
Chiudono gli ospedali psichiatrici giudiziari. «Scelta necessaria. Impariamo l’arte dell’accompagnamento»

Gli ospedali psichiatrici giudiziari – gli ex manicomi criminali – o Opg, dall’1 aprile non esistono più. Dopo due anni di rinvii è stata applicata la legge che nel 2011 ha sancito la loro chiusura e il trasferimento dei detenuti in altre strutture. Dall’entrata in vigore della legge si è già registrata una costante diminuzione degli internati: dai 1.072 del 31 dicembre 2014 si è arrivati ai 750 presenti al 31 marzo. Di queste persone, 250 dovrebbero essere dimesse o trasferite in comunità residenziali più leggere, perché ritenuti meno pericolosi o perché verso la fine della pena. Altre 450 persone dovrebbero essere ospitate nelle nuove strutture, i Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza). Però non in tutte le regioni i Rems sono pronti e, in certi casi, la preoccupazione è grande. Lo psichiatra Marco Bertoli, responsabile del Centro di salute mentale di Latisana (Ud), assicura: «È un evento atteso e necessario. E non ci sarà alcun pericolo per la sicurezza, né per la salute di queste persone recluse».
Cosa ne pensa dell’addio agli Opg?
Erano istituti anacronistici, e ce n’erano alcuni assolutamente impresentabili e con condizioni di fatiscenza disumane, sia dal punto di vista della struttura sia dell’organizzazione. La loro chiusura è un evento atteso da tempo. Lavoro in Friuli, regione in cui è molto viva per la psichiatria una cultura particolare, dato che siamo la regione dove ha lavorato Franco Basaglia. Pur non essendosi concentrato sugli Opg, Basaglia ha messo in luce come non è mai la restrizione della libertà che porta a dei risultati, ma un progetto di vita e un accompagnamento del paziente. Penso che nel nostro sistema regionale la cosa più importante anche oggi sia accompagnare le persone che curiamo sui tre assi della vita: avere una casa, un lavoro e la possibilità di socializzare. Anche per questa cultura, il Friuli ha sempre avuto un numero molto basso di detenuti in Opg. È chiaro, ci sono anche da noi persone con problemi di salute mentale con una pericolosità sociale, ma prima di tutto mi sentirei di sfatare un mito. Negli Opg non tutte le persone detenute hanno commesso delitti, cioè crimini contro le persone: la maggior parte, anzi, sono detenuti per aver commesso reati, cioè per aver violato le leggi che tutelano cose e patrimoni. Per tutti i casi di non pericolosità, da tempo in questa regione abbiamo ovviato attraverso l’affidamento del detenuto a comunità. Al Centro di salute mentale di Palmanova, quando sono arrivato dieci anni fa, avevamo sei persone provenienti da Opg. Due soli di loro avevano commesso dei delitti contro altre persone: tutti e sei li abbiamo comunque portati in comunità, e per loro abbiamo preparato dei progetti.
E com’è andata a finire?
È finita in tutti i casi benissimo. Non è che in Friuli non ci fossero matti, ma l’importante è saperli accompagnare.
Nelle regioni dove i Rems non sono stati ancora aperti, dove finiranno gli internati dei vecchi Opg?
Due anni fa c’erano più del doppio degli internati, più di 1.400. Dove sono finiti? Sono già stati trasferiti in questi anni nelle comunità esistenti e non è che siano aumentati i crimini. Oltretutto, tra chi sta in Opg la recidiva è rarissima. Anche in questi giorni sono certo che le persone in sovrappiù rispetto ai posti dei Rems non siano state abbandonate a se stesse. L’Opg di Reggio Emilia, che è un centro di riferimento anche per il Friuli, ad oggi mi risulta che non sia stato chiuso. È in una fase di rapida transizione in cui si attende che i vari detenuti siano ospitati nelle comunità di riferimento, e si tratta di comunità che, anche se non sono strutturate come le Rems, hanno una sorveglianza. Non bisogna creare allarmismi.
In base alla sua esperienza, che tipo di percorso si deve attuare per il recupero efficace di un detenuto con problemi psichiatrici?
Anzitutto bisogna immaginare un percorso individuale in cui si distingue se una persona ha commesso un reato o un delitto, e quanti anni prima è accaduto l’evento. Infatti, più è vicino nel tempo, superiore dovrà essere la sorveglianza, a partire dalle 24 ore al giorno. Inoltre è opportuno non lasciare la persona condannata penalmente nello stesso territorio, ma spostarla in una comunità un po’ distante. Dopo di che lo psichiatra e il suo staff dovrebbero fare un progetto di reinserimento, che parta dalla capacità e competenza per il lavoro del detenuto, e chiaramente – se necessario – prescrivere dei farmaci. Qualche anno, fa mi è stato affidato un ragazzo di origine trentina che era a Castiglione delle Stiviere. Quando lo visitai, mi raccontò che era in Opg da dieci anni e che aveva girato varie strutture: Montelupo, Reggio Emilia e, appunto, Castiglione. Mi raccontò che aveva ucciso la sorella, e io pensai dentro di me che si trattava di un caso difficile. Vedendo la mia faccia perplessa, si affrettò ad aggiungere, quasi a volermi rassicurare: «Ma non volevo uccidere lei, volevo uccidere mio cognato. L’ho sgozzata. Ma non si preoccupi, è che io ero macellaio». Ho capito che potevo rischiare con lui, era sincero e così gli ho detto: «Mi piaci. Ti porto con me». È venuto in una comunità che seguivo e, dato che in ognuna di esse c’è sempre un luogo di produttività, lui scelse di lavorare come muratore e lo mettemmo in una delle nostre squadre di manovali. Prendeva i farmaci regolarmente, lavorava sodo, era sempre puntuale nei cantieri. Un giorno lo chiamai e mi complimentai. Lui mi rispose: «Sa dottore, nessuno nella mia vita mi aveva detto “mi piaci” come ha fatto lei». Su quella fiducia ha ricostruito la sua vita. È chiaro che i casi che provengono dagli Opg possano fare paura all’opinione pubblica, ma la verità è che tutte le storie, se trovano una base nella fiducia della comunità che accoglie, sono come quella di quell’uomo.
Foto Ansa
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2 commenti
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Mah …non sono d’accordo o meglio si tratta si di ospedali psichiatrici , ma giudiziari, ovvero ospitavano persone sì con disturbi psichiatrici, ma che avevano commesso dei crimini importanti, alcuni di questi sono spietati assassini e mi auguro tanto non commettano più crimini tremendi, ma pensare che possano evitare di essere dei criminali per non perdere la “fiducia del dottore”… mi sembra un’ingenuità unica.. Son d’accordo che i manicomi di un tempo erano luoghi di orrore e che sia giusto averli chiusi a suo tempo, ben diverso è la mia opinione sugli Opg che, senza dubbio, andavano migliorati ma non chiusi. Se uno di questi criminali dovesse reiterare reati già commessi..magari omicidi..chi ringrazieremo i nostri politici e amministratori che invece di destinare soldi per ammodernare gli Opg hanno detto “chiudiamoli..possiamo liberarli sulla fiducia..ed affidarli ad altre strutture..” Tranne ignorare che le “altre strutture” sono insufficienti!!! …in Italia la “vittima” è sempre Caino e mai Abele . Mi sa che torna libero anche l’Africano dal Macete Facile..
Con tutto il rispetto per questo psichiatra di Palmanova, ma perché non avete intervistato qualcuno dell’equipe di Trieste formatasi alla scuola di Basaglia che costituisce centro di riferimento mondiale riconosciuto dell’Oms?