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Cinema – Coco commuove al ritmo di ottima musica

Di Amedeo Badini
22 Gennaio 2018

Nel cammino accidentato che la Pixar ha avuto dopo il 2010, fatto di tanti sequel più o meno riusciti, di esperimenti lontani dalla loro filosofia, di sceneggiature azzardate come Arlo, o di colpi eccezionali come Inside Out, ci voleva Coco per consolare i fan e confermare che la Pixar vive e lotta insieme a noi. La nuova pellicola, diretta da Lee Unkrich e Adrian Molina, non è solo un tenero omaggio alla cultura messicana, ma anche una riflessione sulla memoria e sul passato, e sui legami che continuano ad unirci tra generazioni, anche dopo la morte. La storia si snoda durante le celebrazioni del Dia de los Muertos, grande festa messicana atta a celebrare gli antenati e i parenti dipartiti. Il piccolo Miguel vive in una famiglia in cui la musica è stata bandita, dato che il trisavolo aveva abbandonato la famiglia per vivere una vita da mariachi vagabondo, storia che vediamo all’inizio del film in un’efficace animazione 2D realizzata sui tipici merletti della tradizione. Ma pur di realizzare il suo sogno, decide di rubare la chitarra del celebre cantante Ernesto de la Cruz, fatto che lo trasporta nel mondo dei morti, in cui rischia di restare intrappolato.

Questa, in maniera molto sintetica e senza spoiler, è la trama, un tipico racconto di formazione, di riscatto e di crescita, che ha più di un contatto con alcune pellicole disneyane, come la Sirenetta, ma anche con quelle pixariane, come Up.  Con le prime il film è sicuramente debitore per un solido impianto musicale, come mai prima d’oro. Essendo la storia legata profondamente con l’ambiente musicale, e in un paese come il Messico melodicamente ricchissimo, assistiamo ad un tripudio di canzoni e di momenti canori mai banali ed integrati perfettamente, grazie ai coniugi Lopez, già parolieri di Frozen. La Pixar dimostra di aver studiato la lezione di celeberrimi capolavori disneyani e, invece di approcciare la smaccata modalità musica, utilizza il sistema intradiegetico, in cui l’azione ha bisogno della canzone per andare avanti, e viceversa, in un riuscito amalgama. Un poco loco, ma soprattutto La Llorona sono un riuscitissimo esempio, in cui vediamo i personaggi danzare a ritmo di musica, in maniera perfettamente giustificata, senza che mai risulti forzata, che è il pericolo più grande per un film di canzoni. Menzione di merito per Remember Me, cardine e chiave di volta di tutto il film: dolce ninna nanna, spericolata hit, triste lamento, accorato appello: poche note che vengono declinate in maniera diversa per illustrare quanto la realtà possa essere sfaccettata, e come sentimenti fulgidi possano essere piegati per i fini più biechi.

Non neghiamo che da un punto di vista narrativo la storia appaia per certi versi banali, per quanto molto toccante. E se le canzoni ne fanno il film pixariano maggiormente disneyano, molto più di Brave, la costruzione del mondo dei morti è pienamente figlia della casa di Emeryville. Vediamo infatti una struttura complessa ed indipendente, un microcosmo dotato delle sue regole e delle sue leggi, così come si era visto nel mondo dei mostri, della mente o dei pesci. Una visione interessante, e visivamente accattivante – il ponte di calendule è un vero simbolo della fantasia al potere, così come gli animali multicolor e gli allegri scheletri – ma fin troppo burocratica e ingessata: l’idea che l’aldilà non sia una livella, e che il lavoro e le disparità continuino, non è esattamente quello che ci aspettiamo. E sicuramente contrasta con la scoppiettante immagine della vita dopo la morte presentata dal genio di Tim Burton ne La sposa cadavere. 

Insomma, una pellicola vibrante e ricca di suggestioni, che ci ricorda quanto noi siamo memoria del nostro passato e di chi ci ha preceduto. Un fiume di lacrime suggella un film che, pur con dei difetti, colpisce al cuore, e non lascia insensibili. Nota di demerito per la Disney, invece, che ha deciso di precedere la pellicola da un lungo cortometraggio di 20 minuti dedicato ad Olaf, in cui una ridda di canzoni ci travolge nella noia. Peccato, l’accostamento proprio non funziona. Per fortuna, le calde atmosfere di Coco fanno dimenticare allo spettatore lo spiacevole inizio.

Coco, 2017, di Lee Unkrich e Adrian Molina, Pixar, 109′, dal 28 dicembre nei migliori cinema

@Badenji

 

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