«Ci uccidono perché siamo cristiani». I massacri Fulani in Nigeria

Di Agnese Costa
07 Aprile 2022
Dal 2009 i pastori musulmani hanno già fatto tra le 13 mila e le 19 mila vittime, soprattutto tra i cristiani della Middle Belt. Il nuovo rapporto sulla persecuzione in Nigeria
Le rovine della casa di una famiglia cristiana nel villaggio di Atak-Mawe (stato di Kaduna), bruciata dai Fulani in un attacco del 30 gennaio 2022 in Nigeria. Una donna di 98 anni è stata bruciata viva

Philip aveva solo cinque anni quando, nel 2018, i ribelli Fulani raggiunsero il suo villaggio nel centro della Nigeria. Nella furia cieca che li animava, lo colpirono al volto con un machete. Sopravvissuto nonostante le ferite inferte, oggi ha otto anni e ancora non ha capito perché la sua casa, la famiglia e i vicini siano stati oggetti di tanto odio. Janet, madre di quattro figli, ha visto il marito seviziato e ucciso dai miliziani islamici nello Stato nigeriano di Plateau. Lo stesso orrore vissuto da Lazzaro, sequestrato dai combattenti musulmani Fulani, obbligato a chiedere un riscatto dopo aver assistito alle torture e alla morte di altri amici rapiti.

L’entità dei massacri dei Fulani in Nigeria

Queste storie, reali e documentate, sono al centro del poderoso report redatto da tre grandi Ong sulla difficile situazione di Kaduna e di tutta la fascia mediana della Nigeria, dove le persecuzioni contro la minoranza cristiana si stanno facendo sempre più violente e hanno già fatto dal 2009 tra le 13 mila e le 19 mila vittime. Nel dossier pubblicato da Christian Solidarity International (Csi), Humanitarian Aid Relief Trust (Hart) e l’Organizzazione internazionale per la costruzione della pace e la giustizia sociale (Psj) si legge: «La milizia Fulani è armata e attacca sempre più frequentemente i villaggi della Middle Belt. Una violenza che ha provocato milioni di sfollati e sembra destinata a ridurre il numero di cristiani indigeni nella regione. Poiché gli attacchi mirano a distruggere le comunità etno-religiose, esiste il rischio che si trasformino in pulizia etnica o addirittura genocidio».

L’affondo sulle responsabilità del governo e sul colpevole silenzio internazionale è duro: «Le autorità nigeriane sia a livello statale sia a livello federale sembrano incapaci o riluttanti a prevenire gli attacchi e si impegnano invece in procedimenti legali contro giornalisti e attivisti che attirano l’attenzione sulla crisi. La comunità internazionale appare altrettanto indifferente, poiché non fornisce alcun impegno significativo a favore della fine della violenza o dell’assistenza umanitaria ai milioni di sfollati nella Nigeria centrale».

«Ci uccidono perché siamo cristiani»

Sebbene siano pesantissime le infiltrazioni jihadiste nell’area, che rendono difficile trattare per una soluzione pacifica, è giusto ricordare che il conflitto nasce prevalentemente dagli scontri tra i pastori Fulani, a maggioranza musulmana, e agricoltori stanziali in prevalenza cristiani. Questi ultimi furono trasferiti in massa in quest’area della Nigeria dopo la guerra in Biafra. All’evidente discriminazione etnico-religiosa deve aggiungersi però un altro tassello. La grave siccità degli ultimi anni ha costretto i pastori Fulani a spostarsi per cercare zone più redditizie per far vivere il bestiame. Bestiame che spesso ha invaso i campi degli agricoltori cristiani causando ulteriori scontri che si sono poi inaspriti con vere e proprie persecuzioni ai danni della comunità cristiana locale.

Dallo scorso gennaio gli attacchi si sono moltiplicati, come denuncia Csi. «I miliziani entrano nei villaggi, uccidono i civili, bruciano le case e il raccolto. Le testimonianze di decine di famiglie ridotte alla fame dopo aver visto distruggere le proprie basilari forme di sussistenza sono ormai all’ordine del giorno.  “Normalmente arrivano di notte”, racconta Habila Sambo (di Adan) sopravvissuto a una di queste incursioni. “So che i Fulani ci stanno uccidendo a causa della nostra fede in Gesù, ma continueremo a perdonarli per l’amor di Cristo”».

Esercito e governo nigeriano non fanno nulla

Drammatiche le parole di un anziano al quale hanno ucciso moglie e due figli. «Siamo soli. L’esercito nigeriano non interviene in nostra difesa perché siamo cristiani». Chi scappa dallo Stato di Kaduna finisce spesso in campi per sfollati, dove mancano cibo, medicine, acqua e istruzione per i bambini.

Anche per questo le tre Ong, a conclusione del rapporto, chiedono interventi concreti come ad esempio la fine delle persecuzioni governative contro i giornalisti che stanno documentando le stragi (molti finiscono incarcerati o subiscono pressioni); che l’Ue e l’Onu destinino maggiori risorse e aiuti a questa fascia territoriale dimenticata e che i paesi firmatari della Convenzione del 1948 sulla prevenzione dei crimini di genocidio si muovano affinché un simile crimine contro l’umanità non abbia di nuovo luogo.

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