Cina, 5 mila poliziotti per sedare una rivolta alla Foxconn, che fabbrica l’iPhone

Di Chiara Sirianni
24 Settembre 2012
In seguito a una rissa che ha coinvolto centinaia di dipendenti, lo stabilimento di Tayuan è stato chiuso. La Foxconn, azienda taiwanese famosa per l'alto numero di suicidi, produce anche iPhone.

Disordini, proteste e almeno quaranta feriti: queste le informazioni che arrivano dalla fabbrica Foxconn di Taiyuan, nord della Cina. La notizia è trapelata dal social network Weibo, utilizzato da diversi operai nella giornata di ieri per pubblicare una serie di fotografie scattate direttamente in fabbrica. Il materiale fotografico (assieme ai commenti) è stato prontamente cancellato, ma l’azienda – già nell’occhio del ciclone per le durissime condizioni di lavoro degli operai, e per un numero di suicidi da record, tanto che sono state fatte apporre delle reti di protezione alle finestre – è stata costretta ad ammettere le contestazioni con un comunicato stampa ufficiale. La Foxconn, azienda taiwanese, produce apparecchiature per decine di big del mondo informatico, e assembla, tra le altre cose, i telefonini e tablet Apple (in particolare il retro-involucro di iPhone5). Stando alle informazioni circolate in rete, la lite sarebbe scoppiata in un dormitorio alle 23 di domenica sera, e sarebbe sfociata in una rissa che ha coinvolto duemila persone. Per sedarla sono intervenuti oltre 5 mila poliziotti. Le origini della protesta non sono chiare: sembrerebbe che un addetto alla sicurezza abbia malmenato un operaio che si era rifiutato di fornire ore di lavoro straordinario.

L’IMPEGNO A NON SUICIDARSI. Per la Foxconn si tratterebbe invece di una “disputa personale”, che ha portato all’arresto di una decina di persone. Nel solo 2010 sono stati trenta i tentativi di suicidio. Il primo nel 2009: Sun Danyong, ingegnere, era stato accusato di aver rubato un prototipo del nuovo iPhone e si è ucciso: la famiglia ha ricevuto un indennizzo economico. Alcuni dipendenti si erano raccontati al blog Shangaiist, parlando di pressioni psicologiche oltre che fisiche: «Siamo addestrati a diventare macchine da produzione e veniamo trattati senza rispetto. I rimproveri sono la norma e la nostra autostima è a zero». Si trattava dello stabilimento cinese di Shenzhen, che ha aperto scenari desolanti sulle condizioni lavorative che i dipendenti erano costretti a sopportare. Lo scandalo aveva portato a diverse indagini interne, a una difesa d’ufficio del capo di Apple, Steve Jobs, e soprattutto a un modulo fatto firmare dagli operai dalla Foxconn: l’impegno a non suicidarsi.

UN MILIONE DI ANIMALI. L’emittente statunitense Abc è recentemente riuscita a visitare, telecamere alla mano, le linee di produzione degli impianti di Shenzhen e di Chengdu: turni di dodici ore, sette giorni su sette, e l’ex executive dell’Apple, ora consigliere del Ceo di Foxconn, Terry Gou, che si giustifica così: «Abbiamo imparato dai nostri errori e stiamo modificando il processo produttivo. Sicuramente molti suicidi hanno a che fare con il management, ma alcuni potrebbero anche essere spiegati con la condizione di migranti di molti operai per i quali diventa difficile stringere amicizie». A febbraio sembrava che le condizioni sarebbero migliorate, aumenti dei salari compresi. Terry Gou, a gennaio, all’ultima festa di fine anno, si era detto affaticato: «Mi vengono di quei mal di testa dovendo dirigere ogni giorno un milione di animali». L’azienda ha poi specificato che i giornalisti avevano interpretato male le sue parole, e che non c’era nessuna intenzione di offendere i lavoratori «deliberatamente».

@SirianniChiara

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