
Caro direttore, domenica 13 novembre è stata celebrata la giornata mondiale della povertà, che, per i cristiani, costituisce un volto della realtà che ha a che fare direttamente con la presenza stessa di Cristo. Solo con il cristianesimo i “poveri” hanno acquisito una dignità prima sconosciuta e sono divenuti i destinatari ed i coprotagonisti di una immensa e straordinaria attenzione, che ha originato gratuitamente opere di carità che hanno invaso beneficamente il mondo intero. Con il cristianesimo quelli che erano gli “ultimi” (termine da usare con molta discrezione, altrimenti diventa offensivo) sono diventati i primi di cui preoccuparsi e per cui vivere. È mirabilmente infinita la schiera di santi e sante cristiani che hanno dedicato la loro vita condividendo fino in fondo la vita dei poveri. Mentre è numerosa anche la schiera di coloro che creano tanta demagogia intorno al tema della povertà, che, senza il cristianesimo, non sarebbe neppure un “tema”. È, quindi, benemerita ogni occasione che ci aiuti a non dimenticarci dei poveri, soprattutto in un momento in cui la malvagità degli uomini e delle donne (tutti hanno il peccato originale) sta aumentando la schiera di coloro che definiamo “poveri”.
Vorrei inserirmi su questo tema con questa osservazione: stiamo attenti a non definire il “povero” solo sulla base di un criterio economico, che spesso porta tante persone nel mondo a morire addirittura di fame. Sicuramente è un criterio fondamentale (se non altro per la sua immensa portata numerica), ma non può essere l’unico, perché le povertà sono molte. Provo a farne un primo elenco.
Penso che il più povero di tutti sia quella persona che non riesce neppure a nascere, tanto è fragile, debole e “povero”. In questo orribile dibattito sul “diritto” all’aborto, c’è un grande e voluto assente, che ipocritamente chiamiamo “feto”, ma che, in realtà è una “povera” persona nascente, che vuole a tutti i costi vivere come dimostrano certe terribili immagini, che coloro che straparlano di “diritto” non vogliono neppure vedere. Quella persona è la più povera tra i poveri. Come è “povera” quella persona alla quale, trovandosi in difficoltà, viene offerta solo la scelta di morire e di essere accompagnata al suicidio (con tanto di “Ambrogino d’oro” all’accompagnatore).
Sono “poveri” tutti coloro, anche benestanti, che non riescono a dare un senso alla propria vita, vivendo in solitudine un dramma che spesso li porta a rinunciare alla vita stessa, aiutati, in questa deriva, da una cultura dominante che quasi spinge ognuno di noi a rassegnarsi ad un tran tran disperato. Anche le statistiche dicono del numero sterminato di questi “poveri”.
Sono “poveri” tutti quei genitori che per motivi economici non riescono ad educare i propri figli come vorrebbero, anche perché in Italia, almeno finora, vengono totalmente disattesi gli articoli 30 (diritto dei genitori ad educare) e 31 (misure a favore delle famiglie) della nostra Costituzione. Su questo tipo di povertà la responsabilità è molteplice ed anche i cattolici hanno le proprie colpe. Essi si riferiscono in ogni occasione ai “poveri”, ma poi sono insensibili al fatto che gli stessi cattolici “poveri” non riescano a frequentare una scuola cattolica. Le “grandi” scuole cattoliche non muovono un dito in questa direzione, anche perché i clienti ricchi già li hanno e forse anche perché studenti “poveri” darebbero fastidio alla loro immagine perbenista. La povertà educativa è immensa da molti anni ed ora ne stiamo raccogliendo i frutti amari.
Ed ancora. Sono poveri tutti coloro che, fin da giovanissimi, sono costretti a partecipare ad una guerra, come sono poveri, anzi poverissimi, quei poveri giovani che vengono moralmente costretti a prendere sul serio, con effetti molto spesso irreversibili, quelle pazzesche teorie che portano a relativizzare la propria identità sessuale ed a renderla neutrale. Sono gli schiavi culturali dei nostri tempi. Come sono “poveri” (e schiavi) tutti coloro che si rifugiano nelle dipendenze di qualsiasi tipo e quelle donne che, per sopravvivere, sono costrette (e incentivate) a vendere il proprio utero.
Questo triste elenco potrebbe continuare ancora a lungo. Ma vorrei concludere queste note riferendomi ad una povertà di cui non si parla mai o quasi, anche tra i cattolici. Ed è la povertà che consiste nell’assenza di Cristo nella mente e nel cuore di tantissime persone, anzi, nella maggioranza delle persone (così, almeno, appare). È la povertà di cui si accorse il Servo di Dio don Luigi Giussani, quando, circa 70 anni fa, decise di abbandonare i “comodi” studi teologici proprio perché si era accorto della immensa assenza (e ignoranza) di Cristo e della Chiesa a partire dai più giovani. Il caro don “Gius” si accorse 70 anni fa, come capita ai profeti, di una situazione che oggi è diventata generalizzata. L’assenza di Cristo è autorevolmente teorizzata come doverosa nell’agone pubblico, anche se qualcuno ora si sta accorgendo che è proprio l’assenza di Cristo a generare tante delle povertà (a cominciare da quella economica) a cui qui si è fatto cenno. Il 15 ottobre, in piazza San Pietro, papa Francesco, esortando i ciellini a riprendere l’ardore missionario, annotava che «ci sono tanti uomini e tante donne che non hanno ancora fatto quell’incontro con il Signore che ha cambiato e resa bella la vostra vita». In occasione di una grave sconfitta (referendum sull’aborto), don Giussani ci spronò a ricominciare da Uno, Gesù, il Dio fatto uomo. Anche in tema di povertà, penso che pure oggi dobbiamo ricominciare da Uno, anche perché senza di Lui prima o poi ci dimenticheremo anche dei poveri, ritornando in pieno paganesimo.
Peppino Zola
E l’ultimo sabato di novembre c’è la Giornata Nazionale della Colletta Alimentare. Che una volta aveva questo slogan fantastico: “Condividere il bisogno per condividere il senso della vita”. Il punto, alla fine, è sempre quello.
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1 commento
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Grazie Peppino Zola per gli approfondimenti preziosi e il richiamo al gesto della Colletta e al “Condividere i bisogni per condividere il senso della vita” che non è però slogan particolare della Colletta, ma affermazione del principio educativo, sempre richiamato, che muove l’azione del Banco Alimentare ogni giorno dell’anno, posto a fondamento, tra l’altro, dello Statuto.