi, imbrattati di sangue, quando sono arrivate Daniela Ferrod e Ada Satragni (e questo secondo la testimonianza delle stesse Ferrod e Satragni chiamate dalla Franzoni per soccorrere Samuele), ma un paio di stivaletti neri; 3) dunque la Satragni non disse mai alla Franzoni di andare a cambiarsi e in particolare togliersi gli zoccoli per prepararsi ad accompagnare Samuele all’ospedale; 4) il pigiama non si trovava sopra il letto, ma tra le lenzuola e il materasso.

Le controdeduzioni della difesa
In tutta questa vicenda l’attenzione si è concentrata sulle macchie di sangue che imbrattano la casacca del pigiama e gli zoccoli, appartenenti alla mamma di Samuele. Secondo l’accusa, supportata dalle analisi e dalle argomentazioni scientifiche dei carabinieri del Ris di Parma, il pigiama, come gli zoccoli, sarebbero stati indossati dall’assassino mentre uccideva Samuele.
Su questo punto delicatissimo, la perizia ordinata dalla difesa e condotta dai professori Carlo Torre e Carlo Robino, dà risultati diametralmente opposti all’accusa. Per la difesa, infatti, il pigiama sarebbe stato imbrattato durante l’esecuzione della violentissima aggressione perché si trovava gettato in disordine sul piumone del letto, e non era indossato dall’assassino. Inoltre è da escludere che le tracce di sangue rilevate sugli zoccoli bianchi della Franzoni indichino che essi erano stati calzati dall’assassino al momento del delitto. Per il Tribunale del Riesame di Torino, a parte la questione del pigiama e degli zoccoli, in primo luogo è verosimile che l’omicidio sia stato commesso nei minuti in cui la Franzoni era fuori ad accompagnare Davide: «si può ragionevolmente affermare, almeno allo stato, che le risultanze di indagine riportano la perpetrazione della feroce aggressione ad una frazione temporale ben difficilmente conciliabile con la ricostruzione accusatoria; giova altresì ribadire che la frazione temporale sopra richiamata, e cioè quella compresa fra le ore 8 e 14 minuti primi e le ore 8 e 15 minuti primi, è stata calcolata sulla base di una ricostruzione totalmente sfavorevole all’indagata e ferma restando la possibilità del tutto giustificata alla luce delle valutazioni medico legali fornite dal consulente dell’accusa, di spostare tale frazione temporale all’interno di quell’intervallo di sette-otto minuti primi compreso fra le ore 8 e 17-17 minuti primi e le ore 8 e 23-24 minuti primi, durante il quale l’indagata si trovava pacificamente fuori casa». In sostanza per i giudici del Riesame l’ipotesi dell’estraneo è più che plausibile. In altri termini ciò che appare inverosimile e fantasioso per il gip, è ritenuto logico e razionale dal Riesame. Scrivono i giudici torinesi: «non pare assolutamente condivisibile l’affermazione secondo cui un eventuale aggressore non identificantesi nella Franzoni avrebbe impiegato un particolare lasso di tempo, subito dopo l’esecuzione del delitto, per far sparire l’oggetto impiegato per colpire il bambino, per pulirsi o comunque per allontanarsi indisturbato; appare infatti del tutto plausibile, e ben difficilmente contestabile, l’ipotesi che un eventuale omicida penetrato furtivamente nell’abitazione nell’arco del più volte richiamato intervallo temporale di sette otto minuti compreso fra l’allontanamento della Franzoni in compagnia del figlio Davide ed il rientro della stessa nell’abitazione, si sia allontanato con una certa rapidità, tralasciando di lavarsi, portando con sé l’oggetto utilizzato per compiere la feroce aggressione ed approfittando della posizione piuttosto isolata in cui è situata la villa dei Lorenzi per far perdere le proprie tracce in un lasso di tempo particolarmente breve«. Ma, soprattutto, il Tribunale del Riesame ha “indicato” una precisa pista investigativa che sarebbe stata trascurata dagli inquirenti. è scritto nell’ordinanza di scarcerazione: «quanto alla conoscenza della disposizione delle camere all’interno dell’abitazione dei Lorenzi e delle abitudini di vita di questi ultimi sarà sufficiente osservare che non risultano ad oggi essere stati acquisiti convincenti alibi di taluni dei conoscenti degli stessi Lorenzi, e segnatamente della vicina di casa Ferrod Daniela e del suocero Guichardaz Ottino». In sostanza viene “smantellato” l’intero impianto accusatorio. Non si ritengono sufficientemente gravi gli indizi a carico dell’indagata. Da qui la decisione dell’immediata scarcerazione.

Il pronunciamento della Cassazione
Dopo aver letto la sentenza del Riesame, la procura di Aosta ha fatto ricorso in Cassazione. Ora lo scorso 10 giugno (con motivazioni depositate in cancelleria l’11 luglio) la prima sezione Penale della Suprema Corte esprime un inequivocabile parere negativo rispetto alla sentenza del Tribunale del Riesame che ha rimesso in libertà la mamma di Samuele. La Cassazione critica l’opera di “svalutazione” dei 73 elementi indiziari raccolti dalla procura di Aosta e che inchiodano la Franzoni. L’obiettivo della Cassazione è stato quello di fissare “paletti” ben determinati entro i quali si dovrà muovere il Tribunale del Riesame di Torino quando sarà chiamato ad occuparsi circa la restrizione delle libertà personale della Franzoni. I giudici della Cassazione muovono pesanti critiche contro il Tribunale del Riesame che aveva rimesso in libertà la Franzoni lo scorso 30 marzo. Essi infatti trovano «manifestamente illogico il metodo di valutazione degli indizi operato dal Tribunale». Fin dalle prime pagine dell’ordinanza di scarcerazione emerge «una sorta di deliberata e pervicace determinazione dei giudici del riesame ad inficiare il costrutto accusatorio». Così si è finito per «svilire la concreta portata probatoria di ogni singolo indizio di colpevolezza a carico della Franzoni, analizzandolo e valutandolo separatamente e in modo atomizzato dall’intero contesto probatorio, in una direzione specifica e preconcetta». Insomma un attacco frontale durissimo. I giudici della Cassazione ritengono estremamente “vaga” l’ipotesi, in sostanza avallata dai giudici del Tribunale del Riesame, secondo la quale una persona non appartenente alla famiglia Lorenzi sia entrata a casa loro durante la breve assenza della Franzoni. Soprattutto – osservazione particolarmente rilevante – la Cassazione sostiene che l’omicidio del piccolo Samuele «si connota inequivocabilmente per un tipico dolo d’impeto». Ora proprio questa tipologia omicidiaria, dice la Cassazione, “annulla” la tesi che il delitto sia stato premeditato da un estraneo appostatosi nelle vicinanze. A tal riguardo si sottolinea come non risultino «tracce» o «segni riconducibili a un possibile appostamento«. Inoltre, la prima Sezione Penale della Suprema Corte difende «dall’esame critico« condotto dai giudici del Tribunale del Riesame le 73 «argomentazioni logico-deduttive« raccolte dagli inquirenti. Le «possibili spiegazioni alternative» sull’autore del delitto vengono definite come mere «ipotesi ed illazioni«. In particolare è considerato assurdo avvalorare la tesi che nella villetta di Montroz sarebbero potute entrare «persone ben conosciute dal piccolo Samuele ma diverse dalla madre». Come abbiamo già evidenziato, la Cassazione dà ragione al pm Cugge nel ritenere l’ipotesi del Tribunale del Riesame, «frutto di un artifizio dialettico necessitato dalla deliberata volontà di tenere in piedi gli anelli di una catena probatoria preconcetta, ipotizzare un delitto di questo tipo, privo di una valida causale e scaturito almeno all’apparenza da un atteggiamento psicologico che non ha niente del dolo di proposito, facendolo apparire programmato da un fantomatico assassino all’insegna di una situazione di fatto del tutto casuale». La casualità di dettagli (ammettiamo ad esempio che davvero la Franzoni, come da lei più volte dichiarato in successive ritrattazioni, non chiuse a chiave la porta d’ingresso, per non svegliare il piccolo Samuele) è assolutamente incompatibile con la pianificazione tipica dei delitti premeditati. Sui vicini di casa, chiamati in causa dal Tribunale del Riesame per il loro alibi, la Cassazione si esprime in questi termini: «veramente illogico e giuridicamente arbitrario allo stato degli atti, perché sfornito di qualsiasi valido elemento obiettivo di riscontro, è l’aver indicato un gruppo di persone “genericamente sospettate” come ipotetici portatori di sentimenti inoppugnabili, senza spiegare perché su tali persone debbano concretamente e alternativamente appuntarsi i sospetti degli inquirenti, al di là dell’accertata esistenza di “normali screzi“ o banali liti di vicinato peraltro risalenti nel tempo e da tempo composti e di presumibili moventi microscopicamente sproporzionati al fatto-reato commesso». Un sollievo per Daniela Ferrod, Ulisse Guichardaz e i coniugi Perratore. Per la Suprema Corte, insomma, i sospetti degli inquirenti non si possono appuntare su queste persone a causa di «normali screzi o banali liti di vicinato peraltro risalenti nel tempo e da tempo composti». Come moventi avrebbero un peso «macroscopicamente» sproporzionato alla gravità del delitto. Questa è la cronaca (giudiziaria), scritta sulla base del principio della presunzione di innocenza ed evitando il resto (l’attivismo del consigliere Lorenzi e gli screzi con il sindaco Osvaldo Ruffier; le apparizioni televisive e gli “uffici stampa” della signora Franzoni). Che non interessa. Se non nella cornice di spettacolo che si è creata intorno al caso giudiziario dell’anno. L’omicidio del piccolo Samuele, 3 anni, di Cogne.

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