«Chiudete l'Unar»

Di Rodolfo Casadei
23 Febbraio 2018
La propaganda gender, lo scandalo delle orge e ora la nomina di Manconi. Parla Giusy D’Amico, presidente di Non si tocca la famiglia
Un momento del convegno ?Dal Mondo alla Farnesina: la convivenza delle differenze? promosso dal Comitato Unico di Garanzia del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, un?iniziativa di sensibilizzazione inserita nel quadro della Campagna Nazionale ?Accendi la mente, spegni i pregiudizi?, Roma, 19 marzo 2015. L?evento si colloca nell?ambito della XI Settimana d?Azione contro il Razzismo (16-22 marzo), organizzata dall?UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) del Dipartimento per le Pari Opportunit‡ della Presidenza del Consiglio dei Ministri, cui aderisce anche il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. ANSA/ FABIO CAMPANA



Massimo Gandolfini portavoce del Family Day, Giusy D’Amico di Non si tocca la famiglia, Carlo Spaziola di Comitato Articolo 26, Filippo Savarese di Generazione Famiglia e Toni Brandi di Pro Vita hanno un diavolo per capello: dopo mesi di discussioni e negoziati al Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio per individuare un nuovo presidente super partes dell’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, il governo Gentiloni ha deciso unilateralmente di nominare a quel posto Luigi Manconi, senatore uscente del Pd. La nomina rappresenta palesemente un contentino per un esponente politico che è stato escluso dalle candidature alle elezioni del 4 marzo dopo una legislatura fra le file del Partito democratico. Gandolfini, che è anche portavoce del Comitato Difendiamo i nostri figli, non l’ha mandata giù. Quando la nomina è stata ventilata ha dichiarato: «Gentiloni concepisce questa importante agenzia governativa come una camera di compensazione dei conflitti interni del Pd. Un governo in agonia pre elettorale e senza rappresentanza impone una nomina e offre un paracadute d’eccellenza per chi è stato volutamente fatto fuori dalla corsa alle elezioni». E più recentemente: «Piuttosto che un’altra ondata di attivismo ideologico nelle scuole da parte dell’Unar, a causa della nomina del nuovo coordinatore Luigi Manconi, è meglio chiudere del tutto questo ente che evidentemente non ha più niente a che fare col contrasto alle discriminazioni su base razziale, etnica e religiosa».
L’Unar è finito una prima volta nell’occhio del ciclone quando nel 2013 finanziò con 10 milioni di euro la “Strategia Nazionale Lgbt”: un piano di sponsorizzazione delle istanze politiche Lgbt in tutti i settori della società, a partire dalle scuole. L’attività dell’ente, dipendente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, è stata poi travolta l’anno scorso dallo scandalo che ha riguardato il suo ex Direttore Francesco Spano, sotto l’amministrazione del quale passò un finanziamento di oltre 50 mila euro a un’associazione Lgbt di cui lui stesso era tesserato. Un servizio del programma “Le Iene” del febbraio 2017 mostrava poi che nei locali di questa associazione sarebbero avvenute orge con spaccio di droga e prostituzione. Spano dovette dimettersi. La nomina di Manconi, favorevole alle adozioni per le coppie dello stesso sesso e alla maternità surrogata purché “etica”, non sembra fatta per stemperare le passioni. Come dimostra l’intervista che segue a Giusy D’Amico, presidente di Non si tocca la famiglia.
Signora D’Amico, cosa temono la sua e le altre associazioni familiari dal nuovo direttore dell’Unar? Perché vi opponete a questa nomina?
Perché è stata una nomina di parte. La personalità scelta è legata alla cerchia Lgbt, è legata a una corrente ideologica a causa della quale oggi l’Unar è sotto inchiesta giudiziaria e sotto accusa. A seguito delle inchieste giornalistiche de “Le Iene” che hanno fatto scoppiare lo scandalo. Sembra che i fondi stanziati dall’Ufficio siano serviti a organizzare orge, prostituzione e spaccio di droga. Siamo preoccupati perché questa nomina non garantisce imparzialità nel veicolare progetti nelle scuole che rischiano di avere una precisa matrice ideologica. Noi non solo non condividiamo la scelta del nuovo direttore, ma siamo in disaccordo col fatto che l’Unar continui ad essere un ufficio fantasma per quanto riguarda alcune sue funzioni statutarie, come la lotta alle discriminazioni razziali, e che serve solo come porta d’ingresso del gender nelle scuole. Per questo oggi ne chiediamo la chiusura.
Voi avete partecipato alle consultazioni per la nomina del nuovo direttore dell’Unar? Come sono andate?
Sì, a livello del Dipartimento per le Pari opportunità. Abbiamo chiesto anzitutto una rettifica nell’impostazione delle attività perché siano rispettate tutte le finalità dell’Unar. Esponenti del Dipartimento ci avevano garantito che la nuova nomina avrebbe comportato una armonizzazione degli intenti che stanno a cuore a tutte le parti, e che si sarebbe fatto tesoro degli infortuni del passato perché non riaccadesse più nulla di simile. Invece la nomina mette a nudo intenzioni altre rispetto agli impegni verbali che erano stati presi. L’Unar è nato come ufficio contro le discriminazioni razziali e invece negli ultimi quattro anni si è occupato solo di discriminazione di genere ed è stato promotore di tutta quella strategia nazionale sulla discriminazione basata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere che ha portato nelle scuola progetti di propaganda gender all’insaputa delle famiglie. Durante le trattative noi abbiamo fatto presente che ritenevamo che dovesse ampliare il raggio delle discriminazioni oggetto dei suoi interventi ed elaborare progetti con obiettivi specifici e differenziati, prendere in considerazione tutto il ventaglio delle discriminazioni per le quali bambini e ragazzi oggi vivono situazioni drammatiche, legate all’obesità piuttosto che alla religione, all’etnia o alla cultura di origine. Invece c’è stata una concentrazione eccessiva sulla lotta alle discriminazioni di genere, che quando ci sono la scuola deve assolutamente combattere. Ma ci aspettavamo un ampliamento rispetto a questo singolo centro di interesse dell’Ufficio. L’ampliamento non c’è stato nonostante le promesse fatte, la nomina di un direttore super partes non c’è stata, l’ufficio è ancora in piedi, prende soldi pubblici e non risponde alle esigenze di tante associazioni come le nostre, che rappresentano centinaia di migliaia di famiglie italiane.
Quali azioni di protesta avete attuato fino a questo momento?
Abbiamo inviato email, abbiamo protestato due volte con un presidio davanti alla sede dell’Unar con una delegazione delle nostre associazioni, ma pensiamo che sia a questo punto necessario organizzarci in una forma più massiccia qualora vedessimo disattese le nostre richieste e quelle di tanti cittadini italiani. Siamo associazioni di famiglie e ci occupiamo di tutela dell’educazione, per evitare che sia imposta ai nostri figli una stortura antropologica che li lascerebbe feriti. Abbiamo rilanciato la petizione che lanciammo due anni fa, quando chiedevamo che la strategia nazionale la cui realizzazione nel 2014 fu affidata solo a 29 associazioni Lgbt, fosse per il triennio successivo affidata ad associazioni familiari. Poi al momento dello scandalo Spano abbiamo lanciato una petizione per la chiusura dell’Unar che ora rilanceremo per mobilitare la sensibilità dell’opinione pubblica su tutta questa vicenda. L’Unar è un ufficio dai costi elevati e dalle pratiche occulte. Questa nomina a ridosso delle elezioni appare legata allo schema di chi vuole piazzare uomini suoi dentro a istituzioni nevralgiche prima che entri in carica un nuovo governo. Così garantiscono se stessi ma alle famiglie non garantiscono proprio nulla.
Se l’Unar non verrà chiuso ma continuerà a funzionare anche dopo le elezioni, quale sarà la vostra strategia? Cercherete di essere rappresentati al suo interno?
Assolutamente. Vogliamo un tavolo di lavoro con le nostre associazioni e la presenza di un garante che possa vagliare non solo le proposte, ma anche i bandi di concorso che hanno erogato centinaia di milioni di euro per progetti che sono finiti al vaglio degli inquirenti. E il direttore non deve essere di parte, ma garantire che l’Unar faccia il suo lavoro, che comporta una lotta a vasto raggio contro tutte le discriminazioni, non solo quelle legate all’orientamento sessuale, lotta che anche noi condividiamo. Ma c’è l’esigenza di intervenire sulle discriminazioni per la razza e per la religione, che sono in vetta alle discriminazioni registrate dalle statistiche nel nostro paese. E ci vorrà un garante, per evitare che i soldi non finiscano più a progetti come quelli che hanno scatenati scandali e indagini giudiziarie.
Foto Ansa

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