Cina, lockdown e Covid: Pechino e Xi Jinping nel panico

Di Leone Grotti
27 Aprile 2022
I 21 milioni di abitanti della capitale razziano i supermercati temendo di fare la fine di Shanghai. Xi sa che per diventare il nuovo Mao deve presentarsi al prossimo Congresso come vincitore del Covid
Corsa a svuotare i supermercati a Pechino, capitale della Cina, per paura del lockdown

Corsa a svuotare i supermercati a Pechino, capitale della Cina, per paura del lockdown

A Pechino è scoppiato il panico: i 21 milioni di abitanti della capitale della Cina hanno paura di fare la fine di Shanghai. Cinque giorni fa sono stati identificati i primi casi di Covid, saliti ieri sera a 92, e le autorità locali hanno imposto a 11 distretti su 16 una campagna di tamponi di massa. Un’area di 2-3 chilometri, dove si è verificata la maggior parte dei nuovi casi, è stata completamente isolata attraverso l’erezione di recinzioni blu per impedire agli abitanti dei quartieri di uscire di casa e dalla propria zona.

Lockdown a Pechino come a Shanghai?

Le autorità cinesi assicurano che non ci sarà alcun lockdown generalizzato come a Shanghai, ma la dinamica sembra la stessa: prima la scoperta di pochi casi, poi l’annuncio di test di massa, in seguito la chiusura di pochi quartieri e infine il lockdown totale.

Gli abitanti della capitale temono di essere nella prima fase del processo e si sono affrettati a fare razzia di generi di prima necessità nei supermercati e online. Il caso del centro finanziario della Cina, infatti, insegna: se in città è ufficialmente vietato uscire di casa dall’1 aprile, i residenti di alcuni quartieri si trovano segregati da oltre un mese. Migliaia di testimonianze online sulla scarsità di cibo hanno indotto gli abitanti di Pechino a non fidarsi delle autorità e a prendere le dovute precauzioni.

Chiusure e restrizioni dovunque in Cina

La fallimentare strategia “zero Covid” non funesta solo Shanghai o Pechino. Secondo una ricerca di Gavekal Dragonomics, citata da Reuters, delle 100 principali città cinesi dal punto di vista del fatturato economico, 57 sono sottoposte a «restrizioni relativamente dure a causa del Covid». La settimana scorsa erano 66, ma è difficile parlare di miglioramento.

Da marzo a Shanghai si sono registrati 500 mila casi e 190 morti ufficialmente, un numero estremamente basso che non combacia né con le stime degli esperti né con i tanti casi denunciati dalla popolazione online. Nonostante gli abitanti del centro finanziario più importante della Cina siano reclusi in casa da un mese, ancora ieri si sono registrati 16,983 casi, dei quali 2.472 sintomatici. Numeri bassissimi per qualunque paese al mondo, ma considerati drammatici dal regime cinese che aveva promesso di «eliminare il virus» e l’anno scorso si era vantato di esserci riuscito mentre Stati Uniti ed Europa arrancavano.

Interi distretti di Shanghai, in Cina, sono stati chiusi con alte recinzioni per impedire alla gente di uscire durante il lockdown
Interi distretti di Shanghai sono stati chiusi con alte recinzioni per impedire alla gente di uscire durante il lockdown

Abitanti di Shanghai chiusi in gabbia

Anche se in alcuni quartieri di Shanghai ai residenti è stato permesso di uscire di casa (senza però allontanarsi dal complesso residenziale di appartenenza), preoccupano le notizie su interi distretti chiusi da recinzioni di ferro alte più di due metri e su altri sfollati, con gli abitanti (sani) costretti a trasferirsi in centri d’accoglienza nella provincia del Zhejiang.

La strategia “zero Covid” cinese non sta soltanto portando la popolazione cinese all’esasperazione, ma sta anche danneggiando seriamente l’economia. Alcuni esperti contattati dal South China Morning Post spiegano che per il Dragone sarà «molto difficile» raggiungere il livello previsto di crescita economica annuale, pari al 5,5%. Tonnellate di merci, destinate all’esportazione ma anche alla produzione nazionale, indispensabili alle aziende di tutta la Cina per continuare a produrre, sono infatti bloccate a Shanghai.

L’economia cinese arranca

Nanjing, riporta il Washington Post, è “Covid free” ma molte fabbriche hanno fermato la produzione per la mancanza di materie prime, bloccate a Shanghai. Secondo un’indagine della Camera di commercio americana in Cina, l’86% delle aziende ha dovuto interrompere il normale lavoro da marzo per le falle nella catena di approvvigionamento delle materie prime.

Come spiegato da Bloomberg, gli analisti finanziari sono preoccupati «per il momento più buio da due decenni a questa parte che la Cina sta attraversando». Li Junheng, fondatore di JL Warren Capital, spiega che «c’è una crisi di fiducia e non si capisce cosa il paese voglia fare per uscire da questa situazione».

La risposta sarebbe semplice: lasciare tutto com’è, abbandonare la politica dei lockdown e dei tracciamenti di massa e convivere con il virus. Un’opzione più che fattibile visto che il tasso di mortalità, stando ai numeri rilasciati dalle autorità cinesi, è bassissimo. In realtà, secondo molti studiosi, i dati sono truccati e la Cina avrebbe un tasso di mortalità spaventoso, anche a causa del basso tasso di vaccinazione e della scarsa efficacia dei sieri locali.

Xi Jinping deve “vincere il Covid”

Ma poiché è impossibile conoscere la verità sui dati cinesi, c’è un’altra ragione che si può avanzare per spiegare l’insistenza della leadership cinese nel rinchiudere i propri cittadini in lockdown inutili dal punto di vista sanitario. A fine anno, si terrà il Congresso più importante degli ultimi cinquant’anni in Cina, quello in cui Xi Jinping potrebbe essere rieletto a capo del Partito comunista e del paese per la terza volta, rompendo con una tradizione sulla leadership condivisa che durava dai tempi di Deng Xiaoping e diventando a tutti gli effetti potente come Mao Zedong.

Molti osservatori ritengono che Xi, per ottenere l’appoggio di tutto il Partito comunista, ha bisogno di presentarsi come vincitore nella guerra al Covid. Ecco perché, dopo un anno e mezzo in cui la Cina ha dichiarato ufficialmente zero morti, non può permettersi nuove ondate, anche se irrisorie dal punto di vista della mortalità. Xi insomma si trova costretto a mettere l’ideologia davanti all’economia, anche se – e qui sta il pericoloso paradosso che rende delicatissimo il frangente storico del Dragone – è il successo in economia che in questi anni ha tenuto in piedi un’ideologia che di comunista ormai ha solo il nome, sostituita da un fiero nazionalismo. Ma se il paese arranca, e gli standard di vita della popolazione peggiorano, per Xi sarà difficile parlare ancora del “sogno cinese”.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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