
Terra di nessuno
«Chiunque tu sia, un Requiem per me lo potrai dire». Falegname, 19 anni, già così cosciente, già così cristiano
“23 marzo 1948. Chiunque tu sia, un Requiem per me lo potrai dire. Son giovane 19 enne ma quando queste assi saranno mosse, credo che l’anima mia sia con Dio. Umberto B, nato il 7 febbraio 1929”.
Sono parole tracciate a matita, con una calligrafia ancora fanciullesca, su un’asse di legno chiaro, forse di abete. Esattamente sul retro di un’asse del soffitto di una casa nelle montagne della Valfurva, nel nord della Lombardia. Quando il soffitto è stato rifatto, l’asse rimossa ha mostrato il suo segreto: la scritta lasciata da un giovanissimo falegname, che nonostante i suoi 19 anni si preoccupava di domandare a uno sconosciuto, in un giorno lontano, un Requiem per la sua anima.
La foto di quel messaggio rimasto nascosto per sessant’anni mi è stata mandata per email, e mi ha commosso. Mi sono chiesta perché, ma il cuore capisce sempre, almeno in me, prima della ragione. Mi sono commossa all’idea di un ragazzo che, in una mattina di inizio primavera, martellava in un cantiere di un paese di montagna. Mi sono immaginata una giornata di sole, e le ultime chiazze di neve sui prati ancora brulli, che si andavano sciogliendo. L’inverno alle spalle, la guerra finita da poco, e 19 anni, quel ragazzo, appena.
C’erano tutte le ragioni per pensare solo alla vita: a una donna, a dei figli, al futuro. Eppure quell’Umberto doveva avere bene in mente, oltre alla vita, la morte, e la vita eterna in cui evidentemente credeva, per vergare, dietro a un’asse che sarebbe rimasta nascosta per oltre mezzo secolo, una preghiera: chiunque tu sia, di’ un Requiem per me. Di li a poco il giovane falegname si sarebbe sposato, avrebbe avuto cinque figli, avrebbe continuato a costruire i tetti delle case in Valfurva: tetti buoni, capaci di resistere al gelo, al peso della neve, e al tempo.
Nel marzo del ’48 questo Umberto era, a giudicare col nostro metro di oggi, un ragazzino. Come gli è venuto in mente di pensare, in una mattina di marzo e di pace, alla sua morte, e all’altra vita che lo aspettava? Una richiesta, poi, che presuppone una netta coscienza del bene e del male, e del fatto di essere un peccatore, bisognoso di misericordia. Quanti dei nostri figli saprebbero fare oggi una cosa simile? In un mondo in cui censuriamo il pensiero della morte, o al massimo cerchiamo di garantirci che sia una cosa veloce, e dignitosa. E quel ragazzino di montagna invece, già così cosciente, già così cristiano.
Vengono in mente certi personaggi di Charles Peguy: quei contadini che, angosciati dalla febbre alta di un figlio, lo affidavano alla Madonna, proprio come lo avrebbero messo fra le braccia di una madre. “Chiunque tu sia, un Requiem per l’anima mia”. La stessa fede, la stessa certezza. Questo era il popolo cristiano. Il suo Requiem, il falegname ragazzo l’ha avuto, tanti anni dopo. Lo ha recitato per lui uno dei suoi figli, sacerdote e missionario in Siberia. Un figlio andato a portare Cristo ai vecchi ex deportati tedeschi del Volga, che da decenni non vedevano un prete. Un figlio andato, per Cristo, tanto lontano. (È scritto: “Dai loro frutti li riconoscerete”).
Foto legno da Shutterstock
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