
Il Partito comunista compie 100 anni. «Una dannazione eterna per la Cina»

«La dittatura di un partito può portare solo a disastri». Chi l’avrebbe mai detto che il Partito comunista cinese (Pcc), prima di conquistare il potere nel 1949, avrebbe saputo inconsapevolmente descrivere così bene il proprio futuro? Questa frase infatti era contenuta in un editoriale del 30 marzo 1946 del quotidiano Xinhua, fondato otto anni prima da Zhou Enlai, che sarebbe diventato il primo ministro della neonata Repubblica popolare. Il primo quotidiano del Pcc ovviamente non si riferiva al “Paradiso in terra” che Mao Zedong avrebbe costruito, ma al Kuomintang, il partito nazionalista di Chiang Kai-shek che i comunisti riuscirono a sconfiggere dopo una sanguinosa guerra civile. Oggi che il Partito comunista festeggia i suoi cent’anni di vita, questo editoriale al pari di tanti altri episodi storici scabrosi sono stati cancellati dalla storiografia ufficiale. Chi ricorda la verità è accusato di “nichilismo storico”.
La Cina festeggia, ma non sa perché
Nessuno sa perché il Partito comunista festeggi l’1 luglio il suo anniversario. Il Congresso di fondazione del Pcc si aprì il 23 luglio del 1921 in una casa nella concessione francese di Shanghai. I fondatori, temendo di essere scoperti, si spostarono poi su una barca per turisti sul vicino lago Nanhu. L’assemblea si concluse il 31 luglio con la nomina a primo segretario del Pcc di Chen Duxiu, che verrà poi purgato con l’accusa di “avventurismo”. La prima di tante purghe. Allora il Pcc aveva al massimo una cinquantina di seguaci e Mao Zedong contava come il due di picche. Forse anche per questo, il Grande timoniere si dimenticò la data di fondazione del suo Partito e dopo il 1949, quando si trattò di stabilire la data celebrativa ufficiale, sancì quella dell’1 luglio.
Durante i festeggiamenti in Piazza Tienanmen a Pechino, Xi Jinping seguirà un copione preciso: rivendicherà i grandi risultati del Pcc, omettendo le tante stragi di cui si è reso responsabile. Esalterà il socialismo con caratteristiche cinesi, che ha reso la Cina una «società moderatamente prospera» come promesso, elogerà l’impresa di aver «cancellato la povertà» nel paese (anche se i numeri dicono altro con buona pace di D’Alema) e ricorderà come l’unico fautore della rinascita cinese, finalmente affrancata dal dominio degli imperialisti, è il popolo, ovviamente incarnato e rappresentato dal Partito comunista.
I meriti del Pcc in Cina
Xi non citerà ovviamente le campagne politiche lanciate ogni due anni a partire dal 1949 da Mao, secondo cui «il popolo deve soffrire» per non imborghesirsi. Per farlo soffrire in modo adeguato Mao e i suoi successori si inventarono la riforma agraria (1-5 milioni di morti), la campagna dei tre anti prima, la campagna dei cinque anti poi («dobbiamo giustiziare da 10 mila a decine di migliaia di corrotti per risolvere il problema», disse Mao), la campagna per la soppressione dei controrivoluzionari (2 milioni di morti, Mao suggeriva di giustiziare lo 0,1% della popolazione), la campagna contro i “Sufan” (100 mila morti circa), la campagna dei cento fiori che portò dritta dritta alla campagna contro gli elementi di destra (1-2 milioni di morti), il Grande balzo in avanti (45 milioni di morti), la Rivoluzione culturale (20 milioni di morti, quando i nemici di classe «venivano mangiati»), il massacro di Piazza Tienanmen (10 mila morti) e si potrebbe andare avanti ancora a lungo.
Quanto sangue ha dovuto versare il popolo cinese per diventare infine «moderatamente prospero» e schiavo della dittatura di un partito o, come ai tempi di Mao e oggi sotto Xi Jinping, di un leader? Eppure, per farsi benvolere dalla popolazione, il Pcc si finse prima nazionalista (chi ricorda oggi che Mao fu un leader locale del Kuomintang prima della Lunga marcia?) e poi fautore della democrazia in Cina.
Quando il Partito era democratico
Sul quotidiano del Pcc Liberazione, il 13 giugno 1944, si potevano leggere ragionamenti di questo tipo: «La Cina ha un difetto, ed è molto grande. Questo difetto, in soldoni, è la mancanza di democrazia». Cinque anni prima, il 25 febbraio 1939, la Xinhua scriveva: «Non bisogna respingere la democrazia perché il popolo è ignorante: bisogna adottare i principi democratici per educare e migliorare il livello di educazione del popolo».
Xi ricorda l’editoriale del 1994 della Xinhua in cui il megafono del Partito tuonava: «È evidente che democrazia e libertà di espressione sono inseparabili»?
«Lunga marcia verso l’inferno»
Mao ovviamente sosteneva e faceva scrivere simili amenità soltanto per prendere il potere. E quando l’1 ottobre 1949 il figlio di contadini dell’Hunan gridò tra ali festanti di folla, davanti alla Porta della pace celeste in Piazza Tienanmen, che «il popolo cinese si è alzato in piedi», nessuno poteva immaginare che la «salvezza» portata dal marxismo-leninismo si sarebbe tradotta nella più grande mattanza della storia dell’umanità.
Oggi il Partito comunista cinese compie 100 anni di vita e c’è ancora chi lo esalta. Ma come dichiarato in un’intervista esclusiva che uscirà sul prossimo numero di Tempi dal dissidente Liao Yiwu: «I 100 anni del Partito comunista sono stati una lunga marcia dal paradiso all’inferno. Praticamente una “dannazione eterna”».
Foto Ansa
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