Chissà chi vincerà le elezioni a Hong Kong

Di Leone Grotti
21 Aprile 2022
Il regime cinese imbandisce una triste parodia della democrazia: il nome di John Lee, unico candidato, è stato annunciato ancora prima che si candidasse. Non ha un programma e l'ufficio che l'ha dichiarato idoneo fino al giorno prima del voto era presieduto da lui
John Lee, ex ministro e unico candidato alle elezioni presidenziali a Hong Kong

C’è l’uomo più ricco di Hong Kong, Li Ka-shing, l’ex direttore generale dell’Oms, Margaret Chan, il famoso attore allineatissimo al Partito comunista cinese, Jackie Chan, e perfino l’arcivescovo anglicano emerito di Hong Kong, Paul Kwong. Sono solo alcuni nomi della nutrita lista dei 148 consiglieri del candidato al ruolo di governatore dell’isola, John Lee.

Elezioni già scritte a Hong Kong

Le elezioni, che dovevano svolgersi il 27 marzo ma che sono state posticipate all’8 maggio, non saranno particolarmente interessanti ma sono la perfetta esemplificazione di come Pechino intende la democrazia. Lee infatti non è soltanto un candidato, ma è l’unico candidato, nel senso che Pechino ha dichiarato che è l’unica persona alla quale sarà permesso di correre per le elezioni. Di più, il suo nome è stato annunciato dall’ufficio che gestisce i rapporti tra Pechino e Hong Kong tre giorni prima che si candidasse ufficialmente. E ancora, il comitato elettorale che doveva approvarne la candidatura lo ha fatto ancora prima che Lee pubblicasse un programma. Del resto, Lee è stato a capo di quel comitato fino al giorno prima del voto ed è l’uomo che ha ratificato la sua composizione: difficile che qualcuno potesse ritenerlo non idoneo.

A neanche tre settimane dalle elezioni, Lee non ha ancora pubblicato il suo programma, salvo dichiarare che farà rispettare la legge sulla sicurezza nazionale. Trattandosi dello strumento attraverso il quale, negli ultimi due anni, ogni forma di libertà è stata repressa a Hong Kong e che ha permesso di rinchiudere in carcere tutti i principali attivisti, imprenditori e politici di opposizione della città, è più che sufficiente come programma.

John Lee, fedelissimo del regime comunista

L’ex agente di polizia non è un uomo qualunque: è stato ministro per la Sicurezza dell’esecutivo dell’attuale governatrice Carrie Lam e fino al giorno prima della sua candidatura anche il membro più importante del governo (e nonostante le dimissioni non è stato sostituito). Soprattutto, è il politico che nel 2019 ha cercato di far approvare al Consiglio legislativo la legge sull’estradizione, quella che avrebbe sottomesso Hong Kong al sistema giudiziario di Pechino e che scatenò le proteste oceaniche a favore della democrazia.

È per reprimere e impedire che in futuro si ripetessero simili manifestazioni che il regime cinese introdusse a forza (illegalmente) nella mini Costituzione dell’ex colonia britannica la legge sulla sicurezza nazionale, che ha cancellato l’autonomia della città in barba ai trattati internazionali.

L’ennesima farsa elettorale

L’elezione di Lee a governatore di Hong Kong sarà ovviamente una farsa, una triste parodia della democrazia al pari del voto per il rinnovo del Consiglio legislativo del 19 dicembre scorso. I 90 seggi sono stati conquistati da “patrioti” fedeli al Partito comunista, anche perché tutti i candidati pro democrazia sono stati espulsi dalla competizione elettorale o incarcerati.

In quel caso, però, i cittadini di Hong Kong hanno trovato un modo per protestare: l’astensione. Si sono recati alle urne soltanto 1,3 milioni di cittadini, pari al 30,2 per cento degli aventi diritto. Neanche uno su tre. Rispetto alle elezioni del 2016, l’affluenza è crollata di quasi 30 punti percentuali. Ancora più emblematico il paragone con l’ultimo voto libero in città, quello del novembre 2019 per l’elezione dei consiglieri distrettuali. Allora votò il 71 per cento degli aventi diritto e i candidati democratici conquistarono quasi l’intera platea dei seggi a disposizione.

Nel caso delle elezioni presidenziali, però, i cittadini di Hong Kong non avranno voce in capitolo e non potranno manifestare il loro dissenso visto che a eleggere Lee sarà un comitato ristretto di grandi elettori.

Il futuro di Hong Kong scritto a Pechino

Democrazia ed elezioni sono parole che oggi non hanno più senso a Hong Kong. Così come Carrie Lam, John Lee sarà di fatto il portavoce di Zhongnanhai, il complesso di edifici adiacente alla Città proibita nel centro di Pechino dove ha sede il Partito comunista cinese e il governo della Repubblica popolare. Zhongnanhai è inaccessibile al pubblico proprio come la Città proibita lo era sotto l’Impero. Dall’8 maggio sarà qui che verrà presa ogni decisione riguardante Hong Kong, al riparo da occhi indiscreti.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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