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Cinema – Il brillante (e politico) serraglio del disneyano Zootropolis
Per quanto da sempre il cinema d’animazione sia da sempre popolato da funny animals, ovvero animali semi o completamente antropomorfizzati, sono pochi i lungometraggi disney ad utilizzare in toto un cast del genere. Ricordiamo Robin Hood e Chicken Little (ma anche, a fumetti, Jungle Town di Tito Faraci), e soprattutto quest’ultimo costruiva con cura una intera società animalesca, fatta di case e di tecnologie piegate alle esigenze della flora più varia. Questo concetto, estremizzato e completato a 360°, è il protagonista dell’ultimo classico disney: Zootropolis. Nella città del titolo si trovano le più varie specie animali, ognuna residente nella zona che più è adatta alle sue caratteristiche selvatiche: il deserto, la foresta amazzonica, la montagna innevata e via dicendo. Nonostante l’alto livello tecnologico raggiunto, ed una sostanziale civilizzazione, gli antichi retaggi selvatici e la distinzione tra piccole prede e grandi predatori permane. E così la protagonista è una giovane e impavida coniglietta, Judy Hopps, pronta a sfatare la credenza che crede i conigli dei pavidi bonaccioni, e decisa a fare carriera come poliziotta tra intricati casi criminali. A sbarrarle la strada sarà il nemico naturale, l’astuta volpe Nick Wilde.
Forse è il film più politico della Disney, capace di inserirsi in un momento storico ben preciso, in cui messaggi di solidarietà, tolleranza e comprensioni sono particolarmente sentiti. L’intrigo politico e la lotta di classe che emergono per la città di Zootropolis sono reali, e la quotidiana sfida per emergere nella vita è trattegiata con un’asprezza non usuale in questo tipo di film. Tutto questo è reso credibile dalla capacità di costruire un universo compatto nuovo e credibile, dotato di precise regole – un concetto che deve molto all’universo pixariano – e di presentare una coralità di personaggi solida, per quanto a volte solo abbozzata. Certo, non mancano simpatiche (auto)citazioni (i dvd riletti in chiave animale, il campus di nudisti degno di quello di “Uno sparo nel buio“), marchette pubblicitarie, momenti musicali trasformati quasi in videoclip e strizzate d’occhio alla contemporaneità, aspetti questi ultimi che potrebbero diventare incomprensibili tra qualche anno. Il film è però capace di costruire un universo sospeso tra la fantasia e la realtà spietata e cruda dei nostri giorni. La brillante sceneggiatura incastra momenti di azzeccate risate e di amare riflessioni, con alcuni ispirati tormentoni, e in un paio di occasioni colpisce al cuore, come in un toccante flashback e nello scioglimento finale. Ad essere un po’ sacrificata nella stratificata sceneggiatura è proprio il co-protagonista maschile, la volpe Nick, a tutto vantaggio di Judy, che afferma una volta di più la centralità dei protagonisti femminili, dopo Star Wars e Inside Out.
Sobrio ed azzeccato il doppiaggio italiano: non solo bravi attori ad interpretare personaggi di contorno ma di spessore (Massimo Lopez, Leo Gullotta, Diego Abatantuono), ma un’ottima scelta per Ilaria Latini e Alessandro Quarta, che realizzano un lavoro eccellente entrando nella pelliccia dei due protagonisti. In sintesi, Zootropolis è un viaggio in un credibile esopico universo alternativo, capace di far riflettere e di far ridere, dosando con arguzia tutti gli ingredienti per realizzare una commedia di animali con tutti i pregi e i difetti degli umani.
Zootropolis (Zootopia in lingua originale), 2016, regia di Byron Howard e Rich Moore, Walt Disney Animation Studios, 108′, dal 18 Febbraio nei cinema in 650 copie
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