Ci attende un futuro da schiavi nella società parassita di massa

Di Marco Invernizzi
16 Luglio 2020
Lo scenario previsto da Luca Ricolfi per l'Italia post Covid somiglia a quello già visto nei paesi comunisti: tutti poveri e tutti ugualmente dipendenti dallo Stato

Articolo tratto dal numero di luglio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

La «società parassita di massa» è espressione di Luca Ricolfi, uno dei più importanti sociologi italiani. Secondo lui questo potrebbe essere l’esito per l’Italia della crisi determinata dalla diffusione del coronavirus, a causa degli interventi da parte del governo giallorosso nella cosiddetta fase 2. Interventi prettamente, se non esclusivamente, dominati da un’ideologia statalista. L’attuale governo, sono parole sue, è composto dal Partito democratico, cioè dagli eredi dello statalismo di origine comunista, alleati con il M5s, che rappresenta l’espressione statalista del sovranismo e che fra l’altro teorizza la “decrescita felice” come sbocco politico auspicabile della crisi determinata dal Covid-19.

Ricolfi proviene dalla sinistra, ma da tempo non nasconde il proprio disappunto per questa sinistra, per la sua incapacità di capire le esigenze del popolo che vorrebbe ma non riesce a rappresentare. Nel suo ultimo libro era giunto a una conclusione parzialmente diversa. In quel testo, La società signorile di massa (La nave di Teseo, 2020), il sociologo fornisce non solo una descrizione preziosa della situazione italiana, ma indica i motivi del fallimento della sinistra, che non riesce a comprendere praticamente nulla di quanto sta avvenendo in Italia.

La società signorile di massa si appoggia su tre pilastri. Il primo è rappresentato dall’enorme ricchezza reale e finanziaria accumulata da due generazioni, quella “che ha fatto la guerra” e quella successiva che non ha partecipato ad alcuna guerra, ma “ha fatto il Sessantotto”. Il secondo pilastro è rappresentato dalla distruzione della scuola, cioè dal mutamento provocato dall’abbassamento degli standard dell’istruzione che ha provocato l’inflazione dei titoli di studi, dal rallentamento della produttività e dalla riduzione della mobilità sociale con annessa frustrazione collettiva: questa categoria di persone è composta esclusivamente da chi “ha fatto il Sessantotto”. Il terzo pilastro è rappresentato dalla formazione di una infrastruttura paraschiavistica, in seguito alla presenza di stranieri provenienti dall’Est europeo, dall’Africa e da paesi in genere molto più poveri dell’Italia, in seguito alla caduta dell’Unione Sovietica nel 1991, all’allargamento dell’Unione Europea ai paesi dell’Est europeo e alle primavere arabe con relativa caduta di Gheddafi in Libia, tutte persone disposte a lavori infimi e male pagati pur di guadagnare qualcosa e sopravvivere.

Questo tipo di società è cresciuto nel tempo, durante il Novecento e soprattutto a partire dagli anni Sessanta, con una evidente stortura al proprio interno. Infatti, come Ricolfi documenta con numeri tratti da dati ufficiali (in particolare l’Istat), è cresciuta una società dove è maggiore il numero di chi non lavora. 

È chiaro che una società con queste caratteristiche non può reggere a lungo. E, infatti, questa società descritta nel 2019, con tanti “signori” che non lavorano ma spendono quanto hanno risparmiato i loro padri, non sarà più possibile dopo il tempo del Covid.

«La nostra società, se non si cambia rotta, molto molto alla svelta (ma forse è già tardi), è destinata a trasformarsi in una “società parassita di massa”, che non è il contrario della società signorile di massa, ma ne è uno sviluppo possibile, una sorta di mutazione “involutoria”, come forse la chiamerebbe un matematico».

Così ha detto Ricolfi intervistato all’Huffington Post l’8 maggio scorso.

Che cosa sarebbe cambiato rispetto alla società signorile descritta nel libro di Ricolfi? Il cambiamento sta nei numeri: mentre nella società signorile i “signori” che non lavorano ma godono del lavoro e della ricchezza prodotta da chi lavora sono tanti e “vivono bene”, al di sopra delle loro possibilità, nella società parassita producono ed esportano quei pochi che sono sopravvissuti alla politica statalista del governo, mentre la “massa” vive stentatamente e in modo completamente dipendente dallo Stato. Cioè, aggiungo io ma non credo di discostarmi da quanto intravvede il sociologo torinese, si sta realizzando mutatis mutandis quello che si verificava nelle società comuniste: tutti poveri e tutti ugualmente dipendenti dallo Stato. Servi, o meglio schiavi, di un padrone assoluto, che ti dava da mangiare quel tanto che fosse sufficiente per servirlo senza creargli problemi. Una prospettiva poco entusiasmante…

Foto Ansa

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.