Chi votare non si sa. Ma sappiamo cosa fare

Di Luigi Amicone
05 Ottobre 2012
Dove si va con uno Stato che pianta il suo vessillo sulla testa della società? Bisogna guardarsi intorno e fare coesione con tutti i fatti positivi, perbene, buoni, di qualsiasi colore siano, presenti nel paese

Lo Stato di polizia giudiziaria e tributaria non sembra la ricetta adatta ad arginare una crisi che sta diventando recessione a valanga. Invece dei previsti incassi di 155 milioni in tasse nautiche, Monti ne ha portati a casa solo 24. Mentre barche piccole e grandi quest’estate sono scappate a Nizza o a Spalato. Immatricolano le auto di lusso all’estero per non pagare il superbollo. E pur di sfuggire alla “guerra all’evasore”, pagano quel che c’è da pagare all’erario italiano e si mettono in coda agli sportelli per aprire conti a Lugano o a Klagenfurt. Dimenticando che senza i ricchi che fanno girare i soldi c’è il rischio che venga ridistribuita più equamente solo la povertà, l’Italia sta perdendo i suoi inquilini più benestanti (imprenditori, grandi investitori, multinazionali), indispensabili all’uscita dalla recessione. Intanto i disoccupati crescono a ritmi spagnoli e i conti correnti di lavoratori dipendenti, famiglie, pensionati, corrono verso il rosso. Colpa di balzelli condominiali, Imu, accise, tasse sui rifiuti, rincari energetici. Colpa del moltiplicarsi a iosa di tasse, tasse e ancora tasse. A questo panorama di desolazione qualcuno pensa di rispondere (forse anche per sviare l’attenzione dai metodi dell’Agenzia delle Entrate) aizzando rabbie e forconi. Presentando la politica come il territorio del diavolo. E spettacolarizzando più del necessario inchieste dai risvolti umani miserabili.

Produrre “l’uomo onesto”
Anche ai tempi delle sfilate sulla Piazza Rossa davanti al Cremlino succedevano cose di questo genere. Succedeva, per esempio, che per placare il dissenso e ingannare l’ira affamata dei cittadini, uno Stato fallito ricorresse alla demagogia della Pravda, alla “lotta di massa” contro la corruzione, allo scatenamento dei Procuratori nei confronti dei “nemici di classe”. Anche nell’Unione Sovietica di Andropov poliziotti e inquirenti sostenevano che corrotti, speculatori e capitalisti erano gli unici responsabili di recessioni e miseria. E così giunsero al punto di non ritorno in cui lavoravano solo tribunali e carcerieri. Venuto giù il muro di uno Stato di spie, poliziotti, giudici e delatori, eccoli lì, adesso, più liberi e più capitalisti di noi. Più liberi di noi e a infischiarsene delle nostre leggi che per produrre “l’uomo onesto” stanno allargando i confini della disonestà. Ed eccoli qui, a spasso per l’Italia infischiandosene delle nostre restrizioni al cash (massimo 1.000 euro). Tipo l’aneddoto aeroportuale della scorsa estate a Olbia: atterrato un jet di magnati russi, 350 mila euro contestati dalla Guardia di Finanza sono subito ripartiti invece che circolare in Italia.

Non servono polveroni
Naturalmente le leggi servono e vanno rispettate. Quello che non serve sono i polveroni. Quello che non va rispettato è la propaganda. Quelli ci vendono la lotta all’evasione e alla corruzione con lo stesso cliché (capovolto) con cui ci vendono il fondoschiena delle soubrette e le bellurie di una principessa. Prendiamo il tema Regioni e l’ennesima ondata di castigamatti dopo la retata dei Fiorito. Il professore e tecnico presidente della Commissione sul federalismo che da anni lavora su numeri e costi delle amministrazioni dice che «i problemi delle finanze locali non si riducono a qualche milione di ruberie. I problemi sono in quell’“albero storto” che vale oltre 200 miliardi». C’è da tagliarlo l’albero? C’è da continuare a giocare a spaccatutto? Risposta ovvia. Ma inconcepibile per giornali e avventurismi elettorali cui servono (per vendere una testata o un “nuovismo”) il linciaggio moralistico di quelli che un tempo erano esaltati come vitelloni felliniani e venivano (vengono) celebrati nei Cinepanettoni. Non servono le campagne da Piazza Rossa o l’anticorruzione in stile Teheran. «Serve – dice Antonini – che le Corti dei Conti siano tempestive nei controlli delle amministrazioni con disavanzi importanti. Serve sanzionare con l’ineleggibilità quei governatori che hanno prodotto dissesti economici o “Regioni canaglia” con buchi endemici. Servono le relazioni di fine mandato e le certificazioni delle spese degli amministratori uscenti prima che si ripresentino agli elettori. Insomma, serve accelerare il processo di federalismo fiscale». Che a quanto pare (come ha confessato lo stesso Monti a questo giornale) il presente governo non vuole affatto accelerare. Anzi. Al contrario, sembra orientato a bloccare per condurre l’Italia verso una nuova fase di Stato accentratore. Stato impegnato a far cassa e a lasciar briglia sciolta (eppur mirata) agli spaccatutto.

Esaminare volti e nomi
Il problema è tutto qui. Dove si va con uno Stato che pianta la sua bandiera sulla testa della società? Si va sotto la spremitura dettata da Berlino. O sotto i bulldozer che ti chiudono l’Ilva. Insomma, adesso che è in marcia un neostatalismo di marca europeista, mentre politica e società vengono schifati dalla propaganda moralistica e forcaiola, che si fa? Che si vota? Il secondo è un problema irrisolvibile finché non conosceremo le regole elettorali con cui andremo a votare. Ma sul primo si può già guardarsi intorno, esaminare (senza l’ausilio dei media commercialmente impegnati a gonfiare mali e corruzione) e fare coesione con tutti i fatti positivi, buoni, perbene, di qualsiasi colore essi siano, presenti nella società. Noi qui, qualche nome di gente che pensa e che lavora lo facciamo e la raccomandiamo ogni settimana. Ad altri, come Giannino, che stanno affacciandosi in politica con serietà, in chiave cioè di affermazione di libertà, protagonismo delle persone, sussidiarietà, guardiamo con simpatia. E molta attenzione.

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    1 commento

    1. marziano

      la penso al contrario del sig. Tossani che, forse non paga le tasse.
      mi spiega l’Illustre in che diavolo di modo imoprese e privati possono attuare la sussidiarità se oltre il 55% di quello che guadagnano finisce nelle mani dello Stato?
      con quali soldi, secondo lui? la pressione fiscale italiana rende gli individui (almeno chi paga le tasse cioè rispetta la legge) schiavi del potere costituito da 3.500.000 di dipendenti pubblici. con 15 milioni di privati cittadini su 60 milioni di abitanti che mantegono tutti gli altri (inclusi i dipendenti pubblici ovvio).
      se provasse a tradurre le indicazioni del magistero in pratica, cosa ne sarebbe del concetto giuridico stesso di “diritti quesiti” in base al quale si spendono 12 miliardi l’anno di pensioni oltre i 3000 euro/mese col metodo retributivo da pagare sulle spalle di chi lavora OGGI a favore di chi non ha versato IERI?
      dai proviamo a proporre soluzioni invece di avere paura del pensiero liberale, il quale non coincide affatto con il capitalismo senza regole che teme lei. meno tasse significa più libertà, è tanto brutale quanto vero e semplice. se ne faccia una ragione. significa anche più responsabilità individuale e più merito. ben vengano entrambi senza per questo dover venir meno alla carità (anzi ne potrei fare di più se ne avessi i soldi) e di soccorrere gli ammalati e i bisognosi come santa madre chiesa ci insegna. liberalismo compassionevole è il suo nome e mi pare l’unica soluzione politica decente.

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